Il giudice non può applicare d’ufficio l’art. 284, co. 2, cod. proc. pen. (limiti o divieti alla facoltà dell’imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono). Sul tema, il Formulario Annotato del Processo Penale dopo la Riforma Cartabia traccia un approfondimento molto accurato.
Indice
1. La questione: applicazione d’ufficio art. 284 c.p.p.
Il Tribunale di Salerno rigettava un’istanza di riesame proposta avverso un’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno, con la quale era stata applicata al predetto la misura degli arresti domiciliari in relazione ai reati di cui agli artt. 23, comma 2, l. 110/75, 73 commi 1 e 4 d.P.R. n. 309/1990, 624 e 625 comma 1, n. 2 e n. 7, cod. pen..
Ciò posto, avverso tale ordinanza proponeva ricorso per Cassazione il ristretto, a mezzo del difensore di fiducia, articolando un unico motivo, con il quale si deduceva la violazione degli artt. 125, 179,1 78 lett. b), 284, comma 2, e 291 cod. proc. pen..
Nel dettaglio, il ricorrente lamentava come il Tribunale avesse omesso di motivare in ordine all’eccezione di nullità denunciata nei motivi di riesame, relativa all’imposizione del divieto per l’imputato di comunicare con persone estranee al proprio nucleo familiare che con lui coabitano o lo assistono, prescritta dal Giudice per le indagini preliminari in assenza di specifica richiesta del PM, evidenziando come si fosse trattata di nullità insanabile e rilevabile d’ufficio e che il Tribunale, anche ove non espressamente dedotto dalla difesa, aveva l’obbligo di rimuovere la nullità d’ufficio.
Si chiedeva, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata nella parte in cui erano stati disposti limiti e divieti ex art. 284, comma 2, cod. proc. pen. non richiesti espressamente dal PM. Su tutti i temi riguardanti la procedura, il Formulario Annotato del Processo Penale dopo la Riforma Cartabia traccia approfondimenti molto accurati.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
Il ricorso era reputato fondato per le seguenti ragioni.
Gli Ermellini evidenziavano innanzitutto che costituisce principio consolidato che le restrizioni che contribuiscono ad inasprire il grado di afflittività della misura cautelare debbono essere considerate esse stesse restrizione alla libertà personale e, come tali, sono suscettibili di autonomo controllo giurisdizionale anche di secondo grado e, poi, di legittimità (cfr., Sez. U, n. 24 del 03/12/1996, dep. 21/01/1997; Sez. 6, n. 17950 del 04/04/2013), deducendo al contempo come tale principio, di carattere generale, trovi applicazione anche in ipotesi di restrizione della facoltà di comunicazione prevista dall’art. 284 comma 2, cod. proc. pen., significativamente introdotta dalla locuzione “impone limiti o divieti” posto che il divieto di comunicare con persone estranee al nucleo familiare, pur accedendo alla misura coercitiva degli arresti domiciliari, ha una sua propria autonomia, trattandosi non di mera modalità accessoria, ma di una prescrizione dotata di specifica ed aggiuntiva efficacia afflittiva (Sez. 4, n. 20380 del 07/03/2017; Sez. 6, n. 21296 del 12/05/2009).
Tal che se ne faceva conseguire che i limiti ed i divieti alla comunicazione del soggetto (indagato o imputato), nei cui confronti è adottata la misura cautelare degli arresti domiciliari, devono essere anch’essi oggetto di specifica conforme richiesta da parte del pubblico ministero (cfr. Sez. 5, n. 13271 del 22/12/2010, che ha affermato che è illegittima la modifica ex officio della misura degli arresti domiciliari in senso maggiormente afflittivo disposta dal giudice in assenza di richiesta del Pubblico Ministero), in guisa tale che, in assenza della corrispondente “domanda cautelare“, il giudice non può adottare d’ufficio tale peculiare autonoma forma di ulteriore e più intensa restrizione di libertà personale, sicché è nulla ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. b) e art. 179 cod. proc. pen. l’imposizione, a sensi dell’art. 284 comma 2, cod. proc. pen. di limiti o divieti alla facoltà dell’imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono non preceduta dalla corrispondente richiesta del pubblico ministero (Sez. 2, n. 53671 del 27/11/2014; Sez. 6, n. 17950 del 04/04/2013).
Orbene, concluso questo excursus giurisprudenziale, i giudici di piazza Cavour ritenevano come, nella fattispecie in esame, il Tribunale di Salerno non si fosse conformato ai suesposti principi di diritto e, a fronte di specifica doglianza avanzata con i motivi riesame, avesse confermato la misura degli arresti domiciliari disposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di del Tribunale di Salerno con ordinanza in data 7 agosto 2023, anche nella parte in cui prescriveva all’indagato “di non comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono”, pur risultando dagli atti che la domanda cautelare del pubblico ministero di applicazione della misura degli arresti domiciliari non conteneva anche specifica richiesta di prescrizione relativa a restrizione della facoltà di comunicazione prevista dal art. 284 comma 2, cod. proc. pen..
La Suprema Corte, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, annullava senza rinvio dell’ordinanza impugnata e dell’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno limitatamente al divieto di comunicare con terzi estranei dato che la nullità rilevata determina unicamente la eliminazione delle modalità “ultra petita” di esecuzione della misura, senza travolgere nella restante parte la validità ed efficacia della misura cautelare (cfr. Sez. 2, n. 53671 del 27/11/2014).
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito che il giudice non può applicare d’ufficio l’art. 284, co. 2, cod. proc. pen..
Difatti, fermo restando che, come è noto, questo comma prevede che, quando “è necessario, il giudice impone limiti o divieti alla facoltà dell’imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono”, si chiarisce in tale pronuncia che il giudice non può disporre autonomamente siffatte limitazioni senza che la pubblica accusa abbia fatto un’apposita richiesta in tal senso.
Difatti, si afferma per l’appunto in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che è nulla, ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. b) e art. 179 cod. proc. pen., l’imposizione, a sensi dell’art. 284 comma 2, cod. proc. pen. di limiti o divieti alla facoltà dell’imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono non preceduta dalla corrispondente richiesta del pubblico ministero.
Pertanto, ove si verifichi una situazione di questo genere, ben si potrà impugnare un provvedimento di questo tipo (come è avvenuto nel caso di specie).
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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