C’è differenza tra il danno da perdita del rapporto parentale e il danno per la sua lesione. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti
Una signora veniva ricoverata presso un ospedale umbro, in quanto colpita da una deviazione rima orale sinistra, e all’esito degli accertamenti ivi disposti gli veniva diagnosticata una paresi del nervo cranico sinistro, con conseguenti dimissioni nello stesso pomeriggio e indicazione di terapia farmacologica.
Purtroppo però due giorni dopo la paziente era costretta nuovamente a recarsi al pronto soccorso dell’ospedale per un episodio critico con rilascio sfinterico e in questa occasione gli veniva diagnosticata una meningite da pneumococco.
Dopo un breve ricovero in rianimazione, tre giorni dopo la paziente veniva dimessa con diagnosi di stato di coma in esiti da meningite.
La paziente restava quindi in coma per circa due anni e mezzo, fino a quando non decedeva.
I figli della paziente adivano il Tribunale di Perugia al fine di chiedere il risarcimento del danno all’integrità psico-fisica (cioè il danno biologico) sia di natura temporanea che permanente, subito dalla propria congiunta e loro trasmesso per via ereditaria, nonché – iure proprio – il risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale.
La struttura sanitaria si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande attrici e deducendo l’assenza del nesso di causalità tra il decesso della paziente e la condotta dei sanitari. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale: danno da perdita e da lesione del rapporto parentale
In primo luogo, il tribunale ha esaminato l’aspetto relativo al nesso di causalità tra le condotte poste in essere dalla struttura sanitaria e l’evento dannoso.
A tal proposito, il giudice ha ricordato che la prova della sussistenza di detto nesso causale non deve essere fornita “oltre il ragionevole dubbio” (come invece previsto in sede penale), bensì secondo il principio del “più probabile che non”. Ciò significa che il giudice deve verificare che ipotizzando il comportamento doveroso da parte della parte convenuta, sarebbe stata più probabile l’esclusione dell’evento dannoso che non la sua persistenza.
Inoltre, il giudice ha ricordato che, dopo aver accertato la sussistenza del nesso di causalità nei termini di cui sopra, la presenza di una concausa naturale (che partecipa alla causazione dell’evento dannoso, insieme alla condotta del danneggiante), come per esempio la presenza di una patologia, non è idonea ad incidere sulla positiva valutazione della sussistenza del predetto nesso di causalità (neanche quanto è incerto il suo grado effettivo di incidenza). Infatti, l’incidenza “concausale” della patologia del paziente può assumere esclusivo rilievo in punto di determinazione e liquidazione del danno risarcibile.
Per quanto concerne il danno da perdita del rapporto parentale, il giudice ha evidenziato come tale tipologia di danno e quindi la relativa domanda formulata dagli attori vanno ricondotti nell’alveo del paradigma della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. Ciò, in quanto il contratto di spedalità intercorso tra il paziente e la struttura sanitaria non assume effetti protettivi nei confronti di terzi.
La conseguenza della sussunzione di tale fattispecie di danno nello schema dell’illecito aquiliano è che grava sul danneggiato, oltre alla prova del nesso causale tra fatto illecito e danno, anche la prova dell’elemento soggettivo dell’illecito (cioè il dolo o la colpa del danneggiante).
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, la CTU svolta nella precedente sede di ATP ha accertato la sussistenza di profili di responsabilità a carico dei sanitari che hanno avuto in cura la paziente in occasione del primo ricovero in ospedale. In particolare, i periti nominati dal Tribunale hanno ritenuto che i sanitari della convenuta hanno commesso un errore diagnostico durante il predetto primo ricovero della paziente e hanno conseguentemente previsto una errata terapia farmacologica.
Infatti, le condizioni con cui la paziente ha fatto accesso presso la struttura sanitaria avrebbero dovuto indurre i medici ad eseguire una TAC che avrebbe consentito di escludere la paralisi del nervo cranico (erroneamente diagnosticata) e individuare la patologia di cui era realmente affetta (cioè una otite da pneumococco). Tale omessa diagnosi ha impedito di somministrare alla paziente una adeguata terapia antibiotica a largo spettro, che avrebbe contenuto l’infezione batterica e avrebbe impedito lo sviluppo della meningite.
Secondo i CTU, infatti, la somministrazione della terapia antibiotica avrebbe consentito una evoluzione della patologia infettiva tale da escludere, ragionevolmente, lo stato di coma nel quale la paziente è rimasta per circa due anni e mezzo.
In considerazione di ciò, il giudice ha ritenuto che la struttura sanitaria è responsabile dell’aggravamento delle condizioni della paziente e del suo stato di coma e che la condotta colposa della struttura sanitaria è una concausa concorrente con la causa naturale della patologia infettiva.
Conseguentemente, il giudice ha accolto la domanda di risarcimento del danno permanente e temporaneo alla integrità psico-fisica della paziente, invocato per via ereditaria dagli attori, in quanto la condotta dei sanitari ha determinato la condizione di coma irreversibile della paziente, che è valutabile in termini di postumi permanenti in misura pari al 100%.
Tuttavia, in ragione delle condizioni di salute pregresse della paziente, che avrebbero presumibilmente comportato comunque una invalidità permanente alla paziente stimabile nel 30% (anche qualora i sanitari avessero tenuto la condotta doverosa), il tribunale ha deciso di ridurre al 70% l’importo liquidabile in applicazione delle Tabelle milanesi.
Il giudice ha invece rigettato la domanda di risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale esercitata iure proprio da parte attrice.
A tal proposito, il giudice ha ritenuto che gli attori hanno chiesto il risarcimento del danno patito per la perdita del rapporto parentale a causa del “prematuro decesso” della madre. Essi hanno, dunque, indicato quale fatto costitutivo della domanda di risarcimento la morte della congiunta e non, invece, il presumibile deterioramento delle relazioni familiari conseguente alle gravi condizioni di salute nelle quali la congiunta ha vissuto per due anni e mezzo circa, cioè da quando è entrata in coma e fino al momento in cui è intervenuto il decesso.
Tuttavia, dall’istruttoria svolta in giudizio e dalla CTU espletata in sede di ATP, non sono emersi elementi che consentano di ricondurre, secondo il criterio del “più probabile che non”, il decesso della paziente all’omessa tempestiva diagnosi della patologia infettiva di origine batterica che ha determinato lo stato di coma della paziente.
In altri termini, l’istruttoria ha solo dimostrato che la condotta colposa dei sanitari ha determinato lo stato di coma della paziente, non invece il suo decesso. Per il raggiungimento di tale prova sarebbe stato necessario provare che, nel caso in cui i sanitari avessero diagnosticato tempestivamente la patologia infettiva da cui la paziente era affetta e nel caso in cui le avessero somministrato gli antibiotici ad ampio spettro, non vi sarebbe stato il decesso della paziente per arresto cardio – circolatorio nel giorno in cui è effettivamente avvenuto.
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