La fragile democrazia francese e il dibattito sul presidenzialismo in Italia

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L’ultimo governo Macron ha conseguito nelle elezioni del giugno 2022 la maggioranza relativa in Parlamento dando vita ad un’ipotesi che potrebbe definirsi “coabitazione” attenuata con l’opposizione e determinando un rallentamento della politica governativa. Successivamente, le forti proteste dapprima per il varo della riforma pensionistica, quindi gli scontri di piazza per l’assassinio di un giovane da parte della Polizia hanno messo in serio pericolo la democrazia francese. Tali vicende dovrebbero sollecitare un’approfondita riflessione sull’efficacia stabilizzante di una riforma in senso presidenziale, semipresidenziale o di un premierato forte che l’attuale governo si appresta ad attuare in Italia. 

Indice

1. La “coabitazione” attenuata del governo Macron


Per cercare di comprendere meglio l’attuale situazione in Francia si ritiene opportuno soffermarsi brevemente sulla forma di governo della V Repubblica. Come noto, l’elezione popolare del Presidente della Repubblica francese esalta l’uso dei poteri propri del Capo dello Stato, tra i quali assumono particolare rilievo la nomina del primo ministro, il ricorso al referendum legislativo, lo scioglimento dell’Assemblea nazionale, l’assunzione dei “poteri di crisi”, nell’ipotesi di grave e immediata minaccia e di interruzione del regolare funzionamento dei poteri costituzionali.[1]
Il potere esecutivo è dualistico, in quanto accanto al Presidente vi è il governo che “determina e dirige la politica nazionale” e il primo ministro che “dirige l’azione del governo”.
Quando il Capo dello Stato può contare su una maggioranza all’interno dell’Assemblea Nazionale, questi dirige il governo compiendo le grandi scelte politiche. Il primo ministro in questo caso viene definito dalla dottrina come “un comandante in seconda” che compie le scelte politiche quotidiane, dirigendo e coordinando l’attività dei ministeri. Inoltre, egli copre politicamente l’irresponsabilità del Presidente, costituzionalmente riconosciuta, residuando quale unica ipotesi di responsabilità quella che può determinare la destituzione del Capo dello Stato da parte del Parlamento costituito in alta Corte “nell’ipotesi di mancanza ai suoi doveri manifestamente incompatibile con l’esercizio del suo mandato”.
La situazione cambia radicalmente quando il Presidente deve “coabitare” con la maggioranza di un’assemblea neoeletta di opposto orientamento politico come si è verificato per tre periodi nel corso della V Repubblica. In tale ipotesi, egli nomina un primo ministro esponente della maggioranza parlamentare, il quale dirige effettivamente la politica del governo. Il Presidente ne esce ridimensionato senza tuttavia ridursi ad un Capo di Stato parlamentare, in quanto continua a svolgere un ruolo politicamente attivo nei settori della politica estera e della difesa, può rifiutarsi di firmare gli atti regolamentari deliberati nel consiglio dei ministri e può deferire al Consiglio Costituzionale le leggi approvate dalla maggioranza prima della promulgazione.
Le ultime elezioni legislative in Francia si sono tenute il 12 giugno del 2022 per il primo turno di votazione; il secondo turno ha avuto luogo il 19 giugno. Le elezioni si sono svolte dopo la riconferma del Presidente della Repubblica Emmanuel Macron, avvenuta alle elezioni presidenziali svoltesi in aprile.
Tuttavia, già la rivolta dei gilets jaunes, scoppiata nel novembre 2018 e conclusasi nel giugno 2019, può essere considerata un pericoloso attacco alle istituzioni della V repubblica. Il capo dello Stato e lo stesso Macron sono diventati infatti il catalizzatore di una protesta inizialmente sorta come reazione alla diminuzione del potere di acquisto e alle misure fiscali anti-inquinamento decise dal governo (in primis, una nuova tassa sul consumo di carburante per autoveicoli) e poi sfociata in una vera e propria insurrezione antisistema dai toni sempre più violenti e razzisti.[2] L’iniziale richiesta di un potenziamento degli strumenti di democrazia diretta si è presto trasformata in un attacco alle istituzioni rappresentative e in un’aperta contestazione della stessa legittimità del presidente (sfociata addirittura in un tentativo di assalto dei rivoltosi al palazzo dell’Eliseo).[3]
Ma un vulnus alla stabilità dell’esecutivo si è avuto con la seconda tornata delle elezioni legislative francesi che ha decretato la fine del c.d. “fait majoritaire” e ha aperto una nuova fase della V Repubblica.[4]
In un’Assemblea Nazionale estremamente frammentata, l’attuale campo presidenziale ha ottenuto la maggioranza relativa, ma quasi quaranta seggi lo separano dalla maggioranza assoluta, mentre i due principali partiti di opposizione considerati estremi (a destra e a sinistra) entrano in forza nelle sale del Palais Bourbon, con delegazioni nemmeno immaginabili sino a pochi anni fa. Il Rassemblement National di Marine Le Pen ha conquistato 89 seggi (contro gli 8 precedenti), mentre La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon ha conseguito nell’Assemblea Nazionale 75 deputati (a fronte dei 17 uscenti).
Ma a complicare il quadro c’è da considerare che la maggioranza relativa dei seggi non è stata ottenuta dal partito di riferimento di Emmanuel Macron (La République en marche), ma da una coalizione di tre forze.
Nessuno dubita, quindi, che la posizione di Macron sia divenuta difficile e, forse, persino più spinosa dei suoi predecessori che dovettero subire la “coabitazione”.  In effetti, un Presidente in “coabitazione” può giocare la carta del “contropotere”, ergersi a capo dell’opposizione e rallentare le iniziative dell’avversa maggioranza più distanti dal suo orientamento. Per converso, un Presidente “minoritario” non ha né il potere di incidere sull’indirizzo politico che gli proviene dall’essere il capo della maggioranza, né l’autorità per contrastare iniziative non gradite.
Quindi, una ri-parlamentarizzazione del sistema di governo appare quasi obbligata: dovrà riscoprirsi l’essenza della procedura parlamentare, dei suoi tempi e dei suoi compromessi, ma anche il ruolo che deve esercitare il Primo ministro nella costruzione di un indirizzo da costruire con il Parlamento e non da imporre ad esso.
La Francia e il suo “semi-presidenzialismo” sono stati sempre guardati da un’ampia e trasversale corrente riformistica (da ultimo l’attuale governo italiano) come un’evoluzione cui tendere in astratto, senza però che ci si interrogasse sul concreto funzionamento quotidiano delle istituzioni, delle politiche e sull’effettività di queste. In altri termini, si potrebbe affermare, non del tutto impropriamente, che in Francia si sia verificata un’ipotesi di “coabitazione” attenuata in cui il Presidente Macron si è trova a fare i conti con una maggioranza risicata sia nell’assemblea Nazionale che nel Senato, che indebolisce l’esecutivo e lo costringe a negoziare le sue politiche con singoli parlamentari. Le successive vicende lo hanno dimostrato. 

2. Le proteste per la riforma del sistema pensionistico


In questo contesto politico instabile si è inserita la nuova riforma delle pensioni, prevista nel programma del presidente Emmanuel Macron e al centro dell’azione del governo del primo ministro Elisabeth Borne, che è entrata in vigore lo scorso maggio in un contesto di diversi scioperi organizzati dalle organizzazioni sindacali francesi.[5]
Il governo francese è stato costretto ad attuare questa riforma anche perché le autorità europee hanno più volte invitato le autorità francesi a intraprendere riforme strutturali in diversi settori, tra cui quello pensionistico, per la riduzione del deficit. In particolare, di recente il Pension Adequacy Report,[6] che analizza la capacità dei sistemi pensionistici degli Stati membri di affrontare i mutamenti demografici, riporta che “Resta indispensabile una riforma del sistema pensionistico (francese), in particolare per aumentare la durata dell’attività lavorativa”. L’attuale riforma sembra quindi coerente con la linea politica dettata a livello europeo.
Secondo le stime del governo la riforma in questione porterà un risparmio nelle casse dello Stato di 17,7 miliardi di euro entro il 2030, con la conseguente riduzione del deficit e del debito pubblico.
L’innalzamento dell’età legale è stato uno dei principali argomenti di discussione nel dibattito pubblico e politico, ma non l’unico. Infatti, il provvedimento ha previsto, tra l’altro, un ulteriore innalzamento progressivo della c.d. età legale: a partire dal 1° settembre 2023, l’età pensionabile legale, fino ad ora una delle più basse in Europa, sarà gradualmente aumentata di 3 mesi per anno di nascita, raggiungendo i 64 anni nel 2030.
Il governo, però, è stato anche al centro di una forte discussione, che ha visto come protagonisti i partiti di opposizione, circa le modalità utilizzate per adottare la riforma delle pensioni. In particolare, è stato criticato l’utilizzo del meccanismo previsto dall’art. 49 comma 3 della Costituzione francese, ossia un iter legislativo diverso rispetto a quello ordinario.
In data 14 aprile 2023 il Consiglio Costituzionale, l’organo che ha il compito di verifica della legittimità costituzionale delle leggi, ha convalidato la maggior parte della riforma e ha bloccato una prima richiesta di referendum di iniziativa popolare avanzata dalla sinistra, che intendeva avviare la raccolta di 4,8 milioni di firme per una consultazione senza precedenti dei francesi, ponendo fine al dibattito giuridico sull’argomento.
Secondo l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) “Nel complesso, il pronunciamento del Consiglio sembra approfondire il solco della frattura profonda creatasi tra l’Eliseo e le piazze che promettono di non abbandonare la protesta. A nulla sono valse in queste settimane le spiegazioni del Presidente secondo cui l’innalzamento dell’età pensionabile è l’unico modo per salvare il bilancio dello stato nei decenni a venire. Le pensioni sono considerate infatti la pietra miliare del sistema di protezione sociale francese e i sindacati accusano il governo di non voler trovare i soldi altrove, ad esempio tassando maggiormente i più ricchi”.[7]
In questo modo, il solco sociale, già creatosi con le elezioni del giugno 2022, si è accentuato ancora di più. 

3. Gli scontri di piazza in seguito all’assassinio di un giovane da parte della Polizia


Non si erano ancora sopite le proteste contro la riforma del sistema pensionistico che, in data 27 giugno 2023, un agente di polizia, dopo aver ordinato a Nahel M. un diciassettenne francese di origine algerina di spegnere l’auto che stava guidando, dopo il suo rifiuto, gli ha sparato all’altezza del cuore, a distanza ravvicinata e il ragazzo è morto. Tale episodio si è verificato a Nanterre, un quartiere popolare appena fuori dal centro di Parigi.
In un primo momento la polizia ha sostenuto si sia trattato di legittima difesa, ma questa versione viene smentita da un video dell’accaduto. Da allora, la capitale francese è stata attraversata da rilevanti moti di protesta per l’omicidio del ragazzo di 17 anni.
Inizialmente, la versione ufficiale del dipartimento di polizia delle Hauts-de-Seine ha tentato di giustificare l’azione non proporzionata e illegale dell’agente in questione, dichiarando che avrebbe aperto il fuoco per fermare un’auto diretta ad alta velocità contro i due agenti in motocicletta, con l’intenzione di investirli. Tale versione, tuttavia, è stata smentita da un video della durata di 50 secondi, dapprima verificato da diversi giornalisti francesi e successivamente postato in rete, che mostra esattamente come siano andate le cose.
Nel video si vedono chiaramente due poliziotti con dei caschi bianchi interagire con un’automobile gialla ferma. Uno dei due è affacciato al finestrino del conducente, l’altro sta puntando la sua pistola d’ordinanza contro la persona al volante, attraverso il parabrezza. Dopo una discussione l’auto riparte a bassa velocità. Poi un’esplosione e un piccolo lampo bianco nell’abitacolo.Quindi l’auto avanza e mostra la figura intera del primo poliziotto con una pistola nella sua mano destra.[8] Il giovane è morto pochi minuti dopo, malgrado alcuni tentativi di rianimazione, mentre le altre due persone che viaggiavano con lui sono rimaste illese.
In un primo momento le forze di polizia hanno denunciato il ragazzo minorenne per rifiuto di ottemperare e tentato omicidio volontario nei confronti di persona avente pubblica autorità, come riporta il quotidiano francese Liberation. A seguito della diffusione del video  citato, l’Ispettorato generale della polizia di Stato della Francia ha aperto una seconda inchiesta per omicidio colposo, contro l’agente che ha ucciso il giovane, tuttora trattenuto in custodia dalle stesse forze dell’ordine.
Le istituzioni, a partire dal presidente della Repubblica Emmanuel Macron, hanno condannato il gesto come inaccettabile. Lo stesso ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, sostenitore di una legge che ha rafforzato i poteri della polizia, ha definito il video “estremamente scioccante”. Mentre Jean-Luc Mélenchon, leader della sinistra francese, ha sottolineato come non esista più la pena di morte in Francia e che nessun agente di polizia ha il diritto di uccidere se non per legittima difesa”.
Sempre su Liberation, i genitori e i legali del ragazzo assassinato hanno fatto sapere di aver presentato tre denunce alle autorità. Una per omicidio volontario contro il poliziotto che ha sparato al giovane. Un’altra per complicità verso l’altro agente presente, che non è intervenuto per fermare il collega. E una terza contro il dipartimento di polizia di Nanterre, per aver falsificato una dichiarazione pubblica, sostenendo che il ragazzo avrebbe tentato di investirli.
Successivamente, le manifestazioni di protesta contro la violenza della polizia si sono estese a tutta la Francia e violente sommosse sono scoppiate, oltre che a Parigi, tra l’altro, anche ad Amiens, Digione, Lille, Lione, Tolosa e Marsiglia. In alcuni casi i manifestanti hanno attaccato luoghi simbolo delle istituzioni, come municipi o scuole e hanno iniziato scontri con la polizia. Il ministro dell’Interno ha condannato la situazione invitando alla calma e, allo stesso tempo, ha sciolto un’associazione della polizia che aveva invece pubblicato dei tweet a sostegno del poliziotto responsabile dell’omicidio, condannandola come contraria ai valori repubblicani.   Si sono costituite spontaneamente anche ronde di cittadini per sedare le rivolte e le violenze dei rivoltosi hanno provocato danni per almeno 20 milioni di euro ai trasporti pubblici dell’Ile-de-France, la regione di Parigi. Questa la prima stima dell’autorità che gestisce il trasporto nella regione, Ile-de-France Mobilite’s (IDFM); nel computo dei danni sono compresi i bus e i tram bruciati e gli arredi urbani che sono stati rotti. A tale proposito il governo ha preannunciato una legge di emergenza per consentire una ricostruzione lampo degli oltre mille edifici pubblici distrutti e anche per risarcire i commercianti vittime di attacchi e saccheggi. 

4. Conclusioni


I gravi disordini verificatisi in Francia hanno evidenziato la fragilità del sistema democratico, provocata in parte anche dalla debolezza dell’ultimo governo Macron. D’altro canto la forma di governo semipresidenziale, oltre a produrre un conflitto tra le due teste del potere esecutivo, Presidente e Capo del governo, può sommare i difetti dei sistemi presidenziali (rigidità dei rapporti tra i poteri e governo diviso) con quelli dei sistemi parlamentari (instabilità delle coalizioni di governo).[9]
La vicenda francese dovrebbe indurre l’attuale governo italiano ad una più approfondita riflessione sulle riforme in senso presidenzialistico che intende effettuare. L’opzione più probabile, e cioè quella di un “premierato forte”, in primo luogo sminuirebbe la figura di garanzia costituita dal Presidente della Repubblica, il quale, nel nostro sistema, è capace di influenzare i processi politici. Mancherebbe, perciò, la sua posizione super partes di rappresentante dell’unità nazionale.[10]
Per alcuni costituzionalisti, potrebbe, anche, estremizzarsi la tendenza al leaderismo già presente nel nostro sistema. Infatti in Italia non vi è un problema di debolezza istituzionale del governo, ma di assenza di maggioranze che si formino sui programmi e non intorno ai leader.
Secondo taluni autori, poi, il “premierato forte” potrebbe essere in contraddizione con la democrazia partecipativa, definita dall’attuale Costituzione. La sovranità, secondo i padri costituenti, non deriva dal popolo ma gli appartiene, e continua ad appartenergli, non trasferendosi con l’elezione. Nella democrazia italiana non c’è il trasferimento della sovranità, ma il suo esercizio da parte del popolo anche attraverso i suoi rappresentanti.
D’altro canto, l’elezione diretta del Primo ministro potrebbe garantire che questi sia scelto dai cittadini, rappresentando, dunque, la Nazione, anziché i partiti. Rispetto alla forma parlamentare, questo sistema potrebbe avere maggiore connotazione rappresentativa.
Si potrebbe sostenere anche che un rapporto diretto tra Presidente del Consiglio ed elettori, potrebbe garantire identificabilità e responsabilità dell’eletto il quale sarà responsabile della sua politica. Ciò darebbe la possibilità di esercitare il diritto di voto in modo consapevole e razionale.
In questo senso il premier eletto dal popolo potrebbe garantire una maggiore governabilità attraverso un rafforzamento delle competenze e dei poteri di chi governa in quanto vi sarebbe un rapporto diretto tra persona e istituzione. In Italia un modello analogo di questo tipo è quello del Sindaco nelle elezioni comunali che costituisce un soggetto vicino al popolo e direttamente controllabile nelle sue iniziative.
Tuttavia, si potrebbe sostenere che la forma di governo parlamentare prevista nella nostra Costituzione potrebbe rientrare tra i punti immodificabili della stessa. Infatti, se le Costituzioni sono sempre modificabili, non lo sono invece in ogni loro parte; il che significa che la revisione incontra dei limiti di contenuto. Si ritiene, pertanto, che la Costituzione includa dei limiti impliciti, a meno che la stessa Costituzione non dichiari espressamente che non c’è alcun limite al potere del Parlamento di modificare qualsiasi disposizione costituzionale, cosa che non avviene in Italia. Pur in assenza di previsioni espresse la maggioranza degli autori ritiene quindi che la Costituzione non sia comunque emendabile nelle sue norme chiave, quelle cioè che contengono i principi di struttura dell’ordinamento, come potrebbe essere la forma di governo. E tale controllo, in caso di approvazione della legge in questione, sarebbe eventualmente di competenza della Corte costituzionale.[11]
Si auspica, tuttavia, che venga attuata la proposta che vorrebbe affidare ad un’Assemblea bicamerale, composta da tutte le parti politiche, anche di opposizione, la redazione del progetto di legge costituzionale. Infatti, se proprio deve essere approvata una riforma in senso presidenzialistico della nostra Repubblica, quantomeno si spera che la stessa sia formulata nel migliore dei modi e con il più ampio consenso. Tuttavia, si ritiene che tale proposta difficilmente verrà accolta.
Appare, poi, necessario che si addivenga ad una nuova elettorale. Ma mentre per la scelta di una riforma in senso presidenziale non vi sono divergenze tra le forze politiche della coalizione di centro destra, diversamente avviene per un’eventuale riforma elettorale. Infatti, Fratelli d’Italia e la Lega sono fautori di un sistema maggioritario che garantirebbe l’esigenza della governabilità, Forza Italia e le altre formazioni centriste aderenti alla coalizione sono favorevoli ad un sistema proporzionale che assicurerebbe l’esigenza della rappresentatività.[12]
In conclusione, pur non ignorando le difficoltà di tale scelta normativa, non si può disconoscere che il programma elettorale del centro destra a tale riguardo appare chiaro come obiettivo di fondo, molto meno nella sua definizione giuridico-istituzionale, e quindi gli elettori potranno scegliere liberamente e democraticamente sostenendo o meno con il proprio voto la riforma in senso presidenziale dal momento che, come probabilmente avverrà, la riforma verrà attuata con una maggioranza inferiore ai due terzi dei parlamentari e sarà necessario, quindi,  un referendum costituzionale ai sensi dell’art. 138 della Costituzione.

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  1. [1]

    G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 450 ss.

  2. [2]

    R. Casella, Capo dello stato e forma di governo dopo la riforma del quinquennato, in Nomos n. 2 del 2022.

  3. [3]

    In merito, si veda il numero tematico “Gilets jaunes”: un mouvement révolutionnaire? della Revue politique et parlementaire, n. 1090, janvier-mars 2019.

  4. [4]

    A. Lauro, La fine di un mito: le elezioni legislative francesi del 2022, in laCostituzione.info del 25 giugno 2022.

  5. [5]

    F. Lamacchia, La riforma delle pensioni in Francia: una riforma necessaria?, in iusinitinere del 15 maggio 2023.

  6. [6]

    Il Pension Adequacy Report del 2021 è consultabile qui: https://ec.europa.eu/social/main.jsp? catId=752&langId=it&

  7. [7]

    L. Pereira, Come e perché la Francia si divide sulla riforma macroniana delle pensioni. Report Ispi, in Startmagazine del 15 aprile 2023.

  8. [8]

    K. Carboni, I disordini in Francia dopo che la polizia ha ucciso un 17enne, in Wired del 29 giugno 2023.

  9. [9]

    G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato cit. 2016, p. 449.

  10. [10]

    P. Gentilucci, Il possibile presidenzialismo in Italia, in Altalex del 25 agosto 2022.

  11. [11]

    P. Gentilucci, Il possibile presidenzialismo in Italia, cit.

  12. [12]

    P. Gentilucci, Il sistema elettorale per le prossime elezioni politiche, in Diritto.it del 5 agosto 2022.

Prof. Paolo Gentilucci

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