L’Ufficio del Massimario e del Ruolo (Servizio penale) della Corte suprema di Cassazione ha redatto una relazione riguardante le novità introdotte dal decreto legge 11 aprile 2025, n. 48 (convertito dalla legge 9 giugno 2025, n. 80), altrimenti noto come decreto sicurezza.
In particolare, si tratta della relazione n. 33/2025 del 23 giugno del 2025.
Orbene, subito dopo la pubblicazione di codesta relazione sul sito internet della Cassazione, da più parti, si è evidenziato come, alla luce di tale relazione, sia emerso la bocciatura del decreto sicurezza da parte dei giudici di legittimità ordinaria[1], nel senso che sarebbero stati espressi dubbi sulla costituzionalità di siffatto atto avente forza di legge.
I problemi, che si vogliono affrontare nel presente scritto, sono dunque quelli di capire se effettivamente l’Ufficio del Massimario della Cassazione, che sicuramente non può essere identificata con la Cassazione, quale organo di giustizia in quanto tale (e questa è la prima riflessione da doversi fare), abbia effettivamente affermato l’illegittimità costituzionale di siffatto decreto (in tutto o in parte) per poi appurare, in caso di risposta positiva, se effettivamente tale Ufficio potesse effettivamente fare una valutazione del genere. Per leggere il testo in PDF, si rinvia all’articolo “Conversione del Decreto Sicurezza in Gazzetta Ufficiale (testo in PDF)“. Per un’analisi approfondita degli interventi introdotti dal D.L. n. 48/2025, convertito in L. n. 80/2025, in materia penale sostanziale e processuale, abbiamo pubblicato il volume Il nuovo decreto sicurezza – Tutte le novità del D.L. n. 48/2025, convertito in L. n. 80/2025, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Indice
- 1. Sulla questione connessa al ricorso alla decretazione d’urgenza del “Decreto sicurezza”
- 2. Modifiche al codice penale
- 3. Modifiche alla legislazione penale complementare
- 4. Modifiche in materia di esecuzione penale e di ordinamento penitenziario
- 5. Modifiche in materia di misure di prevenzione
- 6. Conclusioni
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- Note
1. Sulla questione connessa al ricorso alla decretazione d’urgenza del “Decreto sicurezza”
Da pagina 5 a pagina 20 della suddetta relazione, l’Ufficio del Massimario si sofferma sui profili costituzionali generali.
Ebbene, esaminando queste pagine, una per una, tale Ufficio non assume una posizione apertamente rivolta ad affermare l’illegittimità costituzionale del decreto sicurezza, limitandosi, nella maggior parte dei casi, a richiamare sic et simpliciter i profili di criticità costituzionale sollevati, specialmente dai costituzionalisti, vuoi per la ritardata presentazione alle Camere (p. 10), vuoi per la carenza dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza (da p. 10 a p. 13), vuoi per l’uso della decretazione d’urgenza in materia penale (da p. 14 a p. 15), vuoi per gli aspetti costituzionali di merito, a proposito dei principi costituzionali in materia penale (da p. 16 a p. 20).
In tutti questi casi, difatti, l’analisi compiuta si incentra sulle valutazioni critiche compiute in sede scientifica ma, si ripete, il predetto Ufficio non prende alcuna posizione al riguardo, né per avallare siffatte valutazioni, né per contrastarle.
Qualche perplessità potrebbe sorgere in riferimento ad un peculiare profilo di criticità costituzionale, sempre analizzato con le stesse modalità, ossia quello afferente l’eterogeneità (da p. 13 a p. 14).
Ma, in realtà, se andiamo ad esaminare questa parte della relazione, non sembra che l’Ufficio in questione recepisca siffatto profilo critico, sebbene, non tanto sotto un versante propriamente giuridico, quanto piuttosto alla luce di un rilievo prettamente pragmatico.
Invero, sebbene si affermi che, dal “punto di vista delle finalità perseguite e, quindi, del contenuto, il provvedimento d’urgenza nasce eterogeneo, così come lo era l’originario d.d.l. sicurezza”[2], si nota, tuttavia, “come sulla disomogeneità ab origine del decreto-legge la Corte costituzionale raramente si è pronunciata: solo l’estraneità di singole disposizioni è stata causa di incostituzionalità, in quanto sintomo della non sussistenza per le stesse dei medesimi presupposti che giustificano il provvedimento (Corte cost. n. 171 del 2007; Corte cost. n. 128 del 2008; Corte cost. n. 146 del 2024; rispetto ai provvedimenti cd. omnibus, v. Corte cost. n. 22 del 2012)”[3] visto che abitualmente il Giudice delle leggi “ritiene che le disposizioni di provvedimenti governativi a contenuto multiplo debbano essere “accomunate dall’obiettivo e tendere tutte a una finalità unitaria, pur se connotata da notevole latitudine” (da ultimo Corte cost. n. 146 del 2024)”[4], notandosi tra l’altro al contempo che, nel “caso del decreto sicurezza – ha pure osservato la dottrina costituzionalistica – “chiara è l’eterogeneità materiale, in quanto le previsioni riguardano settori distinti, mentre è più complesso argomentare l’assenza di una complessiva omogeneità di scopo posto che la giurisprudenza costituzionale lascia spazio a una interpretazione ampia del criterio teleologico e non ha mai fatto valere il limite che imporrebbe, per una pluralità di presupposti, altrettanti provvedimenti d’urgenza””[5].
Non sembra quindi, ad avviso di chi scrive, che l’Ufficio del Massimario abbia espressamente assunto una posizione favorevole all’effettiva incostituzionalità del decreto sicurezza in relazione a tale peculiare questione. Per un’analisi approfondita degli interventi introdotti dal D.L. n. 48/2025, convertito in L. n. 80/2025, in materia penale sostanziale e processuale, abbiamo pubblicato il volume Il nuovo decreto sicurezza – Tutte le novità del D.L. n. 48/2025, convertito in L. n. 80/2025, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
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2. Modifiche al codice penale
Per quanto afferisce le modificazioni apportate al codice penale dal decreto sicurezza, incominciando dalla detenzione di materiale con finalità di terrorismo (art. 270-quinques.3 cod. pen.), introdotto dall’art. 1, co. 1, lett. a), decreto sicurezza, per l’Ufficio del Massimario, alla luce delle critiche prospettate in relazione all’introduzione di tale nuova norma incriminatrice, specialmente sotto il profilo al principio di offensività del reato (p. 23), si renderebbe necessario “approfondire il tema della compatibilità della fattispecie di nuovo conio con il principio di offensività, considerata la rilevante anticipazione della tutela penale realizzata dal legislatore del 2025” (p. 24).
In questo caso, non sembra peregrino ritenere come i dubbi di legittimità costituzionale siano stati manifestati, sebbene non espressamente, ma in modo ipotetico.
Orbene, soffermandoci un attimo su questo passaggio argomentativo, per chi scrive, il problema, in questo caso, non è tanto quello di accertare se l’Ufficio del Massimario possa stimare la norma qui in esame costituzionalmente illegittima (e, comunque, tale affermazione, come appena scritto, non è stata resa espressamente), quanto piuttosto verificare se sempre questo Ufficio avrebbe dovuto provare a fornire una interpretazione “costituzionalmente orientata” di siffatto precetto normativo, volto a conferire una chiave di lettura di codesta norma di legge conforme alla nostra legge fondamentale e, quindi, in quanto tale, applicabile in sede di legittimità ordinaria.
Infatti, se andiamo a vedere i compiti, che spettano all’Ufficio del Massimario della Cassazione, così come si evincono dal link www.cortedicassazione.it/it/massimario.page, tenuto conto che il compito “istituzionale dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo è l’analisi sistematica della giurisprudenza di legittimità, condotta allo scopo di creare le condizioni di un’utile e diffusa informazione (interna ed esterna alla Corte di cassazione), necessaria per il miglior esercizio della funzione nomofilattica”[6], vale a dire “la garanzia dell’uniforme interpretazione della legge e dell’unità del diritto oggettivo nazionale”[7], nei termini declinati dall’art. 65, co. 1, r.d., 30 gennaio 1941, n. 12[8], e considerato che, tra le attività, attraverso le quali si svolge siffatta analisi articolata, vi è proprio la redazione di “relazioni, anche di ufficio, su novità legislative, specie se di immediata incidenza sul giudizio di legittimità”[9], a modesto avviso di chi scrive, si sarebbe dovuto procedere ad una interpretazione di siffatta norma incriminatrice, proprio in relazione all’aspetto critico, testé segnalato, vale a dire quello riguarda il principio di offensività del reato, con cui provare a garantire l’osservanza di codesto principio.
In effetti, se il compito dell’Ufficio del Massimario è quello di analizzare sistematicamente la giurisprudenza di legittimità anche attraverso l’esame di novità normative, ciò vuole significare, per rigore di logica, non essendovi ancora una giurisprudenza di legittimità sul punto, trattandosi per l’appunto di novità normativa, che sia compito di questo Ufficio perlomeno quello di indicare delle linee ermeneutiche che poi le diverse Sezioni della Cassazioni potranno prendere in considerazione, quando saranno chiamate ad applicare le regole contenute in questo decreto legge.
Se, difatti, la redazione di tali relazioni va annoverata tra le attività attraverso le quali l’Ufficio del Massimario deve svolgere il suo compito di analizzare sistematicamente la giurisprudenza di legittimità al fine di creare le condizioni di un’utile e diffusa informazione necessaria per il miglior esercizio della funzione nomofilattica, va da sé che, salvo ritenere questa redazione un qualcosa che travalica siffatta analisi (e allora non si riesce a comprendere perché essa è stata inclusa tra quelle operazioni mediante le quali si deve compiere tale analisi), qui non si tratta tanto di analizzare una giurisprudenza di legittimità già in fieri, quanto piuttosto anticipare la giurisprudenza che emergerà nel futuro.
Ebbene, per chi scrive, in relazione alla norma qui in esame, ciò non è stato fatto.
A questo punto della disamina, una domanda sorge spontanea: tale situazione si è ripetuta in altre parti della relazione qui in commento?
Proseguendo sempre la disamina in merito alle modifiche apportate al codice penale, una prima risposta negativa al quesito appena formulato sembra emergere a proposito del reato di fabbricazione o detenzione di materie esplodenti (art. 435, comma secondo, cod. pen.), introdotto dall’art. 1 co. 1, lett. b), decreto sicurezza dato che, nella relazione in esame, si afferma che, “nell’intento di offrire una lettura della norma maggiormente compatibile con il principio di offensività del reato, si è ritenuto necessario ancorare l’espressione «per il compimento di taluno dei fatti non colposi…» alla dimensione oggettiva della condotta, nel senso di rendere necessaria la idoneità concreta del materiale oggetto della divulgazione o diffusione ad offrire supporto di tecnica e di metodo alla realizzazione dei reati contro l’incolumità pubblica, come richiesto dalla norma”[10].
In questo caso, invero, a differenza di quello precedente, sebbene attraverso il richiamo a quanto sostenuto dalla dottrina (PELLISSERO), l’Ufficio del Massimario, sebbene non direttamente, sembra avere proceduto ad una interpretazione costituzionalmente orientata di questo precetto normativo.
In termini non dissimili, in relazione al delitto di rivolta all’interno di un istituto penitenziario aggravati dall’evento (lesione o morte) rispettivamente di cui all’art. 415-bis, co. 4, e co. 5, cod. pen. (norma incriminatrice, questa, anch’essa introdotta nel nostro ordinamento giuridico dal decreto sicurezza (art. 26, co. 1, lett. b.)], l’Ufficio del Massimario si “premura” di fornire una lettura costituzionalmente orientata di codesto precetto normativo, nel senso che, a fronte del “problema, rispetto a questi fatti aggravati dall’evento (lesione o morte), mono-offesivo o pluri-offensivo, del titolo di responsabilità soggettiva ascrivere in capo agli autori”[11], esso ritiene come codesto problema debba essere risolto nel seguente modo: “La questione va risolta in conformità al principio di colpevolezza (art. 27 Cost., come interpretato a partire da Corte cost. n. 364 del 1988, da Corte cost. n. 1085 del 1988 e da Corte cost. n. 322 del 2007310), dovendosi rifuggire da qualsivoglia lettura in termini di responsabilità oggettiva”[12].
In modo non molto dissimile, sebbene però non identico, per quanto afferisce la causa di non punibilità di cui all’art. 634-bis, co. 3, cod. pen., la posizione assunta dall’Ufficio suesposto, sebbene espresso in forma meramente condizionale, non sembra essere unicamente critica, in quanto, pur essendo stato postulato, sempre nella relazione in questione, che potrebbe, “eventualmente, residuare qualche possibile dubbio in ordine alla eccessiva indeterminatezzadella causa di non punibilità in disamina, nella parte in cui si limita ad esigere una condotta di collaborazione all’accertamento dei fatti (sia pure da leggersi in uno con la volontaria ottemperanza all’ordine), non altrimenti definita”[13], tanto più se si considera che il problema in questione “potrebbe porsi perché la condotta di collaborazione è prevista genericamente e senza essere altrimenti definita”[14], non ci si limita a rilevare sic et simpliciter siffatta eventuale problematica di rilievo costituzionale (seppure non espressamente definito come tale), si “suggeriscono” comunque potenziali opzioni ermeneutiche atte a risolvere codesta problematica, nel senso di ritenere necessaria, citando una pregressa giurisprudenza nomofilattica formatasi su materie analoghe, “una concreta e fattiva attività di collaborazione, volta ad evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori e a coadiuvare gli organi inquirenti nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e la cattura degli autori dei delitti, non essendo sufficiente un mero atteggiamento di resipiscenza, la confessione delle proprie responsabilità o la descrizione di circostanze di secondaria importanza”[15].
Ciò posto, sempre in riferimento a questo “nuovo” art. 634-bis cod. pen., è vero che tale Ufficio ha evidenziato come da una parte della dottrina siano stati sollevati profili di criticità costituzionale (p. 32), ma è altrettanto vero che non è stata presa una posizione su tale critiche, né in senso di avallarle, né per contrastarle.
Lo stesso dicasi per il “nuovo” art. 61, comma primo, n. 11-decies, cod. pen. (introdotto dall’art. 11, co. 1, decreto sicurezza) (p. 37 e p. 38); per le modifiche apportate in materia di sospensione condizionale della pena dall’art. 13, co. 2, decreto sicurezza (p. 44), per le modificazioni apportate all’art. 415 cod. pen. in ragione di quanto stabilito dall’art. 26, co. 1, lett. a), decreto sicurezza (da p. 59 a p. 61).
Valgono quindi le considerazioni già fatte in precedenza allorché abbiamo esaminato la questione connessa al ricorso alla decretazione d’urgenza.
Su un’altra novità introdotta dal decreto sicurezza, e segnatamente da parte dell’art. 19, alle lett. a) e b), il quale “modifica l’art. 336 (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) e, rispettivamente, l’art. 337 (Resistenza a un pubblico ufficiale) cod. pen. introducendo in calce ad entrambe un nuovo comma che prevede l’aumento della pena fino alla metà «se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza»”[16], invece, l’Ufficio del Massimario sembra non esprimere alcuna affermazione ipotetica sull’illegittimità costituzionale di tale precetto normativo, avendo asserito, nella relazione in esame, per l’appunto senza incertezza alcuna, che “non può escludersi la violazione dell’art. 3 Cost. dal momento che la disposizione in commento reca con sé astrattamente il pericolo di una disparità di trattamento che non appare giustificata da un’oggettiva esigenza di differenziazione, né dagli interessi oggetto di tutela desumibili dalla norma stessa e dalla sua ratio”[17], apparendo per quest’Ufficio ciò “rilevabile con riferimento all’aggravante di cui all’art. 337, comma terzo, cod. pen. che finisce per differenziare la condotta di colui che, usando violenza o minaccia, si oppone ad un atto dell’ufficio di un ufficiale/agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, da quella di colui che realizza la medesima condotta nei confronti di altri pubblici ufficiali benché tale nozione, secondo la definizione data dall’art. 357 cod. pen., sia molto ampia, ricomprendendo tutti coloro che esercitano altra pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa”[18], in guisa che, operando in tal guisa, “nel tentativo dichiarato di tutelare il personale delle Forze di Polizia, si creerebbe una disparità di trattamento non corrispondente ad un’effettiva maggiore o minore offensività della condotta posta in essere dall’autore del reato”[19].
Ebbene, qui non si tratta tanto di valutare se un’argomentazione di questo genere sia condivisibile o meno, quanto piuttosto ritenere se sia possibile formulare un vaglio giuridico di questo genere, dato che esso sembrerebbe esulare dai compiti che spettano all’Ufficio del Massimario della Cassazione (nei termini suesposti in precedenza).
Infine, ulteriori perplessità sembrano emergere a proposito di quanto rilevato in relazione alla previsione, contenuta nella lettera c) dell’art. 19 del decreto sicurezza, in cui, come è noto, è contemplata una “nuova circostanza aggravante comune ai reati di cui agli artt. 336, 337 e 338 cod. pen., realizzata attraverso l’aggiunta di un nuovo ultimo comma all’art. 339 cod. pen. del seguente tenore: «Le disposizioni del primo comma si applicano anche se la violenza o la minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici.»”[20].
Difatti, nella relazione in esame, si critica apertamente tale novità normativa nei seguenti termini: “Tra i primi commentatori si è sottolineato che “ciò che preoccupa gli operatori del diritto, di norma, è l’innalzamento dei minimi edittali più che dei massimi, in quanto i primi impongono al Giudicante maggiore severità in caso di condanna. Tuttavia, non è da ignorare l’effetto che hanno tali previsioni, che stabiliscono pene draconiane per circostanze di non particolare allarme sociale, sulla pena in concreto irrogabile, per mezzo della paralisi di qualsiasi effetto riduttivo derivante delle attenuanti, nonché ai fini della prescrizione e soprattutto in termini di applicabilità delle misure cautelari. Tale innovazione rischia di permettere la differenziazione della sanzione penale non sulla base di una maggiore o minore gravità del fatto materiale e nemmeno sulla base delle ragioni maggiormente riprovevoli che muovono l’agente (come nel caso dei futili motivi), ma solo sulla base delle motivazioni ideologiche poste a fondamento del dissenso, vale a dire l’opposizione alla realizzazione della grande opera, le quali non possono considerarsi di per sé indice di maggiore o minore gravità””[21].
Sempre, nei termini di una critica aperta, da cui non sembrano emergere eventuali soluzioni ermeneutiche volte a fornire al precetto normativo, che menzioneremo da qui a breve, una lettura costituzionalmente orientata, è l’art. 415-bis, co. 4, e co. 5, cod. pen. (previsto dall’art. 26, co. 1, lett. b) del decreto sicurezza) visto che, tra i diversi rilievi critici enunciati, si richiama quel passaggio della relazione in esame nella parte in cui è scritto quanto segue: “aspetto maggiormente problematico sul piano del disvalore di condotta perché impinge i principi costituzionali di ragionevolezza, di materialità-offensività se non anche di libertà di autodeterminazione individuale – ad essere punita a questo titolo di reato (…) anche la mera resistenza passiva, “non minacciosa e non violenta, dunque di per sé non offensiva”, perché “nei fatti pacifica”, finendosi con l’incriminare, con questa “grave” assimilazione, la mera disobbedienza, ossia “ogni atto di ribellione, non connotato da violenza o minaccia, quali, ad es., il rifiuto del cibo o dell’ora d’aria””[22].
Ebbene, si tratta di critiche, che anche a volere concedere che possano avere anche un loro fondamento giuridico, ad avviso di chi scrive, difficilmente però dovrebbero rientrare nel compito che spetta all’Ufficio del Massimario, ogni volta debba redigere una relazione su una novità normativa (e ciò per le ragioni enunciate in precedenza).
3. Modifiche alla legislazione penale complementare
Per quanto attiene le modifiche alla legislazione penale complementare, in riferimento al reato di blocco stradale (art. 17 del decreto sicurezza), l’Ufficio del Massimario della Cassazione si limita a enunciare le criticità prospettate, prevalentemente in sede scientifica, senza fare una valutazione autonoma alcuna (p. 75).
Nulla quaestio, quindi, è prospettabile su tale passaggio argomentativo (per le ragioni già espresse in precedenza).
Ciò posto, a proposito dell’art. 18 del decreto sicurezza, che “modifica ed integra gli artt. 1, 2 e 4 della legge 2 dicembre 2016, n. 242, recante «disposizioni per la promozione della coltivazione della filiera agroalimentare della canapa», incidendo così – come ha osservato il C.S.M. in sede di parere sul d.l. sicurezza – “su una materia oggetto di approfondita attenzione da parte della giurisprudenza nazionale (di legittimità e costituzionale) e comunitaria”[23], la posizione, assunta dall’Ufficio del Massimario, su tale novità normativa, sebbene apertamente critica, essendo sostenuto che “la disciplina restrittiva di nuova introduzione, siccome penalmente presidiata, potrebbe porsi in contrasto, oltreché che con il principio di determinatezza della legge penale “cioè con la componente del principio di legalità che vieta l’incriminazione di fatti che non siano suscettibili di essere accertati e provati nel processo”, soprattutto con quello di offensività (in astratto) nella misura in cui le evidenze scientifiche dimostrano l’assenza di effetti droganti quando il principio attivo della cannabis si collochi al di sotto delle percentuali di THC indicate dall’art. 4 legge 242 del 2016 che, in effetti, sono sempre servite a valutare, in via generale e astratta, la liceità della coltivazione industriale della canapa (“nella sua interezza”: v. postea) da parte dell’agricoltore che “pur impiegando qualità consentite, nell’ambito della filiera agroalimentare delineata dalla novella del 2016, coltivi canapa che, nel corso del ciclo produttivo, risulti contenere, nella struttura, una percentuale di THC compresa tra lo 0,2 per cento e lo 0,6 per cento, ovvero superiore a tale limite massimo” (così Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, omissis, in motiv. § 5.2)”[24], non esime tuttavia codesto Ufficio dall’individuare, in modo del tutto condivisibile, a sostenere “una (ri)lettura giudiziale dell’art. 18 che possa escludere, sulla base del principio di concreta offensività della condotta la penale rilevanza dei fatti relativi alle infiorescenze prodotte dalla coltivazione di cannabis sativa “per difetto dell’elemento dell’offesa”, quando il derivato sia, in concreto, privo di efficacia drogante o psicotropa (cfr. sul punto già Sez. U, n. 30474 del 30/05/2019, omissis, Rv. 275956-01398 e Corte cost. n. 109 del 2016)”[25].
Al contrario, a proposito dell’“estensione del meccanismo delle garanzie funzionali anche alle condotte di direzione e organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico (art. 270-bis, primo comma, cod. pen.)”[26] posto che “tale previsione introduce (…) un assoluto inedito nel panorama penalistico di riferimento, posto che la direzione e organizzazione delle predette associazioni è fenomeno ben diverso, più grave e più pericoloso rispetto alla già sperimentata possibilità di “infiltrazione” – id est: le “ordinarie” operazioni sotto copertura – giustificabile al livello di mera partecipazione”[27], per l’Ufficio del Massimario, la scriminante in questione “potrebbe apparire sproporzionata – se non addirittura disfunzionale – rispetto alle esigenze da perseguire e potrebbe suscitare dubbi di illegittimità costituzionale, nella misura in cui sembra consentire l’organizzazione e direzione di associazioni vietate ai sensi dell’art. 18 Cost.”[28].
Dunque, pure in tale caso, per codesto Ufficio, si profila un contrasto di una novità normativa, tra quelle previste dal decreto sicurezza, con la nostra Legge fondamentale, senza che però che si fornisca una interpretazione costituzionalmente orientata volta a rimediare a tale situazione.
4. Modifiche in materia di esecuzione penale e di ordinamento penitenziario
A proposito delle modifiche effettuate dal decreto sicurezza in materia di esecuzione penale e di ordinamento penitenziario, l’Ufficio del Massimario, in relazione all’art. 15, comma 1, decreto sicurezza, il quale “apporta modifiche agli artt. 146 e 147 cod. pen. rendendo facoltativo” [29], rinvia alle criticità di ordine costituzionale espresse dalla dottrina (p. 105 e p. 106).
5. Modifiche in materia di misure di prevenzione
In ordine alle misure di prevenzione, e segnatamente in relazione alle modifiche effettuate dal decreto sicurezza in materia di divieto di accesso alle aree delle infrastrutture di trasporto e alle loro pertinenze (stante quanto stabilito dall’art. 13, commi 1 e 2), l’Ufficio del Massimario rinvia semplicemente a talune posizioni critiche, assunte in dottrina, ed espresse nei seguenti termini: “La neo-introdotta ipotesi di DACUR ha suscitato perplessità e critiche da più parti e per più ragioni, segnatamente: per il valore simbolico che riveste in senso autoritario-repressivo; per l’“amministrativizzazione della sicurezza, in collisione con il principio di tassatività e legalità in materia penale (art. 25 Cost.), le garanzie della libertà personale (art. 13), i principi della Convenzione EDU”; per il rischio di violazione dei diritti umani, soprattutto con riferimento al diritto di protesta pacifica e manifestazione del dissenso e al diritto di difesa; per la marginalizzazione di alcune categorie che potrebbe causare; per l’ampia discrezionalità assicurata al questore nell’applicazione di tali misure e l’insufficiente precisione nell’individuazione delle condotte che possono comportare la restrizione della libertà di circolazione; per l’indeterminatezza contenutistica del provvedimento, soprattutto se declinato nella forma del divieto di soggiorno nelle “immediate vicinanze” di determinati luoghi”; per la frizione con l’art. 27 Cost.; in definitiva, perché “mai si erano consentiti daspo urbani così estesi e limitativi di libertà fondamentali fondati su dati così incerti””[30].
6. Conclusioni
Queste sono in sostanza, per sommi capi, i rilievi di criticità costituzionale che emergono dalla disamina della relazione analizzata con il presente scritto.
La modalità, con cui sono stati trattati siffatti rilievi, come ampiamente evidenziato nell’articolo qui pubblicato, variano dal richiamare quanto postulato prevalentemente da parte della dottrina ad assumere direttamente una posizione, da parte dello stesso Ufficio del Massimario, volta a sostenere l’illegittimità costituzionale di talune delle novità normative introdotte dal decreto sicurezza.
Orbene, come già esposto più volte in precedenza, se il primo approccio è del tutto condivisibile trattandosi di una relazione che, per potere tracciare una linea interpretativa, non può esimersi dal richiamare le criticità espresse in sede scientifica, più discutibile pare essere il secondo, specie se non accompagnato dall’indicazione di una interpretazione costituzionalmente orientata volta a risolvere le possibilità problematiche sempre di ordine costituzionale che possono affiorare dall’introduzione di nuovi precetti normativi (il che è avvenuto in molti casi, come visto in precedenza, ma non sempre), dato che, per chi scrive, esso mal si concilia con il compito demandato all’Ufficio del Massimario della Cassazione, volto ad analizzare sistematicamente le novità normative mediante l’indicazione delle linee ermeneutiche, che poi le diverse Sezioni della Cassazioni potranno prendere in considerazione, quando saranno chiamate ad applicare le norme contenute in questo decreto legge.
Ad ogni modo, non resta che attendere quali tra queste questioni, evidenziate in tale relazione, saranno affrontate in sede giudiziale.
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Note
[1]Sull’argomento, senza nessuna pretesa di completezza espositiva, vedasi: E. MARTINI, La Cassazione boccia il decreto sicurezza, in ilmanifesto.it; ANSA, Dubbi della Cassazione: ‘Criticità nel decreto sicurezza’, in ansa.it; M. MARCELLI, I dubbi della Cassazione sul dl sicurezza: «criticità» nel metodo e nel merito, 27 giugno 2025, in avvenire.it; Redazione adnkronos, DL sicurezza, la Cassazione: “Ci sono criticità”. Nordio: “Incredulo”, 27 giugno 2025, in adnkronos.
[2]Ufficio del Massimario e del Ruolo (Servizio penale) della Corte suprema di Cassazione, Relazione su novità normativa Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario (d.l. 11 aprile 2025, n. 48, convertito dalla legge 9 giugno 2025, n. 80), n. 33/2025 del 23 giugno 2025, in cortedicassazione.it, p. 13.
[3]Ibidem, p. 14.
[4]Ibidem, p. 14.
[5]Ibidem, p. 14.
[6]www.cortedicassazione.it/it/massimario.page.
[7]https://www.treccani.it/vocabolario/nomofilachia/.
[8]Ai sensi del quale: “La corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità, del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge”.
[9]www.cortedicassazione.it/it/massimario.page.
[10] Ufficio del Massimario e del Ruolo (Servizio penale) della Corte suprema di Cassazione, Relazione su novità normativa Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario (d.l. 11 aprile 2025, n. 48, convertito dalla legge 9 giugno 2025, n. 80), n. 33/2025 del 23 giugno 2025, in cortedicassazione.it, p. 26.
[11]Ibidem, p. 64.
[12]Ibidem, p. 64.
[13]Ibidem, p. 31.
[14]Ibidem, p. 31.
[15]Ibidem, p. 31.
[16]Ibidem, p. 46.
[17]Ibidem, p. 47.
[18]Ibidem, p. 47.
[19]Ibidem, p. 47.
[20]Ibidem, p. 48.
[21]Ibidem, p. 48.
[22]Ibidem, p. 66.
[23]Ibidem, p. 75.
[24]Ibidem, p. 80.
[25]Ibidem, p. 81.
[26]Ibidem, p. 97.
[27]Ibidem, p. 97.
[28]Ibidem, p. 97.
[29]Ibidem, p. 101.
[30]Ibidem, p. 127 e p. 128.
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