Il curatore di eredità giacente può rispondere di peculato?

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Il curatore dell’eredità giacente può rispondere del reato di peculato?
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 314)
Corte di Cassazione -sez. VI pen.- sentenza n.1103 del 27-10-2022

Indice

1. La questione

La Corte di Appello di Messina, in parziale riforma di una sentenza pronunciata dal Tribunale della medesima città, condannava l’imputato per il reato di peculato e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, riduceva la pena ad anni 2 e mesi 8 di reclusione, confermando nel resto la sentenza.
In particolare, si contestava all’accusato che, nella sua qualità di curatore della eredità giacente giusta nomina di Tribunale civile, e quindi in qualità di pubblico ufficiale, si era appropriato di una somma di euro erogata di un Comune a favore della de cuius, a titolo di contributo, ai sensi della L. 413/1991, per i lavori di riparazione dell’immobile sito in quella località, trasferendo la somma erogata dall’ente pubblico sul proprio conto corrente personale.
Ciò posto, avverso il provvedimento summenzionato la difesa dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, si deduceva vizio di motivazione per avere la Corte di Appello, a conferma della sentenza di primo grado in ordine alla penale responsabilità ex art. 314 cod. pen. dell’imputato, riconosciuto la sussistenza del peculato senza accertare la effettiva causale delle giacenze di somme di danaro sul conto corrente personale dell’accusato, al di là degli accrediti da parte del Comune.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva il motivo suesposto non meritevole di accoglimento.
Nel dettaglio, gli Ermellini – dopo avere fatto presente che il curatore dell’eredità giacente, nominato a norma dell’art. 528 cod. civ, va annoverato fra gli ausiliari del giudice, dovendosi intendere per tale, secondo la definizione datane dall’art. 68 cod. proc. civ. (che, nel prevedere, oltre il custode e il consulente tecnico, gli altri ausiliari nei casi previsti dalla legge o quando ne sorga la necessità, ha creato al riguardo una categoria aperta), il privato esperto in una determinata arte o professione e in generale idoneo al compimento di atti che il giudice non può compiere da solo, temporaneamente incaricato di compiere una pubblica funzione, il quale, sulla base della nomina effettuata da un organo giurisdizionale, presti la sua attività nell’ambito di una determinata procedura, sì da renderne possibile lo svolgimento e consentire la realizzazione delle relative finalità e che tali caratteristiche sono riscontrabili nella figura del curatore dell’eredità essendo costui tenuto sotto giuramento, ex art 193 disp. att. cod. proc. civ., a custodire e ad amministrare fedelmente i beni dell’eredità, sotto la direzione e la sorveglianza del giudice, da esplicarsi mediante appositi provvedimenti, nonché esercitando poteri di gestione finalizzati alla salvaguardia del patrimonio ereditario in attesa della sua definitiva destinazione, oltre ad essere obbligato al rendiconto della propria amministrazione, cui consegue l’approvazione e la consegna all’erede del patrimonio convenientemente gestito (cfr. Cass. S.U. civili 21/11/1997 n. 11619) – rilevavano come tali compiti siano espressione tipica della funzione pubblica esercitata in ausilio all’attività del giudice in guisa tale che, conseguentemente, deve riconoscersi la qualità di pubblico ufficiale del curatore dell’eredità giacente e la inquadrabilità della condotta di appropriazione di un bene ereditario da parte di tale soggetto qualificato nel reato proprio di cui all’art. 314 cod. pen. (Sez. 6, n. 34335 del 09/04/2010).
Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, i giudici di piazza Cavour reputavano come la Corte territoriale, con motivazione, in fatto, (stimata) puntualmente e logicamente argomentata, avesse ritenuto provato oltre ogni ragionevole dubbio la responsabilità dell’imputato alla luce della incontroversa ricostruzione contabile effettuata sui movimenti del denaro versato per finanziare la ricostruzione dell’immobile e, invece, in parte trattenuto dall’imputato che ne aveva la disponibilità, il quale in una circostanza, con assegni circolari, dirottava il denaro sul suo conto postale personale, in altra circostanza tratteneva il denaro contante, in altra circostanza ancora, tratteneva sul proprio conto postale il denaro a lui direttamente versato per la ristrutturazione.
La ricostruzione contabile segnalava, pertanto, ad avviso della Suprema Corte, l’avvenuta appropriazione delle somme corrispondenti alla differenza tra quanto ricevuto e quanto utilizzato per la ricostruzione dell’immobile le quali, a loro volta, sempre secondo la Corte di legittimità, dovevano ritenersi distratte dell’imputato per finalità diverse, non autorizzate e comunque estranee agli interessi della curatela.

3. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse in quanto con essa si fornisce risposta al seguente quesito: se il curatore dell’eredità giacente può rispondere del reato di peculato.
Orbene, nella pronuncia qui in commento si fornisce risposta positiva essendo ivi postulato, sulla scorta di un precedente conforme, che deve riconoscersi la qualità di pubblico ufficiale del curatore dell’eredità giacente e, di conseguenza, l’eventuale condotta appropriativa di un bene ereditario da lui posto in essere è sussumibile nell’ambito della previsione incriminatrice preveduta dall’art. 314 cod. pen..
È dunque sconsigliabile, perlomeno alla luce di questo approdo ermeneutico, sostenere al contrario l’insussistenza di tale illecito penale, ove la condotta criminosa, che integra codesto delitto, sia stata perpetrata da una persona che riveste il ruolo di curatore dell’eredità giacente.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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