Curatore eredità giacente: compenso a carico dello Stato nelle procedure d’ufficio

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Premessa

In caso di procedura di eredità giacente attivata d’ufficio conclusa con la devoluzione allo Stato di un patrimonio incapiente, l’addebito all’Erario del compenso spettante al curatore garantisce l’effettività del suo onorario, così come accade per ogni ausiliario del giudice: con questa motivazione, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 83 del 30 aprile 2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 148, comma 3, del d.P.R. n. 115/2002 per violazione dell’art. 3 della Costituzione.

La richiesta formulata dal Tribunale Ordinario di Trieste

Il Tribunale Ordinario di Trieste, in composizione monocratica, con l’ordinanza 16 gennaio 2020, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 148, comma 3, del d.P.R. n. 115/2002 nella parte in cui non prevede che il compenso del curatore dell’eredità giacente venga anticipato dallo Stato quale soggetto finale nel cui interesse è svolto il procedimento, ove questo, attivato d’ufficio, si sia concluso senza eredi accettanti e con eredità incapiente.

Secondo il Tribunale di Trieste, la denunciata omissione normativa violerebbe gli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, per l’intrinseca ragionevolezza di una prestazione non compensata, per la mancata tutela del lavoro nonché per la lesione al diritto alla retribuzione.

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L’eredità giacente

La trattazione delle questioni legate alla giacenza dell’eredità presuppone l’esame di alcune problematiche di carattere generale, che il Legislatore e gli operatori cercano di risolvere con l’applicazione delle norme in materia.La questione della situazione che si crea tra il momento dell’apertura della successione e l’accettazione non è evidentemente risolta dalla regola per la quale l’effetto dell’accettazione risale al momento nel quale si è aperta la successione. Invero, la finzione della retroattività, al pari della attribuzione dei beni, in assenza di eredi allo Stato (art. 586 cod. civ.), non elimina le questioni poste dalla vacanza di un titolare del patrimonio che possa compiere atti gestori, e nei confronti del quale possano essere esercitate le pretese dei terzi.Il presente volume, con un serio approccio di studio, ma senza trascurare l’aspetto pratico, vuole essere uno strumento per il Professionista che si trovi a risolvere questioni ereditarie in cui manchi, seppur temporaneamente, un titolare, con tutte le problematiche che ne derivano, nel tentativo di tutelare gli interessi del proprio assistito, sia esso erede, legatario o creditore del defunto.Giuseppe De MarzoConsigliere della Suprema Corte di Cassazione, assegnato alla I sezione civile e alla V sezione penale; componente supplente del Tribunale Superiore delle Acque; componente del Gruppo dei Referenti per i rapporti con la Corte Europea dei diritti dell’uomo; autore di numerose monografie e di pubblicazioni giuridiche, ha curato collane editoriali; collabora abitualmente con Il Foro italiano.

Giuseppe De Marzo | 2019 Maggioli Editore

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Le motivazioni a sostegno del Presidente del Consiglio dei Ministri

Interveniva in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la dichiarazione di manifesta infondatezza delle questioni così sollevate dal Tribunale di Trieste.

In particolare, l’interveniente, richiamando l’ordinanza n. 446 del 2007 emessa dalla Consulta stessa, negava che all’onorario del curatore dell’eredità potesse estendersi il regime del compenso del curatore fallimentare, attesa la maggiore complessità dell’opera propria di quest’ultimo, innestata in un procedimento avente anche carattere contenzioso, rispetto all’attività svolta dal curatore dell’eredità nel corso del relativo procedimento di volontaria giurisdizione.

Inoltre, essendo quello del curatore di eredità giacente un incarico non obbligatorio e meramente occasionale, l’eventualità, peraltro del tutto marginale, che esso resti senza compenso, non determinerebbe alcun vulnus costituzionale, tantomeno in riferimento ai parametri concernenti il lavoro subordinato.

In ogni caso, il curatore che non percepisce l’onorario per incapienza dell’eredità otterrebbe pur sempre una remunerazione indiretta, ossia connessa al prestigio professionale della collaborazione con l’autorità giudiziaria.

L’infondatezza della questione con riferimento agli artt. 35 e 36 Cost.

Secondo la Consulta, la questione di illegittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Trieste non appare fondata con riferimento agli artt. 35 e 36 della Costituzione.

Difatti, essa postula una sostanziale assimilazione dell’opera professionale dell’ausiliario del giudice al lavoro subordinato e il conseguente accostamento dell’onorario alla retribuzione, mentre, per costante giurisprudenza della Corte medesima, la natura occasionale della prestazione dell’ausiliario del magistrato o del difensore d’ufficio impedisce di ricostruirne l’incidenza sulla formazione del reddito complessivo del singolo prestatore e quindi non consente neppure di impostare la valutazione del relativo compenso nei termini della retribuzione adeguata e sufficiente[1].

La fondatezza della questione con riferimento all’art. 3 Cost.

Secondo la Consulta, invece, la questione di legittimità costituzionale così sollevata appare fondata con riferimento all’art. 3 della Costituzione.

La disciplina della figura del curatore, così come ci perviene dalla normativa del codice civile e dal codice di procedura civile[2], ne delinea l’essenzialità per la procedura di giacenza ereditaria, quale sistema di amministrazione interinale ed eventuale liquidazione del patrimonio in successione.

Per il diritto vivente, il curatore dell’eredità giacente è un ausiliario del giudice: su suo incarico e vigilanza, egli persegue gli obiettivi tipici della procedura giudiziale, rientrando quindi nella “categoria aperta” degli ausiliari in quanto idonea al compimento di atti che non è in grado di compiere da sé[3].

La questione attinente gli onorari del curatore

L’art. 148 del d.P.R. n. 115/2002 non menziona l’onorario del curatore né tra le anticipazioni prenotate a debito relative alle procedure di eredità giacente attivate d’ufficio né tra le anticipazioni dell’Erario, anzi, tacendo dell’onorario di qualunque ausiliario del magistrato.

Di contro, per la procedura fallimentare, con riguardo all’ipotesi in cui tra i beni del fallimento non vi sia denaro sufficiente, l’art. 146, comma 3, lettera c), del d.P.R. n. 115/2002 stabilisce che l’onorario degli ausiliari del magistrato è anticipato dall’Erario.

Nel 2006, con la sentenza n. 174, la Consulta aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 146, comma 3, del d.P.R. n. 115/2002, nella parte in cui non ricomprende tra le spese anticipate dall’erario le spese e l’onorario del curatore fallimentare.

Precisato che il curatore è un ausiliare del giudice – o meglio, un ausiliare della giustizia – e tratta la conseguenza che l’anticipazione erariale prevista dall’art. 146, comma 3, lettera c) del d.P.R. n. 115/2002 non potesse essere estesa per via interpretativa al curatore fallimentare, tale sentenza ha colto la violazione dell’art. 3 Cost. nell’essere l’anticipazione dell’onorario esclusa per il solo curatore.

Successivamente, con l’ordinanza n. 446 del 2007, la Corte Costituzionale ha ritenuto la sentenza n. 174 del 2006 non potesse essere estesa al caso di eredità giacente avviata su istanza dell’interessato e cessata per carenza di attivo, ove le spese e l’onorario del curatore sono posti a carico dell’istante anziché dell’Erario, sia per la disomogeneità della posizione del curatore fallimentare rispetto a quella del curatore dell’eredità giacente, sia per la peculiarità della fattispecie concreta, nella quale la nomina del curatore dell’eredità giacente era avvenuta ad istanza di parte.

La posizione del Presidente del Consiglio dei Ministri secondo la Corte Costituzionale

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, intervenuto nel giudizio per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, richiamava proprio l’ordinanza n. 446 del 2007 per sostenere la manifesta infondatezza delle questioni sollevate dal Tribunale di Trieste.

Tuttavia, secondo la Consulta, la richiamata pronuncia non si attaglia alla fattispecie in esame, poiché questa riguarda la giacenza ereditaria attivata d’ufficio, mentre quello concerne la giacenza ereditaria attivata ad istanza di parte, differenza di ovvia rilevanza, giacché la presenza di un soggetto istante implica l’esistenza di un centro di imputazione degli oneri di procedura.

Inoltre, sempre secondo la Corte, non apparrebbe persuasivo financo l’argomento circa la maggiore complessità dell’attività del curatore fallimentare rispetto a quella del curatore dell’eredità giacente: tale differenza, sottolineata proprio nell’ordinanza n. 446 del 2007, può incidere sul quantum del compenso, non anche sull’an.

Infine, la non obbligatorietà dell’incarico non ne implica la gratuità e il giovamento indotto dallo svolgimento di un’opera non assorbe il diritto al compenso per averla resa.

La mancata effettività del diritto al compenso

Ai sensi dell’art. 49, comma 1, d.P.R. n. 115/2002, l’onorario spetta agli ausiliari del magistrato, insieme alle indennità di viaggio e di soggiorno, alle spese di viaggio e al rimborso delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico.

Detta disposizione, per la sua portata generale, concerne tutti gli ausiliari del magistrato, quindi anche il curatore dell’eredità giacente, che, come si è visto, per diritto vivente, fa parte di tale categoria.

La questione si sposta, pertanto, dalla titolarità del diritto al compenso alle condizioni della sua effettività.

Nella giacenza attivata su istanza di parte – come nella fattispecie oggetto dell’ordinanza n. 447 del 2007 – l’onorario del curatore grava sul soggetto istante in base all’art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002.

Nell’eredità giacente attivata d’ufficio e cessata per sopravvenuta accettazione, l’onorario del curatore grava sull’erede accettante, a norma dell’art. 148, comma 4, primo periodo, del d.P.R. n. 115/2002 e in aderenza alla retroattività dell’accettazione ereditaria.

Infine, in quella attivata d’ufficio e cessata per devoluzione allo Stato di un’eredità capiente, l’onorario del curatore grava sullo Stato stesso quale erede ultimo.

Nel caso in questione, il diritto al compenso poiché non assistito dal meccanismo dell’anticipazione erariale, resta privo di effettività: trattandosi, infatti, di eredità giacente attivata d’ufficio, non accettata dal chiamato e rivelatasi incapiente, l’onorario del curatore non può essere imputato ad alcuno.

Quando la giacenza attivata d’ufficio si conclude con la devoluzione allo Stato di un’eredità incapiente, l’anticipazione erariale dell’onorario corrisponde all’esigenza di garantire l’effettività del diritto al compenso spettante al curatore al pari di ogni altro ausiliario del giudice.

Nell’ipotesi in oggetto, quindi, l’omessa previsione dell’anticipazione erariale determina un’irragionevole disparità di trattamento in danno del curatore dell’eredità giacente ed evidenzia un’irragionevolezza intrinseca della norma in rapporto alla sua stessa finalità: tutto ciò integra una lesione del parametro di cui all’art. 3 della Costituzione.

Conclusioni

Sulla base delle considerazioni sopra sviluppate, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 148, comma 3, del d.P.R. n. 115/2002, nella parte in cui non prevede tra le “spese anticipate dall’erario” l’onorario del curatore con riguardo al caso in cui la procedura di giacenza si sia conclusa senza accettazione successiva e con incapienza del patrimonio ereditario.

La Consulta, per contro, dichiara non fondata la questione di legittimità sollevata dal Tribunale Ordinario di Trieste, in composizione monocratica, con riferimento agli artt. 35 e 36 della Costituzione.

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L’eredità giacente

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Note

[1] Ex plurimis, sentenza n. 90 del 2019, n. 13 del 2016, n. 192 del 2015, n. 41 del 1996 e n. 88 del 1970.

[2] Vedasi, in particolare, artt. 528, comma 1, c.c.; 2830 c.c.; 529 c.c.; 530, commi 1 e 2; 782, comma 1, c.p.c.; 783, 193 disp. att. del codice di procedura civile; 532 c.c.

[3] Corte di Cassazione, Sezione Unite Civili, sentenza 21 novembre 1997, n. 11619.

Mattia Tamborini

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