Corte Internazionale di Giustizia: pronuncia sul conflitto israelo-palestinese

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Il conflitto israelo-palestinese, che si protrae da oltre settantacinque anni, ha subito una drammatica impennata dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2024 mettendo in luce orrori inenarrabili. Gli equilibri mondiali, già resi instabili dal conflitto in Ucraina, sono stati ulteriormente rimescolati ed è diventato reale il rischio di un ampliamento della guerra in corso. La Corte Internazionale di Giustizia, adita dallo Stato del Sud Africa, in data 26 gennaio 2024 si è espressa con un provvedimento d’urgenza dal valore meramente politico che comunque pone alcuni punti fermi nella vicenda, ma che tralascia di considerare altri aspetti fondamentali. Infatti, la Corte ha accertato sufficienti indizi per approfondire l’istruttoria sul reato di genocidio, ma non ha intimato alle parti di cessare le ostilità.

Indice

1. Cenni sulla Corte Internazionale di Giustizia e sul Tribunale Penale Internazionale


Nel dibattito sulla guerra tra Israele e Hamas si è inserito prepotentemente il discorso della commissione di crimini di guerra e addirittura di un genocidio da parte di Israele. L’uccisione, allo stato, di quasi ventisettemila civili palestinesi, di cui in gran parte minori, ed altri episodi non conformi alla convenzione di Ginevra e alle direttive dell’ONU, se accertati, potrebbero portare all’incriminazione dei massimi esponenti del governo israeliano, in primo luogo del primo ministro Netanyahu.
Infatti, a seguito del ricorso del Sud Africa, la Corte Internazionale di Giustizia ha aperto un’inchiesta su un possibile genocidio da parte di Israele.
Preliminarmente, si osserva che la Corte internazionale di giustizia, nota anche con il nome di Tribunale internazionale dell’Aia, spesso indicata con l’acronimo CIG (in francese: Cour internationale de justice, CIJ, in inglese: International Court of Justice, ICJ), è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite e ha sede nel Palazzo della Pace all’Aia, nei Paesi Bassi.[1]
Per un ulteriore approfondimento sulla Corte Internazionale di Giustizia: La Corte Internazionale di Giustizia -scheda di Diritto
La Corte, fondata nel 1945, ha iniziato a operare nell’aprile del 1946. Le sue funzioni principali sono[2]

  • dirimere le controversie fra Stati membri delle Nazioni Unite che hanno accettato la sua giurisdizione. Essa esercita una funzione giurisdizionale riguardo all’applicazione e l’interpretazione del diritto internazionale. Nell’esercizio di tale funzione, la Corte opera in maniera arbitrale, e solo se gli Stati parti di una controversia internazionale abbiano riconosciuto la sua giurisdizione. La giurisdizione può essere riconosciuta preventivamente attraverso l’approvazione dell’articolo 36.4 dello Statuto della Corte, mediante una clausola compromissoria completa inserita in un accordo o attraverso un trattato compromissorio completo. La giurisdizione può altresì essere riconosciuta posteriormente e rispetto ad un caso concreto, anche da parte di Stati che non hanno aderito alla Corte.
  • offrire pareri consultivi su questioni legali avanzate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o dagli Istituti specializzati delle Nazioni Unite quando essi siano autorizzati a farlo. Mentre l’Assemblea generale e il Consiglio di sicurezza hanno totale libertà per richiedere un parere consultivo, gli altri organi ONU e gli Istituti specializzati sono tenuti ad invocare il parere consultivo unicamente per questioni che riguardano le loro competenze.

Le sentenze e i pareri della Corte sono uno dei principali strumenti con cui si accerta il rispetto di norme internazionali
Il funzionamento e l’organizzazione della Corte, invece, sono disciplinati dallo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, annesso allo Statuto delle Nazioni Unite e dal regolamento adottato dalla Corte stessa.
Il citato organismo giurisdizionale è composto da diciassette giudici di nazionalità diversa eletti dall’Assemblea generale e dal Consiglio di Sicurezza. I giudici restano in carica per nove anni e possono essere rieletti. Nessun Paese può avere più di un giudice e i Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza hanno sempre avuto un giudice.
È opportuno sottolineare che i giudici non sono rappresentanti dei loro Paesi ma esercitano la loro funzione a titolo personale e non devono farsi condizionare dalle autorità dello Stato di cui sono cittadini; le decisioni vengono prese a maggioranza dei presenti.
Inoltre, la Corte può costituire in qualsiasi momento una o più sezioni composte di almeno tre giudici quando essa decida per trattare particolari categorie di controversie (per esempio, controversie in materia di lavoro e controversie concernenti il transito e le comunicazioni). La Corte può, altresì, costituire in qualsiasi momento una sezione per trattare una determinata controversia; il numero dei giudici di tale sezione è deciso dalla Corte con l’assenso delle parti. Le controversie sono esaminate e decise dalle sezioni di cui sopra, qualora le parti ne facciano richiesta (art. 26 Statuto).
Al fine di un rapido espletamento dei processi, la Corte costituisce ogni anno una sezione composta di cinque giudici, per decidere con procedimento sommario, quando le parti lo richiedano. Inoltre, due giudici sono designati per sostituire i giudici che si trovino nell’impossibilità di partecipare alle sedute (art. 29 Statuto).
La CIG può decidere non solo secondo diritto ma anche secondo equità (ex aequo et bono) se le parti così le chiedono espressamente (art. 38, par. 2 dello Statuto).
Il 25 novembre 2014 l’Italia ha depositato presso il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite la dichiarazione di accettazione della giurisdizione obbligatoria della Corte internazionale di giustizia, prevista dall’art. 36, par. 2, dello Statuto della stessa Corte.[3] Ciò, tuttavia, non ha impedito alla Corte costituzionale Italiana[4] di non dare ingresso a una consuetudine internazionale – quale quella dell’immunità assoluta dalla giurisdizione degli Stati esteri – nonostante essa fosse stata riconosciuta dalla Corte internazionale di giustizia con la sentenza 3 febbraio 2012 nel caso Germania contro Italia.[5]
Le sentenze della Corte internazionale di Giustizia sono giuridicamente vincolanti e senza appello, ma il tribunale non ha modo di applicarle e quindi assumono di fatto un valore esclusivamente politico. Inoltre Israele non è membro della Corte internazionale di Giustizia e non ne riconosce la giurisdizione. Tuttavia, è firmatario della Convenzione di Ginevra che attribuisce alla stessa Corte dell’Aia la giurisdizione su questioni relative a possibili violazioni della convenzione.[6]
Separatamente, anche la Corte penale internazionale sta indagando sia su Israele sia su Hamas per presunti crimini di guerra. Tale organo giurisdizionale non è un organo dell’Onu come è invece la Corte internazionale di Giustizia; infatti, si tratta di un tribunale penale che persegue singoli individui. Il procuratore capo della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha già fatto una prima visita in Israele e in Cisgiordania e ha dichiarato che un’indagine da parte della Corte su possibili crimini da parte dei terroristi di Hamas e dell’ “Idf” è una priorità” per il suo ufficio.
Tale Corte, conosciuta anche con l’acronimo ICC dalla sua dizione in inglese (International Criminal Court), è un tribunale per crimini internazionali con sede sempre all’Aia, in Olanda. Fondata nel 2002, ha competenza per i crimini più rilevanti che riguardano la comunità internazionale: il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e di aggressione. Non è un organo dell’Onu, ma ha legami con il suo Consiglio di Sicurezza che può assegnare alla Corte quei casi che non sarebbero sotto la sua giurisdizione. La Corte ha una competenza complementare a quella dei singoli Stati, dunque può intervenire solo se gli Stati non possono (o non vogliono) agire per punire crimini internazionali.[7]
I paesi che aderiscono alla Corte sono 123, ben più della metà dei 193 Stati membri dell’ONU tra cui due dei cinque membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Francia e Regno Unito. Altri 32 paesi, tra i quali Stati Uniti, Israele e Russia, hanno firmato il trattato di costituzione della Corte, ma non l’hanno ratificato.
Lo Statuto di Roma della Corte Internazionale è stato stipulato il 17 luglio 1998 e definisce in dettaglio la giurisdizione e il funzionamento della Corte; è entrato in vigore il 1° luglio 2002 dopo la ratifica da parte del sessantesimo Stato aderente.
Gli organi della Corte penale internazionale sono:

  • Presidenza, composta da un nucleo di presidente e due vicepresidenti (primo e secondo vicepresidente) eletti dai giudici riuniti in consiglio.          
  • Ufficio del procuratore – anche detto OTP, dall’inglese Office of the Prosecutor – si occupa delle indagini, ha una sua indipendenza dalla CPI pur essendone un organo costitutivo.

Inoltre, è prevista anche l’Assemblea degli Stati Parte (ASP) che non è un organo della CPI, ma ne è parte costituente.
L’avvio del procedimento è una fase molto delicata potendo essere attuata da tre fonti diverse: il procuratore, che agisce motu proprio, o un referral che può provenire da uno Stato che ha firmato il Trattato o dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. I referral degli Stati sono molto più liberi, non avendo limiti, mentre il Consiglio di sicurezza deve far rientrare il suo atto in casi di violazione della pace, minaccia della pace o aggressione.

2. L’ordinanza n.192 in data 26 gennaio 2024 della Corte internazionale di giustizia


Il 26 gennaio 2024 la Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha chiesto a Israele di fare tutto il possibile per “prevenire possibili atti genocidari” nella Striscia di Gaza e di consentire l’accesso agli aiuti umanitari. La storica ordinanza è stata accolta con favore dal Sudafrica, che aveva presentato il ricorso sostenendo che la guerra nella Striscia di Gaza condotta dall’esercito israeliano costituirebbe un atto di genocidio contro il popolo palestinese e, quindi, violerebbe la Convenzione sul genocidio.
Nel diritto internazionale il crimine di genocidio ha caratteristiche specifiche e stringenti. Infatti, indipendentemente dal merito del caso, è molto difficile provare in un tribunale internazionale che una guerra come quella di Israele a Gaza costituisca anche un crimine di genocidio. Infatti, la Corte internazionale di giustizia, fino a oggi, non ha mai condannato uno Stato per genocidio.
In questa fase i giudici non sono stati chiamati a stabilire se Israele stesse effettivamente commettendo un genocidio nella Striscia di Gaza, ma si sono pronunciati solo sul ricorso d’urgenza in attesa di occuparsi del merito della questione, circostanza che potrebbe richiedere anni.[7]
Con ordinanza n. 192, pertanto, la Corte in primo luogo ha esaminato l’istanza del Sud Africa in merito all’applicazione di misure cautelari, in particolare con riferimento alle operazioni militari nella Striscia di Gaza. Inoltre, ha ordinato allo Stato di Israele di assicurare “che qualsiasi unità militare o irregolare armata che possa essere diretta, sostenuta o influenzata da esso, così come qualsiasi organizzazione e persona che possano essere soggette al suo controllo, direzione o influenza, non intraprendano alcuna azione a favore delle operazioni militari menzionate” intervenendo immediatamente per prendere “tutte le misure in suo potere per impedire al suo esercito di commettere atti di genocidio nella Striscia di Gaza”.
Allo stesso tempo, però, la Corte non ha ordinato a Israele di interrompere i combattimenti e non ha imposto un cessate il fuoco, come invece aveva chiesto il Sudafrica.
La decisione non riguarda nello specifico l’accusa di genocidio, che per la complessità dell’argomento, come detto, potrebbe richiedere anni per arrivare a una sentenza. Accettando la richiesta del Sudafrica di applicare misure provvisorie, però, la Corte ha riconosciuto che l’accusa di genocidio è quanto meno “plausibile”.[9]
Lo Stato di Israele, è stato, altresì, invitato a presentare “una relazione alla Corte su tutte le misure adottate per dare attuazione a questo Ordine entro una settimana, a partire dalla data di questo Ordine, e successivamente a intervalli regolari come la Corte ordinerà, fino a quando una decisione finale sulla questione sarà resa dalla Corte”.
 Lo Stato di Israele si dovrà inoltre astenere “da qualsiasi azione e garantisca che non venga intrapresa alcuna azione che possa aggravare o estendere la controversia davanti alla Corte o renderla più difficile da risolvere.”
La Corte rammenta, inoltre, che il Sudafrica e Israele sono parti contraenti della Convenzione sul genocidio e quindi nell’ordinanza riporta in modo analitico le posizioni contrastanti delle parti in causa. Tuttavia, la Corte “trova che gli elementi menzionati siano sufficienti, in questa fase, per stabilire, a prima vista, l’esistenza di una disputa tra le Parti relativa all’interpretazione, applicazione o adempimento della Convenzione sul genocidio”. Pertanto, conclude che, “prima facie, ha giurisdizione ai sensi dell’articolo IX della Convenzione sul genocidio per esaminare il caso”.
Successivamente, l’ordinanza riconosce che “I Palestinesi sembrano costituire un gruppo distintivo nazionale, etnico, razziale o religioso, e quindi un gruppo protetto nel significato dell’Articolo II della Convenzione sul Genocidio. La Corte osserva che, secondo fonti delle Nazioni Unite, la popolazione palestinese nella Striscia di Gaza supera i 2 milioni di persone”. La Corte rileva, poi, “che l’operazione militare condotta da Israele a seguito dell’attacco del 7 ottobre 2023 ha comportato un gran numero di morti e feriti, nonché la massiccia distruzione delle abitazioni, lo sfollamento forzato della maggior parte della popolazione e danni estesi alle infrastrutture civili. Sebbene i dati sulla Striscia di Gaza non possano essere verificati in modo indipendente, le informazioni recenti indicano che sono stati uccisi 25.700 Palestinesi, riportati oltre 63.000 feriti, distrutte o danneggiate parzialmente oltre 360.000 unità abitative e circa 1,7 milioni di persone sono sfollate internamente (vedi Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA)”.
La Corte ritiene, pertanto, che, “per loro stessa natura, almeno alcune delle misure cautelari richieste dal Sudafrica mirino a preservare i diritti plausibili che esso sostiene sulla base della Convenzione sul genocidio nel presente caso, ovvero il diritto dei palestinesi a Gaza di essere protetti da atti di genocidio. Pertanto, esiste un collegamento tra i diritti fatti valere dal Sudafrica che la Corte ha ritenuto plausibili e almeno alcune delle misure cautelari richieste”. Tuttavia,  la Corte precisa che “ai sensi dell’articolo 41 del suo Statuto, ha il potere di adottare misure cautelari quando potrebbe essere arrecato un pregiudizio irreparabile a diritti che sono oggetto di procedimenti giudiziari o quando la presunta violazione di tali diritti potrebbe comportare conseguenze irreparabili e che il potere della Corte di adottare misure cautelari sarà esercitato solo se c’è urgenza, nel senso che esiste un reale e imminente rischio che sia arrecato un pregiudizio irreparabile ai diritti reclamati prima che la Corte emetta la sua decisione finale”.
La Corte, nel riconoscere che a Gaza c’è una situazione umanitaria catastrofica, ha adottato cinque “misure provvisorie”. Nella prima, la più importante, ha ordinato a Israele di impedire che il suo esercito violi la Convenzione sul genocidio, un trattato internazionale approvato dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1948 e ratificato tra gli altri da Israele e dal Sudafrica stesso. Secondo la Convenzione si definiscono genocidio atti «commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». In altre parole Israele dovrà evitare di uccidere civili palestinesi o di provocare loro danni fisici o mentali, e dovrà evitare di imporre misure che impediscano alle donne palestinesi di partorire.
Secondo le altre misure, Israele dovrà punire i cittadini israeliani che incitano al genocidio; dovrà consentire l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, senza limitazioni; dovrà impedire la distruzione di prove che potrebbero essere usate nel processo sul presunto genocidio che seguirà; dovrà presentarsi davanti alla Corte tra un mese per verificare che le misure siano state applicate.
In teoria le decisioni della Corte sono vincolanti, ma in pratica la Corte non ha gli strumenti per farle rispettare, come detto.  A tal uopo sarebbe necessaria una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma ciò è molto improbabile, visto che uno degli alleati più stretti di Israele, gli Stati Uniti, ha il potere di veto e può bloccare qualsiasi decisione.
E’ significativo rilevare che le decisioni della Corte sono state adottate con ampia maggioranza, quasi all’unanimità. In particolare quella che prevede che “Lo Stato di Israele deve, in conformità ai suoi obblighi ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, nei confronti dei palestinesi a Gaza, adottare tutte le misure a sua disposizione per impedire la commissione di tutti gli atti rientranti nel campo di applicazione dell’articolo II di questa Convenzione…” (16 voti a due).
In conclusione, per utilizzare impropriamente una terminologia giuridica del nostro diritto interno in materia di provvedimenti cautelari, la Corte ha riconosciuto il fumus boni juris (la non manifesta infondatezza) del ricorso del Sud Africa per esaminare il gravame concernente il reato di genocidio, ma non ha ritenuto l’esistenza di un danno grave e irreparabile (c.d periculum in mora) tale da ordinare a Israele di far cessare le attività belliche.

3. Conclusioni


L’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia costituisce un punto fermo nella valutazione del conflitto israelo-palestinese, anche se forse la Corte non ha avuto il coraggio di ordinare ad Israele e a Hamas di cessare immediatamente le ostilità, probabilmente anche nella consapevolezza che la sua decisione difficilmente sarebbe stata accolta delle parti.
E’ verosimile, poi, che ci vorrà molto tempo, forse anni, prima di giungere a una sentenza, anche se alcuni osservatori affermano che la Corte potrebbe prendere prossimamente una decisione con “misure cautelari” più rilevanti, di quelle adottate nell’ordinanza cautelare, come ad esempio l’ordine di far cessare le ostilità.
Tuttavia, si deve tenere conto che né Israele e tantomeno Hamas, che è un’organizzazione terroristica, sono membri della Corte internazionale di Giustizia. Inoltre, il genocidio è molto difficile da dimostrare in quanto bisogna provare un legame diretto tra lo Stato incriminato e il reale svolgimento di azioni così fortemente distruttive come quelle richieste per tale reato.
Tuttavia, le immagini delle stragi compiute, anche nei confronti di tanti bambini, descritte in modo dettagliato dall’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia, rappresentano una prova incontrovertibile di cui la stessa Corte non potrà non tener conto.
Nel caso in esame il procedimento potrebbe concludersi con la condanna di esponenti del governo israeliano e dei vertici militari, forse quando Netanyahu non sarà più al potere. E se è pur vero che le conseguenze saranno solo di carattere politico, tuttavia potranno determinare un ulteriore isolamento in campo internazionale dello Stato di Israele.
Pertanto, ci si auspica che uno Stato sostanzialmente democratico, come quello di Israele, che ha senz’altro il diritto di autodifesa, dopo l’attacco bestiale di Hamas del 7 ottobre scorso e dopo le persecuzioni subite dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, operi nel pieno rispetto dei principi di legalità internazionale e dei più elementari diritti umanitari, più volti calpestasti durante il conflitto in atto.  

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Note

  1. [1]

    Mohamed Shahabuddeen, Precedent in the World Court (Hersch Lauterpacht Memorial Lectures (No. 13)), 9780511720840, 9780521563109, 9780521046718, Cambridge University Press, 2007.

  2. [2]

    A. Concas, Corte Internazionale di Giustizia -scheda di Diritto, in Diritto.it dfel 23 giugno 2023.

  3. [3]

    M. I. Papa, La dichiarazione italiana di accettazione della competenza obbligatoria della Corte internazionale di giustizia: profili problematici di diritto internazionale e costituzionale, in Rivista AIC, osservatorio costituzionale, luglio 2015.

  4. [4]

    Cfr. la sentenza n. 238 del 2014.

  5. [5]

    C. Zanghì, Un nuovo limite all’immunità di giurisdizione degli Stati nella sentenza 238 della Corte Costituzionale italiana?, in Federalismi.it, 29/02/2016.
    E. Cicchetti, Cosa aspettarsi dalla sentenza del tribunale dell’Aia sul “genocidio” israeliano a Gaza, in Internazionale del 25 gennaio 2024.

  6. [6]

    E. Cicchetti, Cosa aspettarsi dalla sentenza del tribunale dell’Aia sul “genocidio” israeliano a Gaza, in Internazionale del 25 gennaio 2024.

  7. [7]

    P. Gentilucci, L’invasione dell’Ucraina e il nuovo volto dell’impero russo: i possibili crimini di guerra, in Diritto.it del 1° aprile 2022.

  8. [8]

    Afp, La Corte Internazionale di giustizia ordina a Israele di prevenire atti di genocidio a Gaza, in Internazionale del 26 gennaio 2024.

  9. [9]

    Redazione, La Corte internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di prendere misure immediate per impedire un genocidio a Gaza, in Il Post del 26 gennaio 2024.

Prof. Paolo Gentilucci

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