Il trattato Italia-Albania sui centri di detenzione: in GU l’entrata in vigore

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Nel tentativo di fronteggiare l’abnorme fenomeno dello sbarco di migranti nel nostro territorio nazionale l’attuale governo ha emesso vari provvedimenti legislativi, tra cui il decreto legge 10 marzo 2023, n. 20, convertito in legge 5 maggio 2023, n. 50 e successivamente il decreto legge n.124 del 19 settembre 2023. L’entrata in vigore del protocollo è apparsa nella Gazzetta Ufficiale n.99 del 29-04-2024. Avverso tali provvedimenti, in particolare con riferimento ai Centri di permanenza per i rimpatri, sono stati proposti numerosi ricorsi accolti da vari tribunali, tra cui quello di Catania. Anche per aggirare tali ostacoli il governo italiano ha stipulato un trattato con l’Albania per creare due Centri di permanenza in territorio albanese. Si ritiene tuttavia che tale accordo andrà incontro a difficoltà analoghe a quelle previste dalla citata normativa italiana.
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Indice

1. Il caso del Tribunale di Catania


Il primo significativo provvedimento dell’attuale governo in materia di immigrazione è stato il decreto legge 10 marzo 2023, n. 20, convertito in legge 5 maggio 2023, n. 50 con cui sono state previste “Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”.[1]
Con tale provvedimento il Governo ha cercato di dare una risposta alla tragedia consumatasi a Cutro lo scorso 26 febbraio, e ha stabilito una stretta sull’immigrazione irregolare, l’ampliamento dei flussi di ingresso per lavoro, la semplificazione delle procedure, ma anche il rafforzamento dei centri per i rimpatri e ha stabilito canali privilegiati di accesso per i cittadini di paesi che organizzano una formazione lavorativa ad hoc.[2]
Successivamente, per fronteggiare la situazione dell’immigrazione clandestina, che si è ulteriormente aggravata, è stato emesso il decreto legge n.124 del 19 settembre 2023, in corso di conversione, che concerne “Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione”.[3]
In materia di immigrazione il decreto prevede delle novità nel Capo V (rubricato “Disposizioni in materia di trattenimento presso i Centri di permanenza per rimpatri e di realizzazione delle strutture di prima accoglienza, permanenza per i rimpatri e di realizzazione delle strutture di prima accoglienza, permanenza e rimpatrio”), in particolare con riferimento alla disciplina dei Centri Per il Rimpatrio (CPR).[4]
Le nuove norme estendono il trattenimento dei migranti irregolari nei CPR sino ad un periodo di 18 mesi e prevedono un piano straordinario per la costruzione di nuove strutture in tutta Italia e disciplinano i casi di precedenti soggiorni in carcere.[5]
Con il Decreto interministeriale in data 14 settembre 2023del Ministro dell’interno, del Ministro della giustizia e del Ministro dell’economia e delle finanze è stato, poi, determinato l’importo e le modalità per la prestazione di idonea garanzia finanziaria, prevista dall’art. 6-bis, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n.142.
In tale provvedimento sono indicati il quantum e le modalità di prestazione della garanzia finanziaria a carico dello straniero durante lo svolgimento della procedura per l’accertamento del diritto di accedere al territorio dello Stato, per i richiedenti asilo.
Tuttavia, tali provvedimenti non sembrano conformi alla normativa europea e alla nostra Costituzione. Tale interpretazione è stata confermata dal Tribunale di Catania, che con ordinanze RG 10459/2023, RG 10460/2023, RG 10461/2023 in data 29 settembre2023, ampiamente motivate, ha accolto il ricorso di un migrante, di origine tunisina, sbarcato a Lampedusa il 20 settembre scorso, condotto nel nuovo C.P.R. di Pozzallo, e ne ha disposto la liberazione. E’ questo l’esito delle udienze di convalida dei richiedenti asilo trattenuti e che si applicherebbe in tutto a tre migranti. Il Ministero dell’Interno ha già presentato, per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, ricorso in Cassazione, procedura che si ritiene non sarà certo di breve durata.[6]
Secondo i giudici il decreto sarebbe in contrasto con la normativa europea e la parte del provvedimento contestata principalmente dai magistrati sarebbe proprio la nuova procedura di trattenimento e la cauzione di 4.938 euro da pagare per non essere detenuti nel centro. In particolare la normativa sarebbe incompatibile con il diritto comunitario – nello specifico della direttiva UE 2013, meglio conosciuta come “direttiva accoglienza” – e della Costituzione italiana. Pertanto, “[…] il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda e il trattenimento deve essere una misura eccezionale e limitativa della libertà personale ex art. 13 della Costituzione […]”.[7]
Infatti, l’art. 7 bis del citato D. L. 20/2023 (cd. Decreto Cutro), convertito nella legge 50/2023, interviene, fra l’altro, sulle procedure accelerate di frontiera prevedendo anche una nuova ipotesi di trattenimento, direttamente collegata allo svolgimento di tali procedure. Il decreto del Ministero dell’Interno del 5.8.2019 ha, invece, istituito le zone di transito e frontiera dove è possibile lo svolgimento di tali procedure (le zone di transito e di frontiera sono individuate in quelle esistenti nelle seguenti province: Trieste e Gorizia; Crotone, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce e Brindisi; Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Catania, Messina; Trapani, Agrigento; Città metropolitana di Cagliari e Sud Sardegna).[8]
Il Tribunale ha prima di tutto affermato due principi fondamentali che governano tutta la materia del trattenimento del richiedente asilo[9]: il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda e il trattenimento deve considerarsi misura eccezionale, applicabile solo quando non ci siano altre misure idonee alternative al trattenimento, e limitativa della libertà personale ai sensi dell’art 13 della Costituzione.
Ha ribadito poi quello che le norme interne e le norme UE prevedono: che il provvedimento di trattenimento deve essere adeguatamente motivato in ordine alla situazione personale e concreta del singolo richiedente, non potendosi convalidare un provvedimento di trattenimento dotato di una motivazione solo apparente[10] essendo esclusa la possibilità di ogni automatismo.
Anche nel caso il richiedente provenga da paese di origine designato come sicuro ai sensi dell’art 2 bis del D.lgs n. 25/2008 e della nuova direttiva procedure (Direttiva 33/2013/UE) non può ritenersi operante alcun automatismo, dovendosi accertare se per quel singolo richiedente, alla luce delle sue allegazioni, il paese di origine possa effettivamente considerarsi sicuro ai sensi della normativa citata.
I provvedimenti hanno, poi, rilevato come la garanzia finanziaria non si configuri di fatto come una misura alternativa al trattenimento, essendo l’unica possibilità per lo straniero di sottrarsi al trattenimento stesso. La direttiva accoglienza, infatti, (art 8 par 4) prevede la possibilità per gli stati di prevedere la garanzia finanziaria come misura alternativa al trattenimento unitamente ad altre misure, la cui diversificazione consente di evitare gravi discriminazioni e la loro applicazione secondo il principio di proporzionalità.[11]
Come giustamente sottolineato nei provvedimenti del Tribunale di Catania, la Corte di Giustizia ha avuto modo di pronunciarsi in materia di garanzia finanziaria come misura alternativa al trattenimento: “gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE devono essere interpretati nel senso che ostano, in primo luogo, a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità, in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura”.[12] I provvedimenti giurisdizionali in questione prevedono, inoltre, che le procedure in frontiera non sono esperibili in zona diversa da quella di ingresso salve le eccezioni previste dal par. 3 dell’art 43 della nuova direttiva procedure (2013/33/UE), e la valutazione della procedura da seguire deve essere adottata dal Presidente della Commissione territoriale con provvedimento adeguatamente motivato. Infatti, “a norma dell’art. 43, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, un trattenimento fondato sulla disposizione di cui all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera c), della Direttiva 33/2013/UE è giustificato soltanto al fine di consentire allo Stato membro interessato di esaminare, prima di riconoscere al richiedente protezione internazionale il diritto di entrare nel suo territorio, se la sua domanda non sia inammissibile, ai sensi dell’articolo 33 della direttiva 2013/32, o se essa non debba essere respinta in quanto infondata per uno dei motivi elencati all’articolo 31, paragrafo 8, di tale direttiva, e ciò al fine di garantire l’effettività delle procedure previste dal medesimo articolo 43”.
Infine, non meno importante è l’affermazione che in ogni caso l’art 10, comma 3, della Costituzione, come ribadito dalle SS.UU. della Corte di Cassazione con sentenza n. 4674//1997, impone di ritenere che la sola provenienza da un paese di origine designato come sicuro non possa automaticamente privare il richiedente asilo del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per chiedere la protezione internazionale. Anche da tale punto di vista, quindi, si impone una valutazione caso per caso. Decisioni analoghe sono state adottate anche da altri Tribunali, tra cui il Tribunale di Firenze e quello di Bologna.
Tuttavia, se si condivide nel merito tali provvedimenti, si esprimono dubbi sulla procedura seguita, perché forse il giudice a quo avrebbe dovuto sospendere il procedimento e inviare il ricorso alla Corte Costituzionale in quanto la questione non è manifestamente infondata, ai sensi dell’art. 134 della Costituzione e degli art. 1 l. cost. 1/1948 e 23 l. cost.  87/1953.

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2. Il trattato Italia Albania sui centri di detenzione


In data 6 novembre 2023, anche in seguito ai rifiuti di numerose Regioni di realizzare i citati CPR,  è stato stipulato dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal primo ministro albanese Edi Rama un protocollo di intesa tra Italia e Albania, sulla gestione dei migranti, in base al qualemigranti soccorsi in mare da navi italiane verranno portati in due strutture gestite dall’Italia a proprie spese e sotto la propria giurisdizione, ma in Albania. 
Due giorni dopo il governo albanese ha pubblicato il testo integrale del protocollo che sarà in vigore per 5 anni: l’Italia pagherà 16,5 milioni di euro all’Albania il primo anno per il trattenimento dei migranti entro novanta giorni dalla sottoscrizione dell’accordo. Lo stesso, diviso in 14 articoli, resterà in vigore per cinque anni, rinnovabili per altri cinque. Le due parti possono però ritirarsi dal protocollo presentando un avviso entro 6 mesi dalla sua data di scadenza. Infine, l’Italia si impegna a restituire all’Albania la sovranità delle aree usate per le strutture una volta chiuso il protocollo.[13]
Anche l’intera gestione delle strutture sarà responsabilità italiana, sia a livello di personale che dell’effettiva costruzione dei centri. Infatti, il governo italiano dovrà inviare in Albania funzionari e dipendenti italiani, che non avranno bisogno di permessi di soggiorno o visti, ma riceveranno un semplice documento di riconoscimento. Il personale all’interno delle strutture non sarà soggetto alla legislazione albanese, ma solo una volta uscito dai centri.
 L’intento dell’accordo è quello di delineare una nuova “gestione dei migranti” per realizzare, a spese dell’Italia e sotto la propria giurisdizione, due strutture dove gestire l’ingresso, l’accoglienza temporanea, la trattazione delle domande d’asilo e l’eventuale rimpatrio. L’intesa entrerà in vigore dalla prossima primavera e non riguarderà i migranti messi in salvo dalle organizzazioni non governative attive in mare, ma solo quelli intercettati dalla Marina militare, dalla Guardia Costiera e dalla Guardia di Finanza.[14] 
Il Governo, secondo il premier, intende fare tutto con estrema trasparenza, affidando alla Croce Rossa la gestione dei centri e interpellando anche l’Alto Commissario ONU per garantire il rispetto dei diritti dei migranti. 
I due centri sorgeranno nei pressi del porto di Shengjin, a circa 70 chilometri a nord della capitale Tirana, e a Gjader, piccolo villaggio dell’entroterra dove si trova una famosa ex base sotterranea dell’aeronautica militare albanese. Le due strutture potranno ospitare un massimo di 3mila persone contemporaneamente, che dovranno essere solo uomini adulti salvati in mare e, quindi, non minori o donne o soggetti fragili, e che non abbiano messo piede su suolo italiano prima di arrivare in Albania.[15]
A Shengjin si dovrebbero svolgere le procedure standard di sbarco, identificazione e prima accoglienza per i richiedenti asilo; mentre a Gjader dovrebbe andare chi potrebbe essere rimpatriato. Infatti sembra che in quest’ultimo centro sarà allestita una struttura molto simile ai menzionati Centri di permanenza per rimpatri (CPR), dove verranno condotte tutte le persone non ritenute in possesso dei requisiti per la richiesta di asilo.
Tuttavia, non sembrano essere indicati con chiarezza quali criteri saranno considerati per valutare le richieste di asilo. Il Presidente del Consiglio ha fatto intendere che saranno accolte tutte le persone ritenute non idonee, ma, come visto sopra, in base alle leggi italiane ed europee i richiedenti asilo possono essere trattenuti in strutture governative solo in casi eccezionali.
L’accordo è stato inviato alla Commissione europea, che si è riservata di far conoscere il proprio avviso in merito. Infatti le istituzioni europee devono valutare anche il rispetto della cessione di sovranità del suolo albanese all’Italia e il modo in cui l’Albania può procedere ai rimpatri senza accordi bilaterali, non essendo soggetta agli stringenti vincoli europei.
Infatti, il protocollo presenta delle criticità. Tra queste vi è la capienza, limitata a 3mila persone contemporaneamente in entrambe le strutture. Anche se le pratiche di accoglienza e rimpatrio dovessero procedere al ritmo previsto dal governo italiano, solo 28 giorni a persona contro i mesi che si impiegano oggi, in Albania potrebbero transitare al massimo 36mila persone l’anno, contro le 145mila, allo stato, sbarcate in Italia nel 2023.
Inoltre, secondo quanto riferito dal premier italiano in conferenza stampa, oltre a non poter essere applicato sulle persone già sbarcate in Italia, il protocollo non si applicherà, come già detto, a donne, minori e persone con fragilità. Non è però chiaro come, dove e quando queste persone soccorse in mare verranno sbarcate in Italia. Ciò avverrà prima o dopo aver lasciato gli uomini adulti in Albania? Infine, considerando che il porto di Shengjin dista tre giorni di navigazione da Lampedusa, le imbarcazioni delle autorità italiane si troverebbero a dover navigare per giorni, facendo la spola tra Italia e Albania, cariche di persone in precarie condizioni di salute fisica e mentale, sprecando risorse, lasciando sguarnite le nostre acque territoriali e costringendo a ulteriori sofferenze i migranti salvati. 

3. Conclusioni


Si rileva, anche se i dettagli non sono ancora del tutto conosciuti, che l’accordo, che costituisce un provvedimento tampone, sembra non essere perfettamente in linea con le leggi italiane ed europee sul diritto all’asilo. Il timore è che questo protocollo di intesa vada a peggiorare le condizioni dei migranti e a gravare inutilmente sulle casse italiane e sui fondi europei per la gestione dei migranti. Anche lo stesso premier Rama, in un’intervista a un quotidiano nazionale italiano, ha dichiarato che il protocollo non risolverà nulla.
Inoltre, poiché è stato fatto presente dal Presidente del Consiglio che tali strutture avranno le caratteristiche dei Centri per il Rimpatrio e quindi le procedure dovranno essere autorizzate dalle Autorità italiane (Questore e Tribunale), si ritiene che le stesse potrebbero andare incontro alle analoghe difficoltà previste per i Centri disciplinati dalla legge n.50/2023 e dal decreto legge n. 133/2033, già disapplicati dai numerosi giudici italiani.
Si osserva, altresì, che le commissioni territoriali e i giudici competenti saranno italiani e verosimilmente dovranno esaminare le richieste a distanza. L’esecutivo non è stato in grado di specificare attraverso quali piattaforme e in che modalità avverrà tutto ciò, considerando anche la difficoltà dell’utilizzo dei sistemi telematici. C’è poi la questione dei rimpatri, obiettivo di questo governo. A tale riguardo il primo ministro albanese ha già chiarito che non sarà il suo governo a farsi carico dei rimpatri e che i migranti ritenuti non idonei alla protezione internazionale saranno rimandati in Italia, dove il sistema dei rimpatri, allo stato, è molto lento. Ancora, c’è da chiedersi come fare con i nuclei familiari, se questi centri sono stati progettati solo per migranti uomini adulti. Infatti, come si procederà nei confronti di minori accompagnati da uomini adulti? [16] 
Si osserva, altresì, che anche il trasferimento forzato dei migranti dal Regno Unito in Ruanda è stato dichiarato illegittimo dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e di recente anche dalla Corte Suprema del Regno Unito che non ha consentito l’attuazione dell’accordo con il Ruanda, che prevedeva di corrispondere al governo ruandese una somma in cambio del trattenimento dei migranti. 
D’altro canto, è certo che le autorità di polizia albanesi addette al controllo non consentiranno certo che i migranti ospitati nelle strutture possano liberamente muoversi nel proprio territorio.
Si ritiene, quindi che la continua adozione dei provvedimenti in materia di immigrazione, spesso redatti frettolosamente da parte dell’esecutivo, difficilmente potrà conseguire l’obiettivo prefissatosi nel programma di governo e, cioè, il contrasto dell’immigrazione clandestina, soprattutto di fronte a un numero eccezionale di sbarchi in territorio italiano, che ha assunto ormai una dimensione impressionante.
Non solo, ma anche l’accordo tra Italia e Albania, potrebbe presentare dubbi di legittimità costituzionale e di contrasto alla normativa europea, analoghi a quelli accertati da vari tribunali italiani nel caso della detenzione nei CPR per un periodo di 18 mesi come sopra riferito.
D’altro canto, lo stesso favore che l’accordo sembra avere incontrato da parte del governo tedesco, non costituisce certo una garanzia di legalità dello stesso.
Si ritiene, invece, che il governo italiano debba sollecitare l’attuazione dell’accordo raggiunto in data 4 ottobre 2023 tra i 27 Paesi europei sul testo chiave del regolamento delle crisi dei migranti, anche se avverso l’intesa raggiunta a Bruxelles si sono espresse Polonia e Ungheria, mentre Austria, Repubblica ceca e Slovacchia si sono astenute.
Infatti, secondo la logica di fondo del nuovo patto UE, che è improntato alla solidarietà obbligatoria, lo Stato di primo arrivo rimane tenuto a identificare il migrante e raccoglierne la richiesta di asilo; però, in caso di flussi massicci che ne mettono a dura prova le capacità operative, il Paese può chiedere ai partners europei di accettare dei ricollocamenti o, in alternativa, di versare un contributo finanziario, dare altra assistenza di natura logistica o ancora di farsi carico dell’esame delle domande di protezione internazionale. Tuttavia, si teme che le prossime elezioni europee del giugno 2024 potrebbero costituire un ostacolo alla realizzazione di tale accordo così faticosamente raggiunto.

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Note

  1. [1]

    P. Gentilucci, Nuovo decreto immigrazione: stretta su protezione speciale, in Diritto.it del 21 marzo 2023.

  2. [2]

    S. Occhipinti, Immigrazione: le novità del nuovo Decreto, in Altalex del 13 marzo 2023

  3. [3]

    P. Gentilucci, Immigrazione: d.l. 124/2023 e nuova disciplina dei C.P.R., in Diritto.it del 27 settembre 2024.

  4. [4]

    M. Panato, Le novità in ambito immigrazione: il D.L. 124/2023 in G.U., in Altalex del 25 settembre 2023.

  5. [5]

    Il Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, disponeva la permanenza nei CPR per un periodo complessivo di tre mesi.

  6. [6]

    Y. Cigna, Il Tribunale libera tre migranti del centro di Pozzallo: “Il decreto del governo è illegittimo”. Il Viminale annuncia ricorso, in Open del 30 settembre 2023.

  7. [7]

    P. Gentilucci, D.l. 133/2023: ulteriore stretta in materia di immigrazione, in Diritto.it del 9 ottobre 2023.

  8. [8]

    S. Albano, Il giudice non convalida i trattenimenti di tre migranti tunisini disposti in base alla nuova disciplina delle procedure di frontiera, in Questione Giustizia del 2 ottobre 2023.

  9. [9]

    Cfr. direttiva 2013/33/UE, cd. direttiva accoglienza, e D.lgs n. 142/2015.

  10. [10]

    Cfr., tra le altre, Sez. 1, Ordinanza n. 9046 del 18/01/2023, dep. 30/03/2023.

  11. [11]

    Considerando 15 direttiva accoglienza: “I richiedenti possono essere trattenuti soltanto nelle circostanze eccezionali definite molto chiaramente nella presente direttiva e in base ai principi di necessità e proporzionalità per quanto riguarda sia le modalità che le finalità di tale trattenimento”.

  12. [12]

    CGUE (Grande Sezione), 14 maggio 2020, cause riunite C-924/19 PPU e C-925/19 PPU.

  13. [13]

    K. Carboni, Cosa c’è scritto nell’accordo tra Italia e Albania sui centri per migranti, in Valigia Blu dell’8 novembre 2023.

  14. [14]

    L. Tiberio, L’accordo italiano con l’Albania e la disumanizzazione dei migranti in Europa, in Valigia Blu del 9 novembre 2023.

  15. [15]

    K. Carboni, Come funziona l’accordo tra Italia e Albania sui migranti, in Wired Italia del 7 novembre 2023.

  16. [16]

    L. Tiberio, L’accordo italiano con l’Albania e la disumanizzazione dei migranti in Europa, cit.

Prof. Paolo Gentilucci

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