Corte dei Conti – Giudizi di responsabilità amministrativa per danno erariale – Sezione Giurisdizionale Lazio – Sentenza n. 106 del 21 gennaio 2008 – Procedura finalizzata all’acquisto di immobile da adibire a sede di uffici amministrativi – Versamento in

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Con la sentenza di cui in epigrafe, la Sezione Giurisdizionale della regione Lazio della Corte dei conti, si pronuncia in merito alla fattispecie di danno erariale perpetrata dai vertici del Sisde che, con l’avallo del Ministro degli Interni p.t., finanziarono un’operazione, rivelatasi illecita ed illegittima, volta ad acquisire un immobile per collocare la nuova sede degli uffici amministrativi dell’ente; l’immobile in questione infatti venne volontariamente sopravvalutato sotto il profilo economico determinando così un esborso ingiustificato dei fondi erariali peraltro assegnati ai servizi segreti per lo svolgimento di operazioni riservate.    
In relazione alla vicenda in esame, la Sezione fa presente che è ancora pendente un procedimento penale a carico dei convenuti nonché che è in itinere un procedimento civile di esecuzione volto a recuperare le somme già versate a titolo di caparra a favore del falso promittente venditore.
Il collegio, dopo aver richiamato l’attenzione sulla normativa che disciplina la gestione dei fondi c.d. riservati da parte dei servizi segreti caratterizzata da ampia discrezionalità dell’autorità gestoria, censura l’operazione posta in essere dai convenuti sia perché essa appare di natura ordinaria e quindi non finanziabile con i fondi predetti e sia perché, nel merito, lo stabile – peraltro mai acquisito al patrimonio erariale – era comunque del tutto inadeguato nel fine anche alla luce delle operazioni peritali svolte in sede penale.
Per i giudici, inoltre, la circostanza che sono in corso le procedure volte al recupero delle somme già versate a titolo di caparra appare irrilevante sotto il profilo giuscontabile, stante l’aleatorietà che caratterizza ogni procedimento giurisdizionale in essere e, in particolare, quello esecutivo predetto poiché il privato debitore risulta al momento versare in serie difficoltà economiche.
Secondo il Collegio, il danno erariale è concreto, attuale e pienamente provato; conseguentemente essi pronunciano sentenza di condanna accogliendo le richieste avanzate dal Requirente contabile.
Qui la sentenza.
 
 
 
 
 
 
 
    SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LAZIO
composta dai seguenti giudici:
dott. Salvatore NOTTOLA                                             Presidente
dott. Andrea LUPI                                                     Consigliere
dott. Stefano PERRI                         Primo Referendario rel.
         ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 50682 del registro di segreteria, promosso ad istanza del Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio nei confronti di:
S. V. nato a XX ed elettivamente domiciliato in Roma via della Vite, n. 7 presso lo studio degli Avvocati Claudio Canovi e Piero d’Amelio che lo rappresentano e lo assistono, giusta procura in calce alla memoria di costituzione;
V. A. nato a XX ed elettivamente domiciliato in Roma via Pisanelli n. 4 presso lo studio dell’Avvocato Giulio Correale che lo rappresenta e lo assiste nel giudizio, giusta procura in calce all’atto di costituzione;
L. R. nato a XX ed elettivamente domiciliato in Roma viale Parioli n. 180 presso lo studio degli Avvocati Mario Sanino e Gianpaolo Ruggiero che lo rappresentano e lo assistono in giudizio, giusta procura in calce all’atto di costituzione;
G. F. nato a XX ed elettivamente domiciliato in Roma via Principessa Clotilde n. 3 presso lo studio Clarizia rappresentato dall’ Avvocato Nino Paoloantonio, giusta procura in calce alla comparsa di risposta;
Visto l’atto introduttivo del giudizio, e tutti gli altri documenti di causa;
Uditi alla pubblica udienza del 3 dicembre 2007 il Primo Referendario relatore dott. Stefano PERRI, il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore generale dott. M. Zappatori e l’Avvocato Sciacca Giovanni C., su delega dell’Avvocato D’Amelio, per il convenuto S., l’Avvocato Sanino per il convenuto L., l’Avvocato Correale per il convenuto V. ed infine l’Avvocato Paoloantonio per il convenuto G.;
Ritenuto in
 
FATTO
 
Con atto di citazione in data 25 febbraio 1999, la Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale ha convenuto in giudizio i signori S. V., V. A., L. R. e G. F. per sentirli condannare al pagamento, in solido tra loro, della somma di lire 14,5 miliardi a favore dell’Erario per le presunte gravi illiceità compiute nelle rispettive qualità e funzioni rivestite pro tempore di Ministro degli Interni, Direttore del SISDE, Capo di Gabinetto del Ministro degli Interni e Vice Direttore del SISDE in relazione all’acquisto di un immobile cielo- terra sito in Roma via Poli n. 25 che hanno dato luogo anche ad un procedimento penale e civile, quest’ultimo attualmente ancora pendente.
Con riferimento alla medesima vicenda, questa Sezione, su istanza della Procura attrice, ha disposto e confermato il sequestro conservativo di beni mobili ed immobili, nei limiti di legge, a carico dei soli convenuti V., L. e G. con ordinanza 051/99/R depositata il 2 febbraio 1999 e, limitatamente, al reclamo presentato avverso detta ordinanza da parte dei convenuti G. e L., ha confermato interamente la misura cautelare disposta, rigettando il reclamo con ordinanza n.0227/99/R depositata il 19 aprile 1999. Altre istanze di revoca delle misure cautelari richieste dai convenuti G. e L. sono state tutte respinte con ordinanze di questa Sezione giudicante.
La vicenda che ha dato luogo alla vocatio in iudicium può così sostanzialmente essere riassunta.
A)Nel marzo dell’anno 1992, secondo le dichiarazioni e gli atti acquisiti da parte attrice dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, i vertici amministrativi del SISDE Prefetti V. e G., unitamente al Ministro pro-tempore degli Interni S. ed al Capo di Gabinetto L. decisero di acquistare l’immobile cielo-terra sito in Roma via Poli, n. 25 da destinare a nuova sede degli uffici del Servizio. A tal fine il Capo di gabinetto del Ministro dott. L. contattava il vice direttore del SISDE dott. G., che a sua volta ne informava il direttore del SISDE dott. V., della possibilità di acquistare detta unità immobiliare la quale, anche se all’epoca della stipula del preliminare di vendita avvenuta in data 12 marzo 1992 era ancora di proprietà della società privata OMISSIS, fu dichiarata appartenere all’Architetto A. S., legale rappresentante della società OMISSIS, che assumeva pertanto di esserne proprietario e quindi pienamente legittimato alla stipula di detto preliminare di vendita.
Parte promittente acquirente doveva risultare la società di copertura XX per conto del SISDE, rappresentata dall’amministratore unico M. B..
In effetti, solo dopo la stipula del preliminare di vendita, l’architetto S. divenne proprietario dell’immobile, utilizzando a tale scopo la somma ricevuta indebitamente a titolo di caparra confirmatoria da parte della società XX e riversandola alla società privata OMISSIS.
B)Dagli atti di causa è risultato, altresì, che, nella stessa data del 12 marzo 1992, furono stipulati due preliminari di vendita tra il S. e la società XX: il primo, effettivo, destinato a restare occulto e successivamente ad essere distrutto, secondo il quale l’immobile in questione era ceduto per il prezzo complessivo di lire 25 miliardi e 470 milioni, comprensivo delle spese di ristrutturazione ed adeguamento che il S. avrebbe eseguito subito dopo il rogito notarile; il secondo preliminare, “ di facciata” e destinato a rimanere agli atti, sia per giustificare il minor importo versato e la minor somma da versare ai fini dell’IVA, secondo il quale l’immobile predetto era ceduto per un importo complessivo di lire 14 miliardi e 500 milioni, comprensivo delle spese di ristrutturazione ed adeguamento a carico sempre del S. promittente venditore.
La ragione dei due preliminari che differivano nell’importo di circa lire 10 miliardi era individuata dalla Procura nell’accordo illecito esistente tra i convenuti ed il S. volto a precostituire un fondo illecito da cui attingere successivamente.
C) A garanzia del rispetto dei vincoli assunti con la sottoscrizione del preliminare, la società XX, per conto del SISDE., versava in due riprese al S. un acconto “ di facciata” per l’importo complessivo di lire 4,5 miliardi ed un acconto “occulto” di lire 10 miliardi, somme che erano versate in contanti ed in giorni diversi durante lo stesso mese di marzo del 1992.
D)Il finanziamento degli acconti versati, come sopra indicato, veniva, secondo la ricostruzione dei fatti acquisiti dalla Procura, concordemente definito dai convenuti: in particolare il dott. V. avrebbe sottoposto al Ministro S. un appunto sulla possibilità di finanziare l’intera operazione d’acquisto secondo due modalità alternative.
La prima prevedeva il pagamento dell’acconto di facciata di lire 4,5 miliardi e del saldo di facciata di lire 10 miliardi attingendo dai fondi ordinari (cap.1116), mentre i successivi 10 miliardi, frutto dell’accordo illecito, sarebbero stati attinti dai fondi riservati; la seconda alternativa prospettava un pagamento dell’intera somma di lire 25 miliardi e 470 milioni dai fondi riservati.
Fu prescelta questa seconda soluzione in quanto garantiva, non solo, di avere la somma totale con immediatezza, senza dover attendere i tempi dettati dal regolamento di contabilità del servizio, ma soprattutto, di coprire l’intera operazione della massima riservatezza.
Com’è noto, infatti, l’utilizzo dei fondi riservati non era soggetto a rendicontazione e la documentazione poteva essere successivamente distrutta.
Sui fatti contestati e sulla loro addebitabilità ai convenuti, l’attore fa integrale richiamo alle deposizioni rese dagli indagati in sede d’interrogatori compiuti presso la Procura della Repubblica di Roma, mentre appare evidente sia l’inosservanza delle disposizioni primarie generali di contabilità, sia quelle speciali dettate con legge 801/77, istitutiva dei servizi di sicurezza, sia quelle interne di cui alla circolare 10 gennaio 1986 del Presidente del Consiglio dei Ministri, come altrettanto evidente appare il fine illecito, a prescindere dall’accertamento penale eseguito, che tutti i convenuti evidentemente si prefiggevano nel porre in essere una simile attività che non ha prodotto alcun’utilità per lo Stato, essendo l’immobile ancora oggi non ristrutturato e di proprietà del S. che ha incamerato la somma richiesta a titolo di danno erariale fin dal marzo 1992.
Il valore dell’immobile, comprensivo delle spese di ristrutturazione ed adeguamento, tra l’altro tutte non eseguibili a causa di vincoli urbanistici e storico-ambientali o di difficoltà tecniche che non avrebbero pertanto consentito un’adeguata e finalizzata utilizzazione a sede del Servizio, è stato oggetto di perizia tecnica demandata dal Collegio per i reati ministeriali della Procura della Repubblica di Roma ( investita ai fini della necessaria autorizzazione a procedere, essendo uno dei convenuti Ministro pro tempore) inizialmente ad un consulente tecnico Ing. C. e poi, per quanto riguarda la sola tipologia delle opere da eseguire ad un collegio di consulenti ( Ingg. A., G. ed E.) che hanno tutte dimostrato la non completa idoneità del medesimo edificio ai fini della successiva utilizzazione proposta, e l’eccessività della spesa e, quindi, l’esorbitanza del prezzo realmente pattuito rispetto all’intrinseco valore di mercato non superiore ai 9 miliardi di lire, comprensivi dei lavori da eseguire, secondo la perizia d’ufficio dell’Ing. C. o, comunque, non superiore ai 13,5 miliardi di lire secondo la perizia del tecnico di parte del SISDE Ing. M., pur tenendo conto delle spese di ristrutturazione eseguibili.
Per tutti questi motivi succintamente riassunti, la Procura, dopo aver regolarmente notificato invito a dedurre, ha citato in giudizio i convenuti, soffermandosi sugli addebiti contestati ai quali gli stessi, con le difese dei patrocinatori suindicati, hanno così sinteticamente replicato.
L’ex Ministro S. ha affermato che l’operazione è stata condotta sotto l’esclusiva responsabilità del Direttore del SISDE, pref. V. a cui la normativa primaria speciale affidava in via esclusiva la gestione delle spese finanziate con somme tratte su capitoli riservati.
Per quanto riguarda l’autorizzazione concessa dal medesimo al prelievo dal capitolo 1117 rubricato “spese riservate”, ha sostenuto che la medesima non può configurarsi come accertamento di congruità delle spese riservate da sostenere, né come controllo delle spese già effettuate ma solo, semmai, come controllo sulla finalità della spesa e, non può negarsi che l’acquisto di bene immobile destinato a nuova sede del Servizio, unitamente alle ragioni d’urgenza e di riservatezza, possano giustificare l’impiego dei fondi riservati, come d’altra parte ammesso dalla circolare “Craxi” del 10 gennaio 1986 che riconosce l’esclusiva responsabilità di gestione di detti fondi in capo al Direttore del SISDE.
Detta circolare evidenzierebbe, poi, l’assoluta discrezionalità dell’utilizzo dei fondi riservati da parte del Direttore del Servizio sganciati da qualsiasi obbligo di rendicontazione.
In merito alla partecipazione ad un ipotetico accordo illecito sia con il V. sia con gli altri convenuti, i cui presupposti possono rinvenirsi- come sostenuto da parte attrice- in colloqui, telefonate, appunti scritti, fa presente che la questione forma oggetto d’esame demandato al giudice ordinario penale, tuttora in corso di svolgimento, che dopo una serie di alterne vicende che hanno visto due pronunciamenti della Suprema Corte di Cassazione, ora è stato definito con la sentenza del 7 luglio 2003 emessa dal Giudice per le indagini preliminari di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato contestato previsto dall’articolo 323 c.p., sentenza che risulta appellata dal convenuto S. per cui veniva all’epoca richiesto apposito rinvio, considerato la rilevanza dell’accertamento e l’avvenuta costituzione di parte civile nel processo penale da parte del Ministero degli Interni in data 5 gennaio 2000.
Il Prefetto V., dopo aver preliminarmente rilevato che l’acquisto era stato voluto e caldeggiato dal Ministro S. al quale non poteva opporre rifiuto se non a costo di doversi dimettere, ha sostenuto l’inesistenza del danno erariale, trattandosi di immobile di particolare prestigio e criticando tutte le perizie eseguite che non hanno preso nella debita considerazione il valore dell’immobile, per cui il prezzo concordato di 25 miliardi sarebbe da ritenersi più che congruo.
In merito all’esistenza dei due preliminari, il V. ha sostenuto che il primo era da considerarsi come prevendita, vista l’indisponibilità immediata di tutti i fondi sul capitolo ordinario, fondi che avrebbero trovato completa disponibilità alla fine dell’esercizio, oltre al fatto che il preliminare d’importo inferiore avrebbe consentito un notevole risparmio di IVA. Ha sostenuto, infine, che l’utilizzazione dell’immobile potrà essere possibile non appena sarà stipulato il rogito notarile, per cui nessuna erogazione inutile sarebbe stata compiuta.
Il convenuto G. ha, preliminarmente, rilevato l’improcedibilità della domanda attorea sul presupposto che la citazione è stata depositata dopo centoventi giorni dalla scadenza del termine di deposito delle deduzioni scritte all’invito a dedurre e non risulta chiesta alcuna proroga.
In via subordinata, ha chiesto la sospensione del giudizio, attesa la pendenza di quello penale in considerazione dell’appello proposto avverso la sentenza del 7 luglio 2003 di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato.
Nel merito, ha affermato l’assoluta sua estraneità alla vicenda, in quanto la condotta posta in essere si è limitata a quella d’intermediario senza alcuna possibilità di influire né sulla decisione di acquistare il bene ( infatti, unico soggetto legittimato ad utilizzare i fondi era il Direttore V.) né sulla congruità del prezzo di vendita del bene o sull’opportunità dell’acquisto ( avendo il G. incontrato prima il Prefetto L. e poi l’architetto S. solo su disposizione del V. al quale aveva prontamente riferito), mentre non risulta provato che il medesimo abbia partecipato ad alcuna spartizione di somme illecite.
Sull’inutilità dell’acquisto effettuato, il G. ha evidenziato che il presunto danno erariale andrebbe posto a carico di chi subentrò ai vertici del SISDE che, ancora oggi, non ha attuato le azioni d’esecuzione del contratto preliminare. Ha, infine, criticato le perizie svolte in merito alla congruità del prezzo dell’immobile, ritenute dal medesimo manifestamente inattendibili, considerato il prestigio e la centralità dell’immobile.
Ha concluso la memoria, respingendo qualsiasi responsabilità per il danno contestato in solido ed, in via subordinata, ha chiesto un ampio uso del potere riduttivo.
Infine, il Prefetto L. ha contestato l’addebito mosso in quanto il medesimo si fonderebbe sulla presunta sua qualità di “promotore” dell’intera operazione illecita ma tali fatti dovranno essere accertati nel giudizio penale allora ancora pendente, per cui ha chiesto la sospensione del giudizio. Nel merito, ha precisato che della proposta d’acquisto dell’immobile il Ministro S. ha dichiarato di averne avuto notizie dal V. sin dal febbraio 1992, mentre l’incontro che il L. ebbe con il G. risalirebbe ai primi di marzo del 1992, quando ormai ogni decisione era stata assunta, per cui la sua condotta non potrebbe assurgere a quella d’intermediario.
In particolare, il L. ha precisato, ancora, che il colloquio con il G. ebbe per oggetto la già individuata sussistenza di un immobile da acquistare per risolvere i noti problemi logistici del SISDE, ma in tale occasione non si parlò mai di prezzo, né di come procedere alla trattativa e di come finanziare l’operazione d’acquisto, gestione rimessa all’assoluta discrezionalità del Direttore del Servizio che avrebbe richiesto la necessaria autorizzazione del Ministro senza coinvolgere in alcun modo la sua persona .
Tutto ciò risulterebbe anche dall’interrogatorio del V. che, in data 27 dicembre 1993, ebbe a dichiarare che fu proprio il medesimo ad assumere la decisione di acquisire l’immobile, dopo aver avuto il benestare del Ministro, autorizzando i funzionari della struttura e l’amministratore B. a stipulare il preliminare di vendita.
Il L. ha contestato l’assunto dell’attore circa l’inutilità della prestazione erogata, la congruità del prezzo pattuito come anche la sua partecipazione ad una spartizione di somme illecite, sulla base delle stesse considerazioni già prospettate dagli altri convenuti.
Alla precedente udienza del maggio 2004 il giudizio era stato sospeso in attesa della definizione dell’instaurato processo civile tra le società OMISSIS s.p.a. e XX s.r.l..
In particolare l’adempimento delle obbligazioni nascenti dal preliminare di vendita non era più avvenuto perché nel frattempo erano state avviate le indagini penali ed i pagamenti erano stati bloccati, come anche i lavori di ristrutturazione dell’immobile rimasto nella disponibilità del S..
Con nota del 2 ottobre 2006, il Direttore dell’Ufficio Affari legali del SISDE ha trasmesso copia della sentenza n. 12417 del 26 aprile 2006 del Tribunale civile di Roma con la quale la società OMISSIS è stata condannata a restituire alla società XX la caparra ricevuta e i correlati oneri accessori per un totale di €. 7.488.625,04, oltre agli interessi legali dal dì del pagamento all’effettivo soddisfo, sentenza che risulta attualmente gravata d’appello.
Con la medesima nota, l’Amministrazione ha trasmesso, altresì, anche copia dell’ordinanza n. 106 del 20 aprile 2006 con la quale la 4^ Sezione penale della Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato di abuso di ufficio con finalità patrimoniali contestato agli odierni convenuti, rigettando gli atti di appello promossi da G., L. e S. tendenti ad ottenere il proscioglimento nel merito.
Con ultima nota del 5 luglio 2007, il direttore del Servizio Affari Legali del SISDE ha comunicato l’avvenuto pignoramento del complesso alberghiero “OMISSIS” di proprietà della società OMISSIS a favore della società XX, in esecuzione della sentenza civile del 2006 di cui, peraltro, era stata rigettata l’istanza di sospensione dell’efficacia promossa dalla convenuta soccombente.
Per l’odierna udienza l’Avvocato Paolantonio, per il convenuto G., ha ribadito i precedenti scritti, soffermandosi sulla sopravvenuta sentenza del Tribunale civile di Roma che ha ordinato la restituzione alla società XX della cospicua somma di euro 7.488.625,04, somma che corrisponde al danno erariale contestato e del quale l’Amministrazione è divenuta creditrice.
In particolare, la difesa si è soffermata sulla motivazione di detta sentenza nella parte in cui esclude che il S. non fosse proprietario dell’immobile all’epoca della stipula del preliminare, circostanza questa dalla quale l’accusa era partita per sostenere l’esistenza di un presunto accordo illecito tra i convenuti rivelatosi poi inesistente o, comunque, non dimostrato.
La difesa ha ribadito, altresì, che il G. non aveva alcuna disponibilità nell’utilizzo dei fondi riservati che erano, invece, nell’esclusiva titolarità del V., come anche che il G. non avviò alcuna trattativa con il S., ma si limitò ad incontrarlo solo su ordine del V. quando le trattative per l’acquisto dell’immobile erano già state avviate, per cui ha concluso sostenendo l’assoluta mancanza di nesso di causalità tra la condotta del convenuto e l’evento di danno ora non più esistente.
Infine, nel chiedere l’assoluzione da ogni addebito, ha formulato istanza per la immediata revoca delle misure cautelari disposte sui beni immobili del G..
Per la presente udienza, l’Avvocato D’Amelio per S. ha prodotto breve memoria nella quale ha chiesto che il giudizio sia nuovamente sospeso in attesa della definizione del giudizio civile o, in alternativa, che il Collegio rigetti la domanda attorea sul presupposto dell’attuale inesistenza del danno erariale, come interamente recuperato a seguito della sentenza civile di primo grado.
In via subordinata e nel merito, ha ribadito l’infondatezza della domanda, come da precedente scritto depositato in atti.
Il patrocinatore del convenuto L. ha depositato, in data 21 novembre 2007, una memoria nella quale ha sostanzialmente ribadito l’assoluta infondatezza della pretesa attrice sulla base delle stesse motivazioni più sopra illustrate e si è soffermato sulla sentenza del Tribunale civile dell’anno 2006 che, dichiarando la nullità del contratto preliminare del marzo 1992, ha, di fatto, eliminato sia la pretesa dell’Amministrazione ad ottenere l’esecuzione specifica degli obblighi di contrarre, sia il diritto della promittente acquirente a trattenere l’ingente importo percepito a titolo di caparra confirmatoria, per cui con la restituzione delle somme al Ministero verrebbe meno il danno erariale contestato al convenuto. A tal fine ha rivolto invito al Collegio per accertare l’effettivo recupero della somma.
Nel concludere per l’assoluzione da ogni addebito, il L. ha chiesto che, nell’ipotesi che il Collegio disponesse rinvio istruttorio, sia, comunque, ordinato l’immediato dissequestro dei beni immobili operato con il decreto di questa Sezione del 9 settembre 1998.
Alla pubblica udienza, il Pubblico Ministero ha depositato, con l’assenso delle controparti, una documentazione proveniente dall’ufficio Affari legali del SISDE del 28 novembre 2007 nella quale si evidenzia l’attuale sussistenza del danno erariale, in considerazione sia della pendenza dell’appello avverso la sentenza del Giudice civile che, se riformata, potrebbe non determinare alcuna forma di recupero per l’Amministrazione danneggiata e, sia perché l’unico immobile di una certa consistenza oggetto di pignoramento è rappresentato dal complesso alberghiero “ OMISSIS”, attualmente in locazione trentennale da parte di una società facente capo alla figlia di S., il cui valore accertato è pari a circa due milioni e settecentomila euro, quindi di gran lunga inferiore al danno contestato.
Risulta, altresì, che la Società OMISSIS ha ceduto a terzi il palazzo di via Poli e dispone attualmente di altri terreni di modico valore sui quali grava ipoteca per circa otto milioni di euro da parte della Banca San Paolo di Torino.
Alla luce di tale situazione patrimoniale, il Pubblico Ministero ha ribadito la richiesta di condanna dei convenuti al risarcimento dell’intera somma contestata, attese le difficoltà di recupero della stessa, con conseguente reiezione delle istanze di dissequestro presentate dai convenuti G. e L..
Nel merito, ha osservato che alla determinazione dell’ingente danno erariale hanno partecipato tutti i convenuti, come risulterebbe dall’istruttoria penale che non è giunta al proscioglimento di merito di nessun soggetto implicato, e precisando che il reato di peculato, poi derubricato in abuso d’ufficio per finalità patrimoniale, contestato ai quattro convenuti, si è estinto per intervenuta prescrizione.
L’Avvocato Sciacca per il convenuto S. ha insistito sulle conclusioni rassegnate di sospensione del processo, in considerazione del fatto che l’ammontare del danno risulta di difficile determinazione per l’attuale svolgimento della procedura esecutiva.
Negli stessi termini si è espresso anche l’Avvocato Correale per V., precisando che, al momento, il danno non sarebbe attuale perché non è noto cosa sarà recuperato, per cui sarebbe opportuno attendere l’esito finale del giudizio civile. Nelle more ha chiesto che sia operato il dissequestro della quota degli emolumenti sottoposti a misura cautelare.
Il legale del convenuto L. ha fatto rinvio agli atti scritti ed, in particolare, ha escluso ogni coinvolgimento del suo assistito nelle trattative per l’acquisto dell’immobile, come anche nella determinazione del prezzo. Ha escluso ogni tipo di responsabilità in quanto la carica rivestita non consentiva alcuna ingerenza nella conclusione dell’acquisto. Peraltro la pronuncia del Giudice civile comporterà l’azzeramento del danno, per cui ha ribadito la richiesta di piena assoluzione nel merito ed il dissequestro dei beni oggetto di cautela.
Infine l’Avvocato Paolantonio, nel respingere fermamente gli addebiti mossi al G., ha evidenziato come dal procedimento penale non sia stata accertata l’esistenza di un disegno criminoso tra tutti i convenuti, né alcuna particolare responsabilità del suo assistito nella determinazione di acquisto dell’immobile come anche del prezzo pattuito. Con riferimento al giudizio civile e ai pignoramenti immobiliari disposti dall’Amministrazione, la difesa ha ribadito la non attualità del danno erariale che potrà essere esattamente calcolato solo a completamento della procedura esecutiva già avviata, per cui ha insistito per l’immediato dissequestro dei beni.
 
DIRITTO
 
Va preliminarmente esaminata la richiesta d’inammissibilità dell’atto di citazione eccepita dal convenuto G. sul presupposto che la sua formulazione e successivo deposito sia avvenuta dopo centoventi giorni dalla scadenza del termine per produrre le deduzioni scritte all’invito a dedurre.
L’eccezione è infondata e va, quindi, rigettata.
Com’è noto, l’articolo 5 comma 1 del decreto legge n. 453 del 15 novembre 1993, convertito nella legge 14 gennaio 1994 n. 19 e modificato dall’articolo 1 del decreto legge n. 543/96, ha previsto un termine perentorio di centoventi giorni decorrente dalla scadenza del termine assegnato dal Procuratore regionale al soggetto invitato a produrre deduzioni per il deposito dell’atto di citazione, termine che può essere prorogato, su istanza dell’attore, dalla Sezione giurisdizionale nella Camera di consiglio appositamente convocata.
Nella fattispecie l’invito a dedurre nei confronti del G. risulta notificato con la procedura di cui all’articolo 140 c.p.c., per cui, in adesione ad uniforme indirizzo giurisprudenziale ( cfr. per tutte Corte Cass. 9 febbraio 1998 n. 2228 o   Corte Cass. 5 luglio 1997 n. 6060, ripresa da Corte dei conti Sezione 1^ appello 20 gennaio 2003 n. 16), la notifica s’intende perfezionata nel momento in cui è spedita dall’Ufficiale giudiziario la raccomandata con avviso di ricevimento, contenente la notizia del deposito dell’atto nella casa comunale, senza che assuma rilevanza l’effettiva ricezione della stessa da parte del destinatario risultato assente la prima volta.
Tale formalità risulta compiuta in data 25 settembre 1998, per cui il termine di trenta giorni assegnato dalla Procura per le deduzioni scritte sarebbe scaduto in data 25 ottobre 1998.
Sennonché l’invito a dedurre è stato formulato contestualmente nei confronti di tutti i convenuti, per cui, in adesione alle motivazioni contenute nella pronuncia resa su questione di massima da parte delle SS.RR. di questa Corte n. 1/2005, il Collegio ritiene che, nel caso in cui una pluralità di presunti responsabili amministrativo-contabili siano destinatari di un contestuale invito a dedurre, il termine di 120 giorni per emettere l’atto di citazione decorre per tutti dal momento in cui si perfeziona l’ultima delle notificazioni dell’invito in questione, senza aver riguardo ad ognuna di esse. Tale affermazione risponde all’esigenza di un esame unitario e comparato nel medesimo procedimento di tutte le posizioni strettamente collegate dei chiamati e, ciò, sia per un migliore esercizio del diritto di difesa degli stessi che potranno così evidenziare i rispettivi ruoli rivestiti nella vicenda dannosa, sia per l’esercizio in un unico processo delle azioni di responsabilità da parte della Procura che potrà decidere di formulare l’atto di citazione solo ad avvenuto esaurimento dei termini assegnati ai singoli chiamati.
Nel caso di specie, l’ultima notifica dell’invito è stata effettuata in data 30 settembre 1998 nei confronti del convenuto S., per cui il termine ultimo per il deposito delle deduzioni o per chiedere l’audizione personale scadeva per tutti il 30 ottobre 1998.
Di conseguenza, l’atto di citazione, depositato in data 26 febbraio 1999, risulta formulato tempestivamente.
Entrando, ora, nel merito del giudizio, occorre preliminarmente osservare che, allo stato attuale, non vi è stata alcuna pronuncia di merito emessa dopo il dibattimento da parte del Giudice penale, ma soltanto una pronuncia di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato contestato ai convenuti emessa dal Giudice per le indagini preliminari, sentenza che è stata recentemente confermata dalla 4^ Sezione penale della Corte di appello di Roma e, quindi, ormai passata in giudicato.
 Il Collegio, pertanto, essendo acquisito al fascicolo processuale tutto il materiale istruttorio raccolto nella fase delle indagini preliminari, deve trarre dal medesimo, seconda la più ampia ed autonoma valutazione, gli elementi che sono indispensabili per addivenire ad una pronuncia di condanna o assolutoria.
A tal fine è indispensabile fare una ricostruzione delle norme che, all’epoca, disciplinavano l’acquisto di beni e servizi da parte del SISDE.
La legge 24 ottobre 1977 n. 801, all’articolo 6, ha disciplinato l’istituzione del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (SISDE), ponendolo alle dipendenze dirette del Ministro degli Interni che provvedeva alla nomina del Direttore , su parere del Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza.
Il successivo articolo 19 ha previsto che le spese del Servizio, siano inserite in un’apposita rubrica nello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro. Il Capo del Governo poteva così assegnare le risorse al servizio per la sua organizzazione e funzionamento, risorse che erano soggette ad apposita rendicontazione e controllo.
Per particolari finalità ed attività riservate era stato individuato un apposito capitolo, rubricato “ spese riservate”, la cui utilizzazione era rimessa all’esclusiva responsabilità del Direttore del Servizio il quale, in caso di spese per importi di rilevante ammontare, avrebbe dovuto ottenere l’autorizzazione del Ministro degli Interni. Tali spese non erano soggette a rendicontazione anche se “ al fine di accrescere le garanzie di correttezza e conformità istituzionale” di tali delicati apparati statali, fin dal 10 gennaio 1986, l’allora Capo del Governo aveva avvertito la necessità di emanare, con apposita circolare, delle direttive di massima sull’utilizzazione delle somme contenute nei capitoli delle spese riservate.
In particolare, pur lasciando la più ampia discrezionalità nell’utilizzo delle somme, le medesime erano affidate personalmente al Direttore del Servizio e, per quanto qui interessa, potevano essere destinate anche per beni e servizi “…il cui acquisto presenti caratteri d’immediatezza, quando la rapidità dell’operazione, cui essi siano destinati, è condizione essenziale per il raggiungimento degli obiettivi”; inoltre era stabilito che “quando si tratti di spese di natura riservata di rilevante ammontare, ovvero relative ad operazioni che presentino delicati risvolti, esse saranno, di regola, disposte o autorizzate …dal Ministro degli Interni”.
La normativa così esposta sembra non offrire alcun dubbio interpretativo nel senso di ritenere vietata la condotta di utilizzare cospicue somme esistenti su detti capitoli riservati per l’acquisto di un immobile da destinare a nuova sede degli uffici amministrativi.
Il Collegio non intravede, infatti, il verificarsi di alcuno dei presupposti normativamente individuati per finanziare un’operazione avente i caratteri della massima ordinarietà con fondi destinati per loro natura ad acquisti di beni di tutt’altra natura e aventi finalità completamente diverse.
Non può sfuggire, infatti, il senso comune che si riconosce alla parola “riservato”, per affermare che l’acquisto di un palazzo destinato ad ospitare uffici amministrativi di un apparato statale è tutt’altra cosa dalle funzioni che in tali locali devono essere poi svolte, funzioni a cui soltanto si addice la parola riservato.
Eppure con estrema determinazione e rapidità il convenuto V. e l’ex Ministro S. non hanno esitato ad impegnare la cospicua somma oggi richiesta a titolo di ristoro del danno patrimoniale e ad erogarla in uno spazio temporale di appena venti giorni ad un soggetto privato, il S., senza neppure accertarsi se il bene offerto poteva essere trasformato ed utilizzato a sede d’ufficio e senza tener conto che il prezzo richiesto era di gran lunga superiore al valore di mercato.
Sono state queste le ragioni che, da ultimo, hanno indotto il Tribunale civile a ritenere nullo il contratto preliminare, obbligando il promittente venditore a restituire la cospicua somma versata a titolo di caparra confirmatoria.
L’immobile in questione è rimasto, ad oggi, nella proprietà del soggetto privato che, anzi, lo ha perfino ceduto a terzi, mentre a fronte della cospicua somma miliardaria erogata la Pubblica Amministrazione non ha ottenuto alcuna controprestazione.
In merito, quindi, al presunto valore dell’immobile, Il Collegio ritiene sufficientemente idonee le perizie acquisite e depositate agli atti che non lasciano alcun margine di dubbio sulla reale consistenza dell’immobile, sul suo valore anche comprensivo delle spese di ristrutturazione che il S. si era impegnato ad effettuare ma che in realtà mai effettuò e che mai avrebbe potuto realizzare.
Ora, a fronte di una somma così ingente erogata, il Servizio non ha ottenuto alcuna controprestazione e la responsabilità di tutta quest’operazione, a prescindere dall’illiceità penale, non può che ricadere in massima parte sui soggetti V. e S. che, per legge, avevano la disponibilità dei fondi riservati utilizzati e che, con estrema superficialità e trascuratezza, hanno attuato il depauperamento del soggetto pubblico arrecando con colpa grave il danno erariale oggi contestato.
Non possono, infatti, essere condivise le ragioni poste dalla difesa del V. e consistenti nel fatto di aver obbedito ad un ordine del Ministro, stante la piena ed esclusiva responsabilità d’utilizzo di somme che al medesimo venivano per legge personalmente assegnate.
Né tantomeno possono considerarsi giustificative le affermazioni dello S. circa la mancata previsione normativa di una verifica sulla congruità della spesa da parte del Ministro.
In tale vicenda l’autorizzazione chiesta al Ministro per poter avere una somma così ingente avrebbe quanto meno imposto un onere di diligenza nel vedere se tale somma fosse destinata all’uso “riservato” nell’accezione di cui prima si è detto, oltre nel richiedere quelle spiegazioni minime sulle ragioni d’immediatezza e di riservatezza che avevano indotto il Direttore del Servizio ad operare sui fondi di natura riservata.
La normativa fondamentale, infatti, non esonerava il Direttore del Servizio da una rendicontazione nei confronti dell’organo politico che aveva il preciso obbligo di accertarsi sulla reale destinazione delle somme, come anche, prima di distruggere ogni documentazione contabile, era comunque necessario avere il discarico dell’organo politico, a dimostrazione che sull’utilizzazione di quei fondi i poteri del Ministro non erano solo formali.
Peraltro, l’utilizzazione dei fondi riservati prevedeva un necessario passaggio autorizzativo del Ministro e, ciò, a prescindere dalla conoscenza o meno da parte di quest’ultimo dell’appunto sottoposto dal V. sulle concrete modalità d’acquisto.
Certo è che per consentire l’esborso di una somma così ingente, il Ministro doveva essere a conoscenza delle modalità di adempimento; peraltro il fatto della sua conoscenza risulta confermata, oltre che ovviamente dalla firma del decreto autorizzativo, anche dalle dichiarazioni del V. che, più volte, riferisce di aver parlato dell’acquisto dell’immobile di via Poli con il Ministro, e questi non lo ha smentito, ed anche dalle deposizioni degli altri convenuti che hanno confessato l’avvenuta informativa documentale nei confronti dello S., per tacere anche delle dichiarazioni confessorie del B., acquisite agli atti del processo penale, che ha apertamente indicato il fine ultimo dell’erogazione delle ingenti somme destinate al S., somme che sarebbero servite, almeno in parte, a finanziare la campagna elettorale del Ministro.
Dai verbali degli interrogatori e dei confronti acquisiti si desume, quindi, una conoscenza del Ministro o, quantomeno, non è possibile desumere alcun elemento giustificativo per la superficiale e sommaria conoscenza dell’operazione con la quale era utilizzata una così ingente somma.
Ciò comporta, ai fini della quantificazione del danno, che la partecipazione causale del V. e dello S. alla verificazione dello stesso sia paritaria e, quindi, che la conseguente responsabilità da attribuire sia da riconoscere in parti uguali e nella misura complessiva dell’80% dell’intero danno contestato.
Con riguardo alla posizione degli altri due convenuti L. e G., il Collegio non può non evidenziare il ruolo partecipativo, connotato da colpa grave, avuto da entrambi nella fattispecie produttiva del danno erariale.
 
Dagli interrogatori disposti dall’Autorità giudiziaria penale e civile di tutti i convenuti, emerge chiaramente che dell’operazione erano informati tutti, nessun escluso, ed, in particolare, che il G. aveva incontrato il S. che aveva offerto l’immobile in vendita per l’importo di 25 miliardi e lo stesso aveva risposto che tutti i soldi non erano disponibili sui capitoli ordinari.
Dell’offerta il G. ne aveva parlato con il V. il quale, nel predisporre l’appunto per il Ministro S., gli aveva materialmente consegnato il documento che lo stesso, poi, aveva affidato al L. per recapitarlo al Ministro.
Il Capo di gabinetto L. che, in precedenza aveva incontrato il G. ed avevano parlato dell’acquisto da compiere, risulta aver letto l’appunto predisposto per il Ministro nel quale si esplicitavano i dettagli dell’operazione, manifestando un consenso sul contenuto proposto, quindi, condividendone o quantomeno non contrapponendosi all’operazione che doveva effettuarsi con fondi del capitolo riservato e, per di più, con la massima rapidità in appena venti giorni.
In sostanza, il Collegio ritiene che, sia il G. sia il L., pur non avendo un potere dispositivo diretto nella compravendita dell’immobile, non abbiano posto in essere alcun doveroso comportamento idoneo ad evidenziare la palese illegittimità dell’acquisto di cui i medesimi si rendevano perfettamente conto, tenuto conto delle rispettive cariche ricoperte.
Infatti, se è vero che il G. puntualizzò al S., e forse anche al V., che i fondi ordinari non erano del tutto capienti per acquistare l’immobile, è altrettanto vero che lo stesso G. ha dichiarato di aver ricevuto dal V. l’incarico di “ vedere, sentire e riferire” ed, in effetti, il G. riportò al V. l’offerta del S. che non avrebbe potuto scendere al di sotto dei 23 miliardi di lire, ma non si preoccupò minimamente di sincerarsi se l’immobile era veramente idoneo allo scopo finale e se gli interventi di ristrutturazione fossero effettivamente realizzabili.
In sostanza il compito assegnato dal V. al G. di verificare se l’immobile del S. fosse effettivamente idoneo a soddisfare la necessità del SISDE non fu adeguatamente svolto perché il medesimo non ebbe ad evidenziare né l’illegittimità, né l’opportunità nè la fattibilità stessa dell’operazione.
Pertanto, anche se non è stato provato che il G. fosse partecipe di un sodalizio criminoso, la condotta omissiva posta in essere fu, però, completamente noncurante dell’interesse pubblico ed il convenuto non espresse alcuna valutazione sull’operazione di compravendita immobiliare, nè frappose alcun ostacolo per evitare l’ingente ed illegittimo esborso di denaro.
Ebbene, non si può ritenere che un vice direttore di un Servizio possa limitare il suo intervento ad un mero passaggio di informazioni o di documentazione senza esprimere alcuna valutazione che, in questo caso, avrebbe dovuto evidenziare al diretto superiore l’illegittimità e l’inopportunità di un simile acquisto, per cui, entro questi limiti e per tali ragioni, la sua condotta è connotata da colpa grave e, quindi, senz’altro da censurare.
Un identico addebito deve muoversi anche al convenuto L. il quale, dai riscontri documentali acquisiti, era venuto certamente a conoscenza dell’operazione d’acquisto dell’immobile di via Poli per aver intrattenuto dei rapporti con gli altri soggetti oggi convenuti, ed in particolare, con il G. e con il V..
Non può in alcun modo essere credibile la posizione di estraneità rivendicata del L., quando il G. dichiara apertamente di essere stato informato dell’operazione d’acquisto e di alcuni importanti dettagli della stessa proprio dal Capo di gabinetto del Ministro il quale, come dal medesimo riferito, ha dichiarato di essere a conoscenza dell’intera vicenda perchè il V. ne aveva parlato direttamente con il Ministro.
Nel momento, poi, della consegna dell’appunto al Ministro nel quale era descritto in dettaglio l’operazione da compiere, il G. ha dichiarato che il L. ne lesse il contenuto, approvandolo, circostanza smentita dal L. che, però, ha dichiarato di aver ricevuto dal Ministro la busta contenente l’appunto “ naturalmente aperta”.
Si ritiene, quindi, che, proprio per la funzione svolta dal L., il Ministro abbia parlato dell’acquisto con il medesimo ed, anche in questo caso, il L., come prima il G., non si è minimamente attivato per evidenziare l’illegittimità dell’operazione che si stava compiendo, e rectius, approvando le modalità di definizione come descritte nell’appunto, non si è per nulla preoccupato di segnalare al Ministro, come era suo dovere, la grave illegittimità di utilizzare fondi riservati per un’operazione che non aveva nulla di riservato.
Ovviamente, come già per il G., la condotta del L. viene valutata nell’ambito delle funzioni dal medesimo ricoperte e tenuto conto delle possibilità astratte che il medesimo aveva per evidenziare l’illegittimità al Ministro, facendo constatare il suo contrario avviso, anche se necessario per iscritto, pur nella evidente impossibilità di impedire al Ministro di firmare il decreto autorizzativo di impiego dei fondi riservati.
Pertanto, ritiene il Collegio, che il ruolo avuto da G. e L. nella fattispecie dannosa, come sopra descritto, sia stato incidente nella produzione di una quota di danno inferiore a quello imputato agli altri due convenuti e calcolato in misura pari al 20% dell’intero danno contestato, quota anch’essa da dividere in parti uguali.
Riassumendo, quindi, il Collegio ritiene di addebitare l’evento dannoso nella misura del 80% in capo ai convenuti V. e S. e nella restante parte del 20% in capo ai convenuti G. e L., quote da dividere in parti uguali.
In merito all’attuale esistenza del danno e al suo presunto azzeramento, il Collegio non può non prendere atto dell’intervenuta sentenza n. 12417/2006 del Giudice civile nelle cause intercorse tra la Società XX, il Ministero degli Interni e la società privata OMISSIS.
Dagli atti del processo civile acquisiti è emerso che il contratto preliminare di vendita dell’immobile di via Poli è stato considerato nullo per impossibilità dell’oggetto, ai sensi degli articoli 1346 e 1418 c.c. , in quanto che la trasformazione dell’immobile per l’uso convenuto in contratto collideva con norme imperative ed espressi divieti preesistenti, per cui la promittente venditrice è stata condannata alla restituzione della caparra confirmatoria, somma pari all’intero danno erariale contestato agli odierni convenuti.
Ciò comporta che la somma versata con l’utilizzo dei fondi riservati, unitamente ad interessi legali ed oneri accessori, dovrebbe essere incamerata dal Ministero degli Interni che, all’uopo, ha già attivato la procedura esecutiva per il recupero del credito.
Tutto ciò comporterà, come sostenuto dai convenuti, il futuro azzeramento del danno erariale, per cui i medesimi hanno richiesto una pronuncia assolutoria per inesistenza del danno.
Sul punto, però, il Collegio non condivide le affermazioni rappresentate anche in udienza dalle difese, in quanto, se è vero che l’Amministrazione ha avviato le procedure esecutive per il recupero della somma, è altrettanto vero che l’esito delle stesse è futuro ed incerto, e non solo per la pendenza del giudizio di appello avverso la sentenza di primo grado favorevole all’Amministrazione.
Infatti, non si può sostenere che, allo stato, il danno erariale non sia più esistente o attuale: l’esborso delle ingenti somme c’è stato e l’inutilità della prestazione è icto oculi evidente, mentre, invece, incerto è senza alcun dubbio il procedimento di recupero della somma, considerato il valore degli immobili pignorati e l’attuale situazione patrimoniale della debitrice società OMISSIS, come emergente nell’ultima documentazione depositata in udienza dalla Procura regionale.
In tale rilevante e dettagliato carteggio risulta che il debitore è titolare di un modestissimo patrimonio in rapporto all’entità del danno da risarcire e, per di più, alcuni beni risultano già in precedenza ipotecati da soggetti privati, il che non consente, in alcun modo, di ritenere che il danno potrà anche in futuro considerarsi azzerato.
In sostanza, a prescindere dal proposto appello, sembra a questo Collegio quanto mai inopportuno sospendere ulteriormente il giudizio e, ciò, perché quel credito, futuro e in contestazione, nella migliore delle ipotesi, non porterebbe alcun azzeramento del danno ma, semmai, solo una modestissima riduzione che potrà essere fatta valere dai condannati in sede esecutiva.
Al momento, quindi, questo Collegio, respingendo ogni possibile richiesta di sospensione del giudizio, e volendo, invece, preservare quanto più possibile le legittime pretese erariali, condanna i convenuti S., V., G. e L. alla rifusione delle quote di danno come sopra imputate, ed in particolare i convenuti V. e S. al risarcimento di un danno complessivo, da dividere in parti uguali, pari ad euro 5.990.900, salvo scomputo delle somme che l’Amministrazione avrà, nel frattempo, incamerato dalla procedura esecutiva già avviata in ottemperanza alla sentenza del Giudice civile n. 12417/2006.
A detta somma deve essere aggiunta la rivalutazione monetaria dalla data dell’evento al momento del deposito della presente sentenza e gli interessi legali dal deposito della presente sentenza all’effettivo soddisfo.
Condanna, altresì, i convenuti L. e G. alla rifusione di un danno complessivo, da dividere in parti uguali, pari ad euro 1.497.725, salvo scomputo delle somme che l’Amministrazione avrà, nel frattempo, incamerato dalla procedura esecutiva già avviata in ottemperanza alla sentenza del Giudice civile n. 12417/2006.
A detta somma deve essere aggiunta la rivalutazione monetaria dalla data dell’evento al momento del deposito della presente sentenza e gli interessi legali dal deposito della presente sentenza all’effettivo soddisfo.
I sequestri mobiliari ed immobiliari in atto sono convertiti in pignoramento nei limiti delle somme oggetto della condanna.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
 
PQM.
 
La Sezione giurisdizionale per il Lazio, definitivamente pronunciando, condanna i signori S. V. e V. A. al pagamento in favore dell’erario della somma, da dividere in parti uguali, di euro 5.990.900, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali come in parte motiva, salvo scomputo delle somme che l’Amministrazione potrà avere nel frattempo incamerato dalla procedura esecutiva già avviata in ottemperanza alla sentenza del giudice civile n. 12417/2006.
Condanna, altresì, i signori G. F. e L. R. al pagamento in favore dell’erario della somma, da dividere in parti uguali, di euro 1.497.725, oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi legali come in parte motiva, salvo scomputo delle somme che l’Amministrazione potrà avere nel frattempo incamerato dalla procedura esecutiva già avviata in ottemperanza alla sentenza del giudice civile n. 12417/2006.
I disposti sequestri in atto sono convertiti in pignoramento nei limiti delle somme oggetto della presente condanna.
Condanna, infine, tutti i convenuti alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in euro 6315,93 (seimilatrecentoquindici,93).
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del 3 dicembre 2007.
Depositata in data 22/01/2008   

Crucitta Giuseppe – Francaviglia Rosa

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