Confessione e processo penale

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Nel sistema processuale penale non esiste un mezzo di prova che possa avere la capacità di eliminare la valutazione del giudice, e non fa eccezione neanche la dichiarazione con la quale ci si assume la responsabilità di un crimine.

La confessione diverse  volte è stata un tentativo di depistare gli inquirenti dal ricercare l’autentico autore di un reato.

Non può essere estorta con mezzi capziosi, come ad esempio l’utilizzo di false dichiarazioni o finte prove.

L’interrogatorio  deve essere sempre svolto in modo chiaro e pulito, senza che vengano utilizzati mezzi che possano deviare la volontà della persona sottoposta.

Che cosa dice la legge sulla confessione

La legge penale non fornisce una definizione di confessione e non la annovera come mezzo di prova accanto alla testimonianza o come mezzo di prove alla perizia, al confronto, ai documenti.

L’ordinamento giuridico italiano, da molto tempo ha conferito a questa dichiarazione uno scarso valore.

Non è un istituto completamente sconosciuto, si parla di confessione in relazione al giudizio direttissimo e al reato di autocalunnia. .

La confessione nel giudizio direttissimo

Il giudizio direttissimo è rito processuale caratterizzato da velocità di svolgimento.

Le modalità per potere procedere per direttissima, devono fare in modo che possa ricorrere almeno una delle seguenti condizioni:

Arresto in flagranza e convalida entro 48 ore

Arresto già convalidato e presentazione in udienza entro 30 giorni

La persona interrogata confessa il crimine, salvo pregiudicare gravemente le indagini.

La confessione resa durante interrogatorio, autorizza il pubblico ministero a procedere con giudizio direttissimo, vale a dire, a citare subito il reo confesso in tribunale davanti al giudice.

Se la persona che ha reso confessione è libera, non si trova in carcere e non è soggetta a vincoli cautelari, come gli arresti domiciliari, verrà citata dal pubblico ministero a comparire in tribunale. Al contrario, se è detenuta, verrà tradotta direttamente dalle forze dell’ordine.

 

La confessione durante un interrogatorio

La legge italiana ha disciplinato l’interrogatorio in modo da evitare che la persona interrogata si possa in modo inconsapevole accusare, vale a dire, rendere una confessione.

 

Il codice di procedura penale dice che se davanti all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata o non indagata rende dichiarazioni nelle quali siano presenti indizi di colpevolezza a suo carico, l’autorità deve interrompere l’interrogatorio stesso, informando la persona in questione che a seguito delle dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti, e la deve invitare a nominare un avvocato difensore.

Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese.

Se l’interrogato doveva essere sentito da subito in qualità di imputato o di indagato, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate (art. 63 c.p.p.).

La legge mette al sicuro la persona interrogata a sommarie informazioni se, durante la narrazione, emergano indizi su un suo coinvolgimento nei fatti criminosi.

Esempio

La polizia interroga Tizio perché ha assistito a una rapina.

Lui racconta che, in realtà, ha assistito e anche fatto da palo ai delinquenti.

In presenza di simili circostanze la polizia deve interrompere Tizio e avvertirlo che, siccome dal suo racconto emerge un autentico concorso nel reato di rapina, deve provvedere a nominare un avvocato in vista di future indagini sulla sua persona.

Le dichiarazioni rese non possono essere utilizzate a suo carico, la sua confessione non ha valore legale perché resa in modo inconsapevole, perché era interrogato in qualità di possibile testimone e non in qualità di indagato.

Se Tizio fosse stato interrogato in veste di indagato, e non gli fosse stata detta la sua qualità, le dichiarazioni non potrebbero essere utilizzate, non potrebbero essere portate davanti al giudice in un futuro processo.

Se la polizia volesse prendere di sorpresa Tizio, facendogli credere di svolgere una chiacchierata informativa ma, le autorità sapevano che fosse un complice, le dichiarazioni di Tizio sono inutilizzabili, perché si tratta di una mossa scorretta da parte degli inquirenti.

La legge vuole che ci sia chiarezza evitando trabocchetti all’indagato o all’imputato.

Se la persona interrogata è stata informata in modo formale del suo status di indagato o imputato, la confessione non potrà essere carpita con l’inganno.

L’autorità dovrà seguire determinate regole.

La confessione nel reato di autocalunnia

La legge parla di confessione anche in relazione al reato di autocalunnia.

A dire il vero, si tratta dell’ipotesi più ricorrente, perché la falsa dichiarazione di colpevolezza spesso viene resa per deviare le indagini.

Secondo il codice penale, il reato di autocalunnia si verifica quando attraverso dichiarazione all’autorità giudiziaria oppure a un’altra autorità, anche se fatta con scritto anonimo o sotto falso nome, oppure con confessione davanti all’autorità giudiziaria, una persona accusa se stessa di un reato che sa non avvenuto, o di un reato commesso da altri, ed è punito con la reclusione da uno a tre anni

(art. 369 c.p.).

Il valore della confessione nel processo penale

Da quello che sinora è stato scritto, si comprende che nel processo penale la confessione non riveste un ruolo di carattere primario.

Questo succede perché chi deve valutare con molta attenzione le dichiarazioni che vengono rese è sempre il giudice, sia che le stesse provengano dai testimoni, sia che provengano dall’imputato.

A differenza di quello che accade nel processo civile, dove la confessione di una parte vincola il giudice a crederle, e rappresenta il valore di prova legale della confessione.

Questa diffidenza in relazione alla confessione nel processo penale deriva da una possibilità, molto  concreta, che l’ammissione di colpevolezza non possa essere “genuina”.

Ad esempio, il genitore che accusa se stesso di un delitto commesso dal figlio per  salvarlo, incorrendo nel reato di autocalunnia.

Oppure, la persona che confessa di avere commesso un reato esclusivamente perché ha subito delle intimidazioni da parte dei reali esecutori.

La confessione nel processo penale deve essere valutata sempre in relazione a un indizio e non a una prova vincolante, deve avere riscontro in altri elementi raccolti, come ad esempio le testimonianze di altre persone, oppure gli oggetti sequestrati come corpo del reato, perché una  condanna penale basata in modo esclusivo sulle dichiarazioni dell’imputato è molto rischiosa.

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