Carceri affollate: risarcito il detenuto per danno esistenziale

Redazione 16/09/11

Dal Tribunale di Sorveglianza di Lecce, decisione storica, in quanto assolutamente nuova nel panorama giurisprudenziale italiano: il detenuto va risarcito per il danno esistenziale provocato dal sovraffollamento della sua cella.

Nella fattispecie, il reclamante lamentava la lesione della dignità e dei diritti umani minimi sanciti dalle Convenzioni internazionali e dalla Costituzione italiana, che non possono essere negati ad alcun detenuto indipendentemente dal grado di pericolosità sociale  che lo caratterizza o dal comportamento antigiuridico dallo stesso posto in essere. Il reclamante, inoltre, evidenziava il mancato rispetto delle norme dell’ordinamento penitenziario, nonché dell’art. 3 CEDU che proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o i trattamenti inumani o degradanti. A tal riguardo sottolineava come il CPT (Comitato per la Prevenzione della Tortura) ha fissato in 7 mq per persona la superficie minima auspicabile per una cella di detenzione, superficie indicata per celle destinate alla detenzione temporanea e, quindi, inferiore alla metratura quadrata necessaria per i periodi di detenzione ordinari che devono caratterizzarsi non solo per il soddisfacimento di esigenze cautelari, ma anche per consentire la rieducazione del condannato. Al di sotto dello spazio minimo indicato dal CPT, la Corte europea dei diritti dell’uomo ritiene compensabile il deficit abitativo delle celle in ragione della possibilità di viveri spazi comuni, di fruire di adeguati servizi igienici, di palestre, biblioteche, luoghi di lavoro e di formazione. Possibilità quest’ultime che il detenuto negava di aver avuto.

Il Magistrato di Sorveglianza, con ordinanza depositata il 9 giugno 2011, nel condannare l’Amministrazione penitenziaria, ha affermato che in capo al detenuto che fa ingresso nel circuito penitenziario sorge, dall’ordinamento giuridico nei confronti dell’amministrazione penitenziaria, un patrimonio di situazioni soggettive meritevoli di tutela.

I diritti inviolabili dell’uomo, il riconoscimento e la garanzia dei quali l’art. 2 della Costituzione pone tra i principi fondamentali dell’ordine giuridico, trovano nella condizione di coloro i quali sono sottoposti a una restrizione della liberta personale i limiti a essa inerenti, connessi alle finalità che sono proprie di tale restrizione, ma non sono affatto annullati da tale condizione. In particolare, l’art. 27, terzo comma, della Costituzione stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Con l’ingresso del detenuto nel circuito penitenziario, infatti, non vi è alcuna abdicazione ad i diritti fondamentali che fanno parte del patrimonio indefettibile dell’uomo, ma si registra la limitazione di alcuni di questi diritti, si pensi alla libertà di movimento o alla libertà di comunicazione, ovvero un soddisfacimento degli stessi con modalità distinte rispetto a quelle previste per tutti coloro che non sono presi in carico nel circuito penitenziario.

Tali statuizioni di principio devono tradursi non soltanto in norme e direttive obbligatorie rivolte all’organizzazione e all’azione delle istituzioni penitenziarie ma anche in diritti di quanti si trovino in esse ristretti. Cosicché l’esecuzione della pena e la rieducazione che ne è finalità non possono mai consistere in “trattamenti penitenziari” che comportino condizioni incompatibili col riconoscimento della soggettività di quanti si trovano nella restrizione della loro libertà.

Per quanto esposto, in omaggio ai principi di effettività della tutela giurisdizionale consacrati negli artt. 24 e 113 cost., il detenuto va risarcito. Il Ministero della Giustizia deve corrispondere, in favore del detenuto reclamante, a titolo di risarcimento del danno l’importo complessivo di 220,00 euro, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali (Biancamaria Consales).

 

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