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Gli avvocati che nel corso delle loro prestazioni professionali non si dimostrano diligenti e non compiono tutte le necessarie attività difensive non solo perdono il diritto al compenso, ma possono essere chiamati al risarcimento del danno. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, che con la recentissima sentenza n. 26064 del 16 dicembre 2016 ha condannato un avvocato al pagamento di oltre 4.000 euro, più spese processuali, ai suoi clienti danneggiati.
Facciamo allora il punto: in quali casi gli avvocati sono tenuti a risarcire i danni?
La responsabilità professionale e il risarcimento del danno
La responsabilità professionale di un avvocato sorge quando questi viola specifici obblighi contrattuali e così facendo provoca un danno ai suoi clienti.
Le obbligazioni professionali alle quali è soggetto un avvocato consistono nell’eseguire l’incarico ricevuto con la necessaria diligenza: se il professionista non svolge i suoi compiti come avrebbe dovuto, deve rispondere di inadempimento contrattuale.
È questo certamente il caso dell’avvocato coinvolto nella sentenza in esame, che, incaricato di far conseguire ai clienti il trasferimento di proprietà di un appartamento, non ha inviato la diffida ad adempiere al promittente venditore, non ha informato i clienti sullo svolgimento del processo e sulla proposta di transazione della controparte e non ha dato atto nelle sue difese dell’offerta della controprestazione dei suoi clienti.
Tutte mancanze, secondo la Cassazione, che giustificano il risarcimento del danno ai clienti.
Obbligazioni di mezzi o obbligazioni di risultato?
Molto importante anche la distinzione fatta dalla Cassazione nella sentenza in esame tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato.
Le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale sono di regola obbligazioni di mezzi: all’avvocato spetta in altre parole unicamente l’esercizio della sua attività con la giusta diligenza e perizia, indipendentemente dal risultato raggiunto.
La diffida ad adempiere è un’obbligazione di risultato
Nello specifico caso in esame, però, ovvero quando l’avvocato accetti di svolgere un’attività stragiudiziale consistente nell’invio di una diffida ad adempiere, la prestazione oggetto del contratto non costituisce un’obbligazione di mezzi ma di risultato: sussiste quindi “la responsabilità dell’avvocato che abbia del tutto omesso di adempiere siffatta obbligazione”.
È il cliente che deve provare il danno subito
In quali casi, allora, l’avvocato è costretto a risarcire il cliente?
Come già confermato in passato dalla Corte di Cassazione, il risarcimento del danno è ammissibile solo quando il comportamento dell’avvocato abbia provocato un effettivo danno al cliente.
Ma non solo: come nel caso di specie, a dimostrare che la causa sarebbe stata vinta se la condotta dell’avvocato fosse stata corretta deve essere il cliente danneggiato. Per ottenere il risarcimento, dunque, il cliente deve provare che il giudizio sarebbe molto probabilmente stato favorevole se l’avvocato avesse fatto ciò che era in suo potere: il legale non è responsabile professionalmente per il semplice fatto di aver commesso degli errori.
Quali comportamenti giustificano la sanzione disciplinare?
Gli avvocati che dimostrano negligenza nell’esercizio del loro mandato e commettono gravi errori per scarsa preparazione violano inoltre il Codice deontologico forense, e rischiano per questo una sanzione disciplinare dal Consiglio dell’ordine competente.
In base al Codice deontologico forense, sono tre i comportamenti negligenti degli avvocati che giustificano la sanzione disciplinare, a prescindere dall’effettivo esito della causa:
- il mancato adempimento dei propri doveri professionali “con diligenza” (art. 8);
- l’accettazione di un incarico che il professionista sa di non poter svolgere con adeguata competenza (art. 12);
il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato, “quando derivi da non scusabile e rilevate trascuratezza“.
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