Art. 52 cod. antimafia: crediti da illecito e spese nel sequestro

Sez. Unite 37200/25 su art. 52 D.Lgs. 159/2011: criteri per ammettere crediti da fatto illecito a terzi e spese di lite nel sequestro di prevenzione.

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L’art. 52, comma 1, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 laddove prevede che la “confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro”, come deve essere interpretato? Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025“, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon

Corte di Cassazione -SS. UU. pen.- sentenza n. 37200 del 29-05-2025

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Indice

1. Il fatto


Il giudice delegato del Tribunale di Torino, sezione misure di prevenzione, pronunciando su talune istanze di accertamento di ammissione allo stato passivo e sul relativo progetto redatto da un amministratore giudiziario, in relazione ai beni oggetto di sequestro di prevenzione, aveva escluso, ai sensi dell’art, 52, comma 1, D.Lgs. n. 159 del 2011, tutti i crediti presentati per la verifica, perché non risultanti da atti aventi data certa anteriore al sequestro.
In particolare, tali crediti erano afferenti a fatti illeciti di natura penale avvenuti anteriormente al sequestro di prevenzione, ma accertati in data successiva, con sentenza del Tribunale di Torino, che aveva riconosciuto in favore di una persona e delle altre parti istanti, tutte costituitesi parte civili, una somma a titolo di risarcimento, liquidata in via equitativa, oltre il rimborso delle spese processuali, pronuncia poi riformata solo quoad poenam dalla Corte di Appello di Torino che, dal canto suo, aveva altresì condannato l’imputato al pagamento alle parti civili delle ulteriori spese di giudizio.
Ciò posto, avverso il suddetto decreto proponeva opposizione la persona di cui sopra, ai sensi dell’art. 59, comma 6, D.Lgs. n. 159 del 2011, lamentando l’esclusione del credito ma il Tribunale di Torino, sezione misure di prevenzione, dal canto suo, respingeva siffatta opposizione, ritenendo che la norma di cui all’art. 52 D.Lgs. n. 159 del 2011, sebbene orientata sul versante contrattualistico, valutata nella sua globalità, ricomprende anche i diritti di credito derivanti da fatto illecito del proposto, generatore di risarcimenti o restituzioni; in particolare, per questo organo giudicante, se è indubbio che il fatto illecito ed il diritto di credito da esso derivante debbano essere anteriori al sequestro, non è tuttavia possibile disancorare l’avvenimento storico dall’accertamento del diritto in sede cognitiva, in ragione del circoscritto ambito di indagine attribuito al giudice delegato, di mera verifica e non di accertamento.
Ebbene, l’opponente, a fronte di ciò, ricorreva per Cassazione sostenendo, tra le argomentazioni ivi enunciate, che, ai fini dell’ammissibilità del credito ex art. 52, comma 1, D.Lgs. n. 159 del 2011, l’anteriorità del credito avrebbe dovuto essere vagliata con riferimento al momento della commissione del fatto illecito, come riconosciuto anche nella giurisprudenza di legittimità dalla sentenza Sez. 6, n. 13474 del 21/03/2023, fatto che, nel caso di specie, si era verificato prima del sequestro di prevenzione. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025“, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon

2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione: come va individuato il momento nel quale sorge il credito del terzo derivante da un fatto illecito del proposto ai fini dell’ammissione del credito medesimo nel procedimento di prevenzione patrimoniale


La Sezione semplice della Cassazione assegnataria del ricorso summenzionato, ossia la Sezione Quinta, lo rimetteva alle Sezioni unite, ravvisando la sussistenza di un contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità sulla questione che attiene all’individuazione del momento nel quale sorge il credito del terzo derivante da un fatto illecito del proposto ai fini dell’ammissione del credito medesimo nel procedimento di prevenzione patrimoniale.
Nel dettaglio, secondo un primo orientamento, per l’ammissione del credito, è necessaria una pronunzia definitiva che ne accerti l’esistenza, da considerarsi documento avente data certa anteriore al sequestro, in considerazione dei poteri di mera verifica (e non di accertamento) del giudice delegato e delle caratteristiche del credito stesso, avente fondamento in un evento dannoso che necessita dell’indagine processuale, in sede civile o in sede penale, per il riscontro dell’an e del quantum debeatur, essendosi in tal senso espresse Sez. 6, n. 45115 del 13/10/2015, in fattispecie nella quale il credito fatto valere dalla persona offesa di un delitto di truffa era solo potenziale, attesa la mancata costituzione di parte civile nel processo esitato con la condanna non definitiva del proposto, anteriore al sequestro, nonché Sez. 1, n. 22222 del 26/01/2022, secondo cui il documento giustificativo, in caso di illecito extracontrattuale, non può che essere una decisione cognitiva di accertamento della sussistenza dell’illecito e della sua ascrivibilità al proposto laddove al giudice delegato residuano poteri di verifica, nell’ambito di un procedimento che l’art. 59 del D.Lgs. n. 159 del 2011 delinea con una struttura semplificata del contraddittorio.
Invece, secondo un diverso orientamento sostenuto da Sez. 6, n. 13474 del 21/03/2023, la disposizione dell’art. 52 deve intendersi nel senso che, nel caso di credito derivante dalla commissione di un fatto illecito, l’insorgenza del diritto al risarcimento del danno o alla restituzione è riferibile al momento della commissione dell’illecito, e che la successiva sentenza di condanna, pur non definitiva, svolge una funzione di mero accertamento, con estensione degli effetti anche ai crediti accessori, quali quelli connessi alla rifusione delle spese processuali.
Orbene, per la Sezione remittente, lo snodo fondamentale di questa interpretazione può sintetizzarsi nei seguenti termini: la tutela dei diritti di credito dei terzi non presuppone che essi siano divenuti “liquidi e certi” in epoca anteriore alla data di adozione del sequestro – circostanza estranea al dettato normativo in argomento e previsto, invece, dall’art. 474 cod. proc. civ., ai fini della formazione del titolo esecutivo -richiedendo l’art. 52, comma 1, cit. un requisito di certezza probatoria, collegato esclusivamente alla collocazione cronologica dell’atto da cui deve risultare l’esistenza del diritto, ravvisandosi al contempo una ratio comune con l’ambito delle obbligazioni derivanti da un atto o da un negozio lecito, citando a tal proposito l’indirizzo espresso da Sez. 5, n. 22618 del 07/03/2022, secondo cui il giudice della prevenzione, ai fini della verifica prevista dall’art. 52 D.Lgs. n. 159 del 2011, deve tenere conto di tutte le ipotesi di rilevanza probatoria contemplate dall’art. 2704 cod. civ. e, dunque, non solo dei fatti tipici, quali la registrazione o la riproduzione in atto pubblico, ma anche di tutti quei fatti non previsti dalla norma che consentano di stabilire, in modo certo, la formazione di un documento; ratio che va individuata nella specifica funzione del procedimento di evitare che gli effetti della misura di prevenzione patrimoniale vengano elusi attraverso la simulazione di crediti incidenti sul valore del bene confiscato, sì che l’anteriorità del titolo o dell’acquisto del credito rispetto al momento del sequestro indica la necessità che sia accertato che il relativo diritto sia sorto prima dell’applicazione del sequestro di prevenzione, a prescindere dalla derivazione del credito da atto o negozio lecito ovvero da fatto illecito, ed indipendentemente dalla circostanza che quel diritto diventi in seguito certo, liquido ed esigibile.
Il contrasto delineato – concludeva quindi l’ordinanza – ha rilevanza immediata nella fattispecie in esame nella quale il fatto illecito era stato commesso prima del sequestro di prevenzione ed era stato accertato e liquidato dall’autorità giudiziaria solo successivamente, inoltre, implicando tale questione “la più generale problematica della latitudine dei poteri del giudice delegato all’ammissione dei crediti nella procedura di prevenzione patrimoniale, ovvero se detto giudice abbia solo poteri di verifica di tali crediti o più ampi poteri di accertamento degli stessi”, sottolineandosi, a tale ultimo proposito, il diverso approccio ermeneutico riscontrabile nella giurisprudenza di legittimità che, per un verso, si muove nella direzione di attribuire al giudice delegato una serie di rilevanti poteri di accertamento, con la possibilità di discostarsi, ove non definitivi, dagli atti di ammissione al passivo in sede fallimentare (Sez. 2, n. 24311 del 01/04/2022,) e di esercizio di poteri officiosi funzionali all’accertamento dei presupposti per l’ammissione del credito, nel rispetto del principio del contraddittorio (Sez. 6, n. 48472 del 14/11/2023, che ha ritenuto rilevabile d’ufficio la prescrizione presuntiva del credito oggetto di istanza di ammissione), per altro verso, ha ritenuto che, in assenza di un’esplicita previsione di legge, l’ambito di intervento del giudice della prevenzione sia vincolato agli esiti dell’accertamento in sede civile, salvo il potere di verifica della strumentalità del credito rispetto alla attività illecita e della insussistenza delle condizioni di incolpevole affidamento del creditore (Sez. 1, n. 4691 del 28/01/2020).
Infine, veniva messo in risalto anche la questione delle spese giudiziali riconosciute al danneggiato, liquidate con la sentenza che accerta il danno ossia: se, cioè, sia possibile estendere alla statuizione sulle spese, autonoma rispetto alla domanda principale ma ad essa collegata sì da costituirne corollario, il criterio che attribuisce rilevanza al momento in cui è sorto il credito, ancorché anteriore alla sua liquidazione.

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3. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite


Le Sezioni unite – dopo avere delimitato la questione sottoposta al loro vaglio giudiziale (nei seguenti termini: “Se, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, l’art. 52, comma 1, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – in forza del quale la confisca non pregiudica i diritti derivanti da atti aventi data certa anteriore al sequestro – debba essere interpretato nel senso che, ai fini dell’ammissione allo stato passivo del credito del terzo derivante da fatto illecito commesso in suo danno dal proposto, il relativo diritto debba essere sorto antecedentemente all’applicazione della misura cautelare, anche se accertato e liquidato in un momento successivo, ovvero nel senso che debba essere anteriore al sequestro anche l’accertamento giudiziale del credito”) e compiuto un excursus normativo rilevante ai fini della soluzione del suddetto contrasto – ritenevano di dovere affrontare, sempre in via preliminare, una specifica questione, vale a dire se, nell’ambito del procedimento di prevenzione, possano trovare tutela anche i diritti di credito da responsabilità extracontrattuale (da fatto illecito), posto che la disciplina dettata dall’art. 52 cit. è modellata, nell’ambito dei diritti di obbligazione, sui crediti da fatto lecito, derivanti da “atti aventi data certa antecedente al sequestro di prevenzione” e, quindi, basati su fonte negoziale, stimandosi tale argomento logicamente preliminare rispetto ai temi devoluti dall’ordinanza di rimessione.
Ordunque, per le Sezioni unite, un primo e fondamentale riscontro della tutela del diritto di credito da fatto illecito è dato dalla più recente normativa sovranazionale che ha posto l’accento su una particolare categoria di creditori del proposto, ossia le vittime di reato visto che, se la Direttiva 2024/1260/U.E. del 24 aprile 2024 che aggiorna lo statuto sul recupero e la confisca dei beni, prevedendo anche forme di confisca non basata su condanna, stabilisce che: “gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché l’esecuzione delle misure di confisca previste dalla presente direttiva non pregiudichi il diritto delle vittime di ottenere un risarcimento (art. 18); i terzi interessati dal provvedimento ablatorio hanno diritto a far valere il diritto di proprietà o altri diritti patrimoniali e a salvaguardare tali diritti davanti ad un giudice imparziale (art. 24); devono essere assicurate misure appropriate per garantire tali diritti sia attraverso restituzioni sia attraverso l’ottenimento di risarcimento” (gli Stati dovranno conformarsi alla Direttiva entro novembre 2026), attualmente, l’articolo 104-bis, comma 1-sexies, disp. att. cod. proc. pen. prevede che in tutti i casi di sequestro preventivo e confisca restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno, con effetto generalizzato a decorrere dal 30 dicembre 2022 a tutte le confische statali, ivi comprese quelle di prevenzione; la stessa riforma ha contestualmente soppresso l’ultimo periodo del comma 1- quater del medesimo articolo 104-bis disp. att. cod. proc. pen. nella parte in cui limitava tali diritti ai casi di sequestro e confisca in casi particolari previsti dall’articolo 240-bis cod. pen..
Ciò posto, sempre ad avviso del Supremo Consesso, del resto, la giurisprudenza di legittimità non dubita altresì dell’opponibilità in sede di prevenzione dei crediti derivanti da fatto illecito visto che l’inclusione de qua è presente già nella motivazione della sentenza di Sez. U, n. 9 del 28/04/1999, che – pur riferendosi ad un diritto di pegno costituito a favore di terzi sul bene sequestrato – richiama il principio generale secondo cui la misura sanzionatoria non può ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all’illecito e non opera alcuna distinzione tra creditori sulla base della fonte dell’obbligazione, rilevando, oltre al profilo oggettivo e all’estraneità al reato, anche la buona fede e l’affidamento incolpevole, tenuto conto altresì del fatto che, da un lato, le stesse pronunce, che hanno dato origine al conflitto interpretativo in esame, citate nell’ordinanza di rimessione, concordano nell’affermare che i crediti derivanti da fatto illecito possono essere inclusi nel passivo della confisca di prevenzione, dall’altro, anche la giurisprudenza di merito è allineata su tale posizione, come conferma l’ordinanza impugnata che ha rigettato l’opposizione avverso il provvedimento di esclusione del credito non già sulla base della natura extracontrattuale dello stesso, ma per la ritenuta mancanza del requisito dell’anteriorità rispetto al sequestro.
Tra l’altro, si notava come oltre tutto l’evoluzione della giurisprudenza penale sia in linea con i principi elaborati in sede civile, in tema di ammissibilità del credito al passivo fallimentare: l’art. 150 cod. crisi d’impresa (D.Lgs. n. 14 del 2019), sostanzialmente identico nel contenuto all’abrogato art. 52 legge fall., non distingue, infatti, fra categorie di creditori, stabilendo il generalizzato divieto di esecuzione individuale dopo l’apertura della procedura per consentire la liquidazione dei crediti – a prescindere dalla fonte dell’obbligazione – in sede concorsuale.
In particolare, i criteri per la delibazione sulla verifica dei crediti e la formazione dello stato passivo, ai fini della liquidazione dei terzi pregiudicati dalla confisca di prevenzione, devono essere effettuati dal giudice penale “secondo un modello che ricalca quello dell’accertamento dei crediti e dei diritti nel passivo fallimentare”, come testualmente indicato nella Relazione Illustrativa del D.Lgs. del 2011, con la conseguenza che l’elaborazione giurisprudenziale penale continua a confrontarsi con il diritto vivente formatosi in ambito civile, teso a circoscrivere l’ambito di tutela del creditore e i limiti alla compressione del suo diritto all’adempimento fermo restando che, al contempo, la simmetria delle due procedure, fallimentare (oggi, liquidatoria) e di prevenzione, non implica identità di funzioni e fondamento: la prima è finalizzata all’esigenza di preservare la par condicio credìtorum in una situazione di incapienza del debitore; la seconda è basata non sull’insolvenza, ma sulla pericolosità del proposto ed è, pertanto, caratterizzata dall’esigenza di verificare la non strumentalità del credito all’attività illecita.
La tutela del credito da fatto illecito in sede di prevenzione richiede pertanto, per la Suprema Corte, una delimitazione autonoma e per taluni aspetti estranea al procedimento concorsuale, per i profili che saranno enunciati da qui a breve.
Precisato ciò, si stimava inoltre opportuno accennare all’evoluzione normativa che ha progressivamente ampliato la sfera dei soggetti terzi, pregiudicati dall’effetto ablatorio della misura di prevenzione, con pretese contrapposte a quelle acquisitive dello Stato, nella costante ricerca di un equo bilanciamento degli interessi in conflitto, in conformità con le precise indicazioni della Corte costituzionale che, pur muovendosi all’interno dei soli diritti di credito da responsabilità contrattuale, ha fornito utili indicazioni sul tema in argomento, il che veniva effettuato nei seguenti termini: “Inizialmente, a seguito della legge 13 settembre 1982, n. 646 che introdusse nell’ordinamento le misure di prevenzione di carattere patrimoniale nei confronti delle persone indiziate di appartenenza ad associazioni mafiose, la tutela era limitata ai crediti garantiti da diritto reale di garanzia, sorti anteriormente al sequestro e previo accertamento della buona fede e dell’incolpevole affidamento. Con un primo intervento, la Corte costituzionale invitò il legislatore ad individuare, all’interno dello stesso procedimento di prevenzione, le azioni da concedersi ai creditori assistiti da garanzia generica o specifica sui beni del proposto e ipotizzò al riguardo una pluralità di soluzioni (sent. n. 190 del 1994), in tal modo riscontrando le censure alla normativa, ritenuta ingiustificatamente penalizzante nei confronti dei privati. La scelta del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. Codice antimafia) fu quella di tutelare tutti i creditori (i diritti di credito dei terzi), con una delimitazione temporale (solo per i procedimenti per i quali la proposta della misura era successiva al 13 ottobre 2011, ossia alla data di entrata in vigore della legge). La successiva legge 24 dicembre 2012 n. 228, nel disciplinare i rapporti pendenti, non rientranti nella disciplina del Codice antimafia, restrinse la tipologia dei crediti ammessi, limitandola, secondo il dettato dell’art. 1, comma 198, ai creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati all’esito del procedimento di prevenzione anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione, nonché ai creditori che prima della trascrizione del sequestro di prevenzione avevano trascritto un pignoramento sul bene ovvero, alla data di entrata in vigore della legge, erano intervenuti nell’esecuzione iniziata con il pignoramento di cui sopra. La previsione normativa fu censurata dalla Corte costituzionale che ritenne ingiustificata la limitazione della categoria dei creditori ammessi a far valere le proprie ragioni sui beni del proposto. La sentenza n. 94 del 28 maggio 2015 dichiarò, infatti, l’illegittimità costituzionale della legge del 2012 nella parte in cui escludeva i crediti da lavoro subordinato. La Corte costituzionale rilevò che, mentre per i procedimenti di prevenzione iniziati successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 159 del 2011 la legittimazione ad avvalersi della speciale procedura incidentale di verifica era estesa a tutti i creditori – chirografari, privilegiati o titolari di diritti di garanzia reale – per i procedimenti pendenti la legittimazione era circoscritta ai soli creditori ipotecari, pignoranti o intervenuti nell’esecuzione. La valenza ad excludendum della disciplina non si giustificava, perché realizzava non un bilanciamento fra interessi contrapposti, ma un sacrificio puro e semplice di alcune categorie di creditori. La legge 17 ottobre 2017, n. 161 è intervenuta, quindi, per precisare ulteriormente le modalità della tutela, con riferimento a tutti i creditori, introducendo un procedimento “tipico” per l’ammissione dei crediti, strutturato in tre gradi (verifica, opposizione, ricorso in cassazione), nel caso di insufficienza del patrimonio del proposto, e superando in tal modo i limiti della tutela prima assicurata tramite la proposizione dell’incidente di esecuzione; gli stessi creditori – al contempo – non possono iniziare o proseguire azioni esecutive sui beni sequestrati. Il successivo intervento della Corte costituzionale ha avuto una portata più ampia. La sentenza 27 febbraio 2019 n. 26 ha ritenuto, infatti, illegittima la disciplina della legge n. 228 del 2012 per violazione dell’art. 3 Costituzione, affermando espressamente in motivazione “che il radicale sacrificio dell’interesse di un creditore che abbia acquisito il proprio diritto confidando, in buona fede, nel futuro adempimento da parte del debitore, pur in presenza delle condizioni ritenute idonee a evitare condotte collusive dall’art. 52 del D.Lgs. n. 159 del 2011, si risolve in una restrizione sproporzionata – in quanto eccessiva rispetto al pur legittimo scopo antielusivo perseguito – del diritto patrimoniale del creditore medesimo, in violazione dell’art. 3 Cost., garanzia costituzionale, quest’ultima, posta in causa altresì – sotto differente profilo – dalla segnalata irragionevole disparità di trattamento tra i creditori ai quali il comma 198 offre allo stato tutela, e tutte le restanti categorie di creditori, che da tale tutela restano escluse senza ragione plausibile. L’art. 1, comma 198, della legge n. 228 del 2012 deve, conseguentemente, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui limita alle specifiche categorie di creditori ivi menzionati la possibilità di ottenere soddisfacimento dei propri crediti sui beni del proprio debitore che siano stati attinti da confisca di prevenzione”.
Ebbene, concluso tale excursus normativo e giurisprudenziale, i giudici di piazza Cavour giungevano alla conclusione secondo la quale l’art. 52 D.Lgs. n. 159 del 2011 sui diritti dei terzi è strutturato sulle obbligazioni avente fonte in un atto (negoziale) e non in un fatto (illecito) tanto che, a proposito del requisito della buona fede, il comma 3 fa riferimento a particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale, notandosi però contestualmente come vi sia, tuttavia, al riguardo, una evidente lacuna normativa circa i crediti derivanti da responsabilità aquiliana, trattandosi pur sempre di pretese di natura obbligatoria e del conseguente interesse dei creditori di evitare il depauperamento della garanzia patrimoniale del debitore.
In effetti, per la Corte, la circostanza che l’impianto normativo sia incentrato sul cardine della protezione dell’affidamento contrattuale, omettendo di considerare il versante della tutela dei creditori da responsabilità aquiliana, non giustifica l’esclusione dei terzi titolari di crediti derivanti da fatto illecito dalla platea dei soggetti legittimati all’insinuazione al passivo dato che anche tali creditori, allorquando vedano annullata la garanzia patrimoniale dell’obbligato a seguito dell’esproprio statale, vantano certamente un interesse all’inserzione della posta creditoria nel procedimento di prevenzione.
In assenza di una espressa preclusione normativa, quindi, per la Cassazione, i crediti derivanti da fatto illecito del proposto devono ritenersi inclusi fra quelli astrattamente tutelabili, attraverso la procedura di verifica; per l’individuazione delle regole applicabili, l’indagine ermeneutica deve muoversi nella logica complessiva del sistema, tenendo conto, in particolare, dei principi dettati per il procedimento di prevenzione e, in quanto compatibili, per la procedura concorsuale di liquidazione dei crediti in ambito civile.
Chiarito ciò, a questo punto della disamina, gli Ermellini tornavano a riesaminare l’art. 52 D.Lgs. n. 159 del 2011 il quale stabilisce, come evidenziato in precedenza, che la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, con la conseguenza che – secondo l’ordine logico delle questioni – si stimava necessario precisare la portata del principio di anteriorità del credito da fatto illecito ai fini dell’ammissione al passivo.
Orbene, si evidenziava a tal proposito come la giurisprudenza di legittimità, in conformità con la previsione di cui all’art. 1173 cod. civ., consideri a tal fine la fonte dell’obbligazione (il fatto illecito), sottolineando che rilevante è il momento in cui la stessa viene giuridicamente ad esistenza, proprio perché sussiste una fonte generatrice del diritto di credito; rileva, pertanto, la data di commissione del fatto illecito e non quella del suo accertamento visto che una diversa interpretazione introdurrebbe nella norma un requisito di ammissione allo stato passivo ad essa estraneo ossia l’anteriorità al sequestro della sentenza che accerta il diritto.
Dunque, in una logica di sistema, utili spunti venivano fatti rinvenire nella sentenza della Sezioni Unite che ha ritenuto che il requisito dell’anteriorità rispetto al provvedimento di sequestro di prevenzione debba connotare solo il momento della costituzione di un credito ipotecario, ma non anche quella della sua cessione a terzi, e non ha ritenuto condivisibile l’orientamento secondo cui la posteriorità della trascrizione della cessione rispetto al sequestro precluderebbe di per sé al cessionario l’ammissione del credito stesso (Sez. U, n. 29847 del 31/05/2018) visto che, in siffatta occasione, si richiamava l’interprete ad una lettura del requisito temporale previsto dall’art. 52, comma 1, del D.Lgs. n. 159 del 2011 che mettesse a fuoco il momento della costituzione del diritto azionato, senza che rilevino vicende successive, nell’intento di non aggiungere limiti ulteriori rispetto a quanto previsto dalla norma di riferimento.
Inoltre, si denotava oltre tutto come una successiva e recente sentenza (Sez. 2, n. 30449 del 23/04/2024) abbia ulteriormente precisato la distinzione tra i due momenti, quello di insorgenza e quello di esigibilità del credito, in una fattispecie avente ad oggetto il credito di una società di factoring.
In particolare, nel caso esaminato, il credito trovava la sua origine nella previsione contenuta in un contratto di factoring; il creditore cedente, all’atto della stipula, aveva assunto l’obbligazione di garanzia dell’esistenza del credito, ceduto ad una società di factoring (riconoscendo, così, il beneficio della cessione pro soluto), fermo restando che il contratto era stato stipulato prima del sequestro di prevenzione nei confronti della società cedente, ma la sentenza che, in sede civile, aveva accertato l’inesistenza del credito, fraudolentemente ceduto, era intervenuta in data successiva, con la conseguenza che la prestazione era divenuta esigibile in tale momento, per effetto dell’operatività della clausola pro soluto e, di conseguenza, sulla base di tale circostanza, il giudice di merito aveva negato l’ammissione al passivo della società di factoring.
Orbene, con tale pronuncia, la Corte di legittimità aveva disatteso tale soluzione e, allargando la prospettiva rispetto alla fattispecie in disamina, aveva affermato che “l’individuazione del momento genetico del credito deve essere operata considerando la fonte (negoziale o fattuale) dell’obbligazione da cui deriva il diritto di credito, restando irrilevante il momento in cui il diritto di credito sia accertato in sede giudiziale o stragiudiziale”; verifica correlata a contingenze del tutto imprevedibili, dipendenti dall’iniziativa delle parti, oltre che dall’imponderabile durata del procedimento.
Del resto, sempre per le Sezioni unite, particolarmente significativo era anche il richiamo contenuto in tale sentenza al precedente di Sez. 6, n. 13474 del 21/03/2023, in tema di credito derivante dalla commissione di un fatto illecito, avendo la Corte affermato in siffatta occasione che “non vanno confusi i requisiti di “certezza” e “liquidità” del diritto, intesi come non controvertibilità della sua esistenza e del suo contenuto, nonché del suo ammontare, cui fa riferimento l’art. 474 cod. proc. civ. per indicare le caratteristiche che deve possedere un diritto affinché il relativo titolo esecutivo possa dar luogo ad una esecuzione forzata, con il requisito di certezza ‘probatoria’ richiesto dall’art. 52, comma 1, D.Lgs. cit., che è collegato esclusivamente alla collocazione cronologica dell’atto da cui deve risultare l’esistenza di quel diritto”.
In definitiva, per gli Ermellini, l’anteriorità del titolo o dell’acquisto del credito rispetto al momento del sequestro, di cui al menzionato art. 52, indica la necessità che sia accertato che il relativo diritto sia sorto – in ragione tanto di un atto o un negozio lecito, quanto di un fatto illecito – prima dell’applicazione della misura cautelare del sequestro di prevenzione, e ciò indipendentemente dal fatto che quel diritto sia divenuto certo, liquido ed esigibile in un momento successivo, fermo restando che, nel caso di atto lecito, il problema è quello dell’efficacia probatoria della relativa documentazione comprovante l’atto costitutivo o traslativo del diritto; nel caso, invece, di atto illecito, l’insorgenza del diritto al risarcimento del danno o alla restituzione è riferibile al momento della commissione dell’illecito.
L’ordito argomentativo che trapela da siffatta giurisprudenza nomofilattica, dunque, per le Sezioni unite, consentiva di pervenire alla certa conclusione che tutti i crediti del proposto sono astrattamente tutelabili in sede di prevenzione e che comune requisito di ammissibilità delle domande è l’anteriorità del fatto generatore del credito rispetto al sequestro, oltre all’assenza di altri beni su cui esercitare azioni esecutive mentre gli ulteriori requisiti che circoscrivono l’ambito di tutela sono tuttavia differenti, in quanto condizionati dalla fonte dell’obbligazione.
Nel dettaglio, se, per i crediti derivanti da fatto illecito, recessivo è il requisito della buona fede, orientato sul versante negoziale dato che la vicenda che costituisce la fonte della responsabilità genera un credito in capo ad un soggetto che, in quanto vittima, si pone tendenzialmente in condizioni di buona fede, al contempo, ai fini dell’ammissione allo stato passivo, non può ritenersi sufficiente che il diritto sia sorto anteriormente al sequestro di prevenzione, essendo altresì necessario che il credito sia accertato giudizialmente e, quindi, esigibile; il credito extracontrattuale visto che, per sua natura, non è evincibile ex actis ed è incerto nell’an e nel quantum.
Il fatto generatore della responsabilità aquiliana, la sua riconducibilità al proposto ed il pregiudizio economico per il danneggiato, invero, per i giudici di legittimità ordinaria, necessitano di un riscontro giudiziale, finalizzato alla formazione di un titolo avente efficacia esecutiva, per cui va individuato, in primo luogo, il giudice competente a provvedere in merito; è fondamentale stabilire, cioè, se tale accertamento rientri nella cognizione del giudice civile (o del giudice penale, a seguito dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale) ovvero s’inserisca nel procedimento di prevenzione.
Ebbene, a fronte di ciò, secondo un orientamento prevalente e consolidato, il giudice della prevenzione è chiamato ad una mera verifica delle condizioni di accesso del credito alla liquidazione concorsuale, alla stregua dei parametri dettati dall’art. 52 D.Lgs. n. 159 del 2011, nel senso che: se il diritto di credito deriva da un atto negoziale, il giudice della prevenzione deve valutare l’anteriorità dell’atto al sequestro e la sussistenza delle condizioni di cui alle lettere a), b), c) del comma 1; se il diritto è controverso, il giudice della prevenzione non può sostituirsi al giudice della cognizione e, in mancanza di una pronuncia sul punto, la domanda di ammissione al passivo non può essere accolta.
Oltre a ciò, si faceva per di più presente come sia stato di recente ribadito che il giudice della confisca, in assenza di una disposizione di legge che estenda in modo generalizzato il suo ambito di intervento (come, ad esempio, l’art. 52, comma 2-bis, del medesimo decreto legislativo per il calcolo degli interessi), è vincolato agli esiti dell’accertamento definitivo in sede civile sull’ art e sul quantum del credito, salvo il potere di verifica sia della strumentalità di tale credito rispetto all’attività illecita, sia dell’insussistenza delle condizioni di incolpevole affidamento del creditore (Sez. 5, n. 46992 del 11/11/2024), e ciò in considerazione della logica unità dell’ordinamento e delle analogie con la procedura giudiziale di liquidazione, dove non si è mai dubitato dell’efficacia preclusiva di un precedente giudicato opponibile.
In particolare, secondo tale pronuncia, la peculiarità della disciplina di prevenzione e, con essa, l’esistenza di poteri officiosi affidati al Tribunale in sede di verifica, si giustificano con l’esigenza di tutelare l’interesse pubblicistico (evitare manovre collusive con il debitore, potenzialmente idonee a vanificare l’effetto ablatorio), interesse, quest’ultimo, che non è pregiudicato dal precedente accertamento giudiziale, ma che, invece, può essere logicamente soddisfatto attraverso il riscontro delle ulteriori specifiche condizioni di cui alla lett. b) del primo comma del citato art. 52, fermo restando che a conclusioni analoghe sono pervenute numerose altre pronunce del giudice di legittimità (Sez. 2, n. 20505 del 17/04/2024; Sez. 2, n. 16484 del 04/04/2024; Sez. 1, n. 32993 del 03/05/2023; Sez. 1, n.2022 del 26/01/2022; Sez. 1, n. 4691 del 28/01/2020; Sez. 6, n. 45115 del 13/10/2015), sia pure con sottolineature diverse, alle quali si considerava opportuno accennare che, in alcuni casi, è stato escluso il potere di accertamento incidentale da parte del giudice della prevenzione, affermandosi che il requisito di ammissione del credito allo stato passivo è la sua certezza, con la conseguenza che, laddove tutti gli elementi del credito controverso non siano accertati dal giudice civile, la richiesta di partecipazione al riparto della confisca di prevenzione non possa essere accolta (Sez. 2, n. 16484 del 04/04/2024; Sez. 2, n. 20505 del 17/04/2024) mentre, in altre pronunce, si è posto l’accento sulla preclusione per il giudice della prevenzione di sindacare il giudicato sull’esistenza e l’ammontare del credito, in altra sede formatosi, nel senso che il giudice della confisca è titolare esclusivo del potere di verificare gli aspetti – diversi da quelli già accertati – cui la legge ricollega la tutelabilità del credito, rappresentati essenzialmente dalla eventuale strumentalità del credito alla attività illecita e dalla esistenza o meno delle condizioni di incolpevole affidamento (Sez. 1, n. 4691 del 28/01/2020; in applicazione del principio la Corte ha annullato con rinvio il provvedimento del giudice per le indagini preliminari di rigetto dell’atto di opposizione avverso il provvedimento di ammissione allo stato passivo del credito per un importo inferiore a quello accertato nel giudizio civile, con decisione divenuta irrevocabile perché comunicata alla amministrazione giudiziaria e da questa non impugnata).
Infine, altre pronunce in tema di conflitto negativo di competenza, fra giudice civile e giudice della prevenzione, individuano i diversi ambiti di cognizione, finalizzati, il primo, a dare certezza al credito e, il secondo, a verificare la possibilità di resistenza di quel credito alla pretesa statale, essendo stato
così stabilito che, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, è competente il giudice del lavoro, e non quello della prevenzione, a decidere sulla domanda di ammissione al passivo avente ad oggetto un credito che presuppone l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato (Sez. 1, n. 14214 del 15/12/2022) mentre è, invece, competente il giudice della prevenzione se, accertati gli elementi costitutivi di un credito oggetto di contestazione, siano da verificare le condizioni stabilite dall’art. 52 D.Lgs. n. 159 del 2011 (Sez. 1, n. 32993 del 03/05/2023).
Viceversa, un opposto orientamento è stato espresso da una decisione della Seconda sezione penale (Sez. 2, n. 24311 del 01/04/2022), in cui si è ritenuto come il giudice della prevenzione abbia una competenza ibrida, cognitoria ed esecutiva, e che l’ordinamento accordi tutela ai terzi con le forme previste per il procedimento di prevenzione, ravvisando nel secondo periodo del primo comma dell’art. 45 D.Lgs. n. 159 del 2011 (“la tutela dei diritti dei terzi è garantita entro i limiti e nelle forme di cui al titolo IV”) una riserva in capo al giudice della prevenzione, essendosi affermata la centralità, o meglio, l’indefettibilità, dell’accertamento e della verifica, il cui compito il legislatore ha inteso attribuire al giudice della prevenzione, il quale non può spogliarsi del dovere di procedere a detto accertamento qualora, contestato (nell’an e/o nel quantum) il credito per cui sia stata presentata domanda di ammissione dinanzi al giudice civile, questi si sia già pronunciato, quantunque con sentenza non ancora divenuta definitiva, evidenziandosi oltre tutto che l’autonomia del giudizio di prevenzione è altresì confermata, ad avviso della pronuncia in esame, dal parallelismo con la procedura fallimentare o, meglio, dalle differenze strutturali con la stessa (non essendo previsto per la prevenzione l’istituto della riserva, funzionale ad attendere il passaggio in giudicato della sentenza contenente l’accertamento, in sede di prevenzione deve esaurirsi ogni indagine ai fini dell’accertamento del credito stesso).
In definitiva, alla luce di tale approdo ermeneutico, il procedimento di prevenzione demanda al giudice della procedura di decidere secondo il suo convincimento, con conseguente possibilità di pervenire ad un giudizio diverso da quello del giudice civile.
Tale indirizzo ermeneutico, però, come rilevato dalle Sezioni unite nella pronuncia qui in commento, è rimasto isolato, in quanto i successivi interventi hanno ribadito adesione all’orientamento prevalente (così, in motivazione, Sez. 5, n. 46992 del 11/11/2024).
Alcune pronunce, tuttavia, hanno dimostrato di propendere per l’esistenza di poteri istruttori del giudice della prevenzione sostanzialmente autonomi rispetto a quelli del giudice civile e che esorbitano, comunque, da una delibazione di mera verifica, essendo stata così negata efficacia vincolante ad un decreto ingiuntivo esecutivo, sostenendosi l’inopponibilità dei titoli di formazione giudiziale alla procedura di prevenzione patrimoniale, dal momento che vige in ambito penale il principio dell’autonomia della giurisdizione (Sez. 1, n. 16145 del 20/03/2018), così come si è altresì valorizzata l’autonomia decisoria del giudice di prevenzione rispetto alle decisioni assunte nel corso della procedura fallimentare (Sez. 5, n. 22618 del 07/03/2022), con riferimento all’ammissione del medesimo credito avvenuta in sede concorsuale, prima della chiusura di quella procedura in ragione della sopravvenuta confisca, sul presupposto della ulteriore attività di verifica riservata al giudice della prevenzione e della rilevanza interna del giudicato formatosi in sede fallimentare.
Particolarmente significativa, secondo la prospettiva in esame, per le Sezioni unite, è la posizione assunta da Sez. 2, n. 46099 del 13/09/2023, secondo cui, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, il giudizio di verifica dei crediti ex art. 59 D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, si caratterizza per il bilanciamento della tutela dei diritti di credito dei terzi con la finalità pubblica di sottrazione dei proventi di attività illecite al destinatario della confisca, che si realizza non solo mediante la verifica dei presupposti dimostrativi dell’estraneità dei diritti di credito all’attività illecita, ma anche con l’attribuzione al giudice della prevenzione di poteri officiosi, funzionali all’accertamento dell’effettività di tali presupposti, sicché è rilevabile d’ufficio la prescrizione presuntiva del credito, ex art. 2956, comma 1, n. 3), cod. civ., per compensi professionali, relativamente al quale sia stata avanzata istanza di ammissione.
La sentenza nega però, al contempo, la possibilità di deferire il giuramento decisorio al debitore/proposto, all’amministratore giudiziario o al rappresentante dell’Agenzia nazionale, posto che gli stessi, non assumendo il ruolo di parte necessaria del processo, risultano privi del potere di eccepire fatti estintivi, modificativi o impeditivi della pretesa creditoria, pur giustificandosi siffatta asimmetria processuale con la limitata efficacia dell’accertamento compiuto con riguardo ai crediti da ammettere, rilevante ai soli fini del procedimento di prevenzione, con conseguente formazione, rispetto alla domanda del creditore, di un giudicato endoconcorsuale, non opponibile al debitore in eventuali giudizi diversi, con riguardo ad altri suoi beni, non sottoposti a sequestro o confisca.
Ebbene, ad avviso delle Sezioni Unite, tali ultime conclusioni non sono condivisibili per plurimi aspetti e non sono, pertanto, idonee a superare l’indirizzo prevalente, indicato in precedenza, che qui veniva riaffermato, il che veniva attraverso la formulazione delle seguenti considerazioni: “Innanzitutto, l’art. 59 D.Lgs. n. 159 del 2011 fa espresso riferimento, nella rubrica, alla verifica dei crediti, sintagma reiterato nel primo comma della norma, con riferimento all’udienza fissata dal giudice delegato, con l’assistenza dell’amministratore giudiziario e con la partecipazione facoltativa del pubblico ministero; terminato l’esame di tutte le domande, il giudice delegato provvede all’ammissione o all’esclusione dei crediti, formando lo stato passivo. La finalità del procedimento è, dunque, quella di verificare l’ambito di tutela dei terzi, titolari di un diritto di credito anteriore al sequestro di prevenzione. La verifica presuppone l’accertamento del credito ossia l’esito del giudizio di cognizione, attestante che il creditore ha effettivamente diritto al pagamento di una somma di denaro dal debitore, il cui patrimonio sia stato, in tutto o in parte, sottoposto a confisca. Il credito accertato – certo, liquido ed esigibile – deve essere poi sottoposto ad un ulteriore vaglio, funzionale all’inclusione nello stato passivo, alla stregua dei criteri previsti dall’art. 58 D.Lgs. n. 159 del 2011. In definitiva, il termine “verifica” si riferisce alle condizioni di accesso del credito alla liquidazione concorsuale; al giudice della prevenzione non sono attribuiti autonomi poteri di accertamento circa l’ontologica esistenza della pretesa ed il suo ammontare. Il dato letterale si coniuga, inoltre, con considerazione di ordine sistematico. È evidente, in primo luogo, il potenziale conflitto con il giudicato civile, posto che il sindacato sul merito della richiesta del creditore potrebbe avere esito diverso a seconda che l’accertamento si svolga in sede di cognizione ovvero nel procedimento di prevenzione, caratterizzato, peraltro, da limitati margini di approfondimento istruttorio e privo della garanzia del contraddittorio, e, quindi, non idoneo ad assicurare che il diritto delle parti sia valutato in modo approfondito. Tale conclusione trova conferma nella differente disciplina prevista dagli artt. 98 e 99 legge fall, (ora, artt. 206 e 207 del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.14, cod. crisi di impresa) rispetto alla verifica dei crediti nel giudizio di prevenzione: nel primo caso, è prevista una articolata istruttoria ad iniziativa di parte, nel secondo – in sintonia con la struttura pubblicistica dell’intero procedimento di prevenzione -vengono in rilievo i poteri officiosi del giudice, che, assunte anche d’ufficio le opportune informazioni, verifica le domande e decide quali ammettere. All’udienza di verifica dei crediti disciplinata dall’art. 59 D.Lgs. 159 del 2011, pertanto, “non sono ammessi incombenti istruttori né tantomeno l’assunzione di prove orali, considerata la natura essenzialmente documentale delle prove richieste per la dimostrazione dei presupposti per l’ammissione dei diritti di credito” (Sez. 2, n. 46099 del 13/09/2023, omissis, Rv. 285821 – 01, in motivazione). Inoltre, a differenza di quanto avviene nel procedimento fallimentare per il curatore (artt. 42, comma 1 e 43 legge fall, e, ora, nel procedimento di liquidazione giudiziale, artt. 142, comma 1 e 143 cod. crisi di impresa), in quello di prevenzione l’amministratore giudiziario non si sostituisce al proposto nei rapporti processuali e non ne assume la rappresentanza, in quanto le ragioni dei creditori sono destinate a realizzarsi sui beni che non appartengono più all’originario debitore, in quanto acquisiti, per effetto della confisca, al patrimonio dello Stato. In conclusione, il procedimento di prevenzione non garantisce l’accertamento della pretesa del creditore attraverso il processo nei termini indicati anche a livello sovranazionale. L’art. 1 Prot. 1 CEDU tutela, infatti, i diritti economici; la giurisprudenza della Corte EDU, ai fini dell’accesso alla protezione stabilita dalla norma, ha elaborato una nozione ampia di beni, non circoscritta alla proprietà, ma comprensiva di tutti i valori connotati da patrimonialità e, quindi, a determinate condizioni, anche dei diritti di credito (Corte Edu, 15 aprile 2014, Stefanetti e altri c. Italia: “Affinché un credito possa essere considerato un valore patrimoniale ricadente nell’ambito di applicazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1, è necessario che il titolare del credito dimostri che esso ha un sufficiente fondamento nel diritto interno”). Lo strumento processuale deve, quindi, essere idoneo a garantire l’accertamento del diritto (il suo fondamento), consentendo al titolare di far valere le proprie ragioni. Implica, in particolare, un contraddittorio pieno ed effettivo tra le parti, nonché l’esercizio del diritto di difesa che si estrinseca anche con la disponibilità delle prove; garanzie – si ribadisce – non assicurate in sede di prevenzione, ove prevalgono poteri officiosi del giudice, sussiste la trattazione congiunta di tutte le questioni attinenti alla formazione del passivo, è prevista la partecipazione dei difensori dei creditori solo in fase di opposizione, non vige il principio della disponibilità del processo da parte dei creditori stessi che non possono formulare istanze istruttorie.
Questi profili assumono particolare rilievo nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, considerato che il credito da fatto illecito difetta per sua natura di un atto che lo genera e richiede, invece, un giudizio che lo accerti, mediante un procedimento a cognizione piena, in cui il giudice ha il potere di procedere agli atti istruttori che reputa rilevanti tra quelli richiesti dalle parti, nel rispetto del principio di disponibilità delle prove. (…) Le Sezioni Unite sono consapevoli che le conclusioni che precedono -secondo cui i poteri di cognizione del giudice della prevenzione sono circoscritti alla mera verifica dei requisiti previsti dall’art. 52 D.Lgs. n. 159 del 2011, senza alcuna incursione sull’accertamento della pretesa – non sono condivise dalla giurisprudenza civile. Sez. 2 civ., n. 731 del 09/01/2024, Rv. 669967 – 01, ha affermato che “nello speciale procedimento di verifica dei crediti previsto dagli artt. 57 e ss. del D.Lgs. n. 159 del 2011, opera il principio secondo il quale tutti i crediti vantati nei confronti di soggetto sottoposto alla misura di prevenzione patrimoniale devono essere accertati secondo le norme che ne disciplinano il concorso, con la conseguenza che, ove la relativa azione sia già stata proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d’ufficio, in ogni stato e grado, l’improcedibilità, e che, in mancanza, nel D.Lgs. n. 159 del 2011, di una previsione analoga a quella di cui all’art. 96, comma 2, n. 3, I. fall., il giudice della prevenzione non è vincolato nel suo accertamento dalla pronuncia di condanna di primo grado intervenuta prima del sequestro di prevenzione, prevalendo l’esigenza pubblicistica di impedire che sui beni sequestrati vengano fatti valere crediti strumentali all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego”. La pronuncia citata argomenta che le disposizioni di cui agli artt. 57 e ss. del D.Lgs. n. 159 del 2011 disciplinano un procedimento concorsuale davanti al giudice penale avente chiaro parallelismo con quello previsto dagli artt. 93 e ss. legge fall. e, in seguito, dagli artt. 205 e ss. cod. d’impresa; i tre procedimenti sono finalizzati ad assicurare un sistema unitario di accertamento e soddisfazione dei crediti e dei diritti vantati nei confronti di soggetti sottoposti a misura di prevenzione, dichiarazione di fallimento o di liquidazione giudiziale, attraverso una sequenza di fasi articolate secondo un modello uniforme e omogeneo. Tali conclusioni non appaiono condivisibili, in quanto, come evidenziato in precedenza, la peculiarità del procedimento di prevenzione non consente assimilazioni con le procedure concorsuali circa l’ampiezza dei rispettivi ambiti di indagine. L’ammissione allo stato passivo del credito del terzo nei confronti del proposto è effettuata sulla base della domanda del creditore contenente le indicazioni di cui all’art. 58, comma 2, D.Lgs. n. 159 del 2011 e delle eventuali informazioni assunte anche d’ufficio; il giudice delegato verifica le domande, indicando i crediti che ritiene di ammettere e quelli che ritiene di non ammettere, in tutto o in parte, esponendo succintamente i motivi dell’esclusione. Non è prevista la possibilità di ammissione del credito con riserva. Nella procedura fallimentare e, in seguito, in quella di liquidazione giudiziale è previsto, invece, l’accertamento del credito ai fini della distribuzione dell’attivo, nel contraddittorio delle parti e nel rispetto del principio dispositivo delle prove; inoltre, il credito accertato con pronuncia non definitiva prima dell’apertura della procedura può essere ammesso al passivo con riserva, in attesa del giudicato.
In definitiva va ribadito che in tema di misure di prevenzione reali, ai fini dell’ammissione allo stato passivo, in caso di credito del terzo derivante da fatto illecito o di credito comunque controverso, il giudice della confisca, in assenza di una disposizione di legge che estenda in modo generalizzato il suo ambito di intervento, è vincolato agli esiti del necessario accertamento in sede civile (o in sede penale in caso di esercizio dell’azione civile nel processo penale) sull’an e sul quantum del credito, salvo il potere di verifica sia della strumentalità di tale credito rispetto all’attività illecita sia dell’insussistenza delle condizioni di incolpevole affidamento del creditore”.
Chiarite le ragioni per cui si è ritenuto di dovere aderire all’orientamento prevalente formatosi in subiecta materia, i giudici di piazza Cavour reputavano altresì necessario osservare, a questo punto della disamina, che la mancata previsione dell’ammissione del credito con riserva e le esigenze di celerità del procedimento di verifica – caratterizzato da scansioni temporali brevi, trattazione congiunta delle questioni oggetto di opposizione, provvedimenti semplificati – esigono tuttavia di stabilire entro quali tempi debba intervenire l’accertamento giudiziale del credito da responsabilità extracontrattuale, conseguente a domanda proposta in sede civile o, per le vittime di reato, in sede penale; la scissione tra insorgenza del diritto (anteriore all’applicazione della misura) e accertamento giudiziale (posteriore al fatto illecito) implica comunque la necessità di individuare il termine entro il quale tale verifica debba effettuarsi per consentire l’ammissione al passivo dal momento che la soluzione in via interpretativa deve confrontarsi con lo strumento processuale previsto per la tutela dei terzi pregiudicati dalla confisca definitiva di prevenzione e dall’acquisizione al patrimonio dello Stato, liberi da oneri e pesi, dei beni del proposto che costituiscono la garanzia patrimoniale del creditore.
Orbene, per la Corte, assume in tale prospettiva rilevanza decisiva il termine stabilito per la domanda di ammissione del credito dall’art. 57, comma 2, D.Lgs. n. 159 del 2011; termine perentorio, fissato dal giudice delegato per la proposizione delle istanze dei creditori, non superiore a sessanta giorni a far data dal deposito del decreto di confisca in primo grado, considerato oltre tutto che l’art. 58, comma 5, D.Lgs. n. 159 del 2011 prevede altresì che, successivamente, e, comunque, non oltre il termine di un anno dal decreto di esecutività dello stato passivo, le domande relative ad ulteriori crediti sono ammesse ove il creditore provi di non aver potuto presentare la domanda tempestivamente per causa a lui non imputabile.
L’accertamento del credito, di conseguenza, per gli Ermellini, deve intervenire in tempo utile per consentire l’ammissione della domanda, ossia entro il termine perentorio fissato dall’art. 57, comma 2, ovvero – qualora il creditore dimostri che la durata del giudizio non abbia consentito il tempestivo deposito dell’istanza – entro il termine decadenziale stabilito dall’art. 58, comma 5, per le domande tardive, osservandosi al contempo che se, indubbiamente, l’aleatorietà dei tempi necessari per la formazione del titolo giudiziale può compromettere le ragioni satisfattive del creditore, senza che sia a lui imputabile alcuna negligenza, ciò, tuttavia, non può operare, in materia, l’istituto della restituzione nel termine.
Secondo l’art. 57, comma 5, D.Lgs. n. 159 del 2011, in effetti, la domanda di ammissione al passivo deve essere presentata comunque non oltre il termine di un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e, dunque, con tale previsione, il legislatore ha stabilito un termine massimo decorso il quale la non imputabilità al creditore del ritardo in ogni caso (“comunque”), quale che ne sia stata la causa, diviene irrilevante, nel senso che il deposito della domanda di ammissione del credito non è più possibile e, se proposta, deve essere dichiarata inammissibile (in tal senso, in termini condivisibili, Sez. 2, n. 4884 del 16/12/2022, che ha puntualizzato che il carattere speciale della disciplina dettata per l’ammissione tardiva dall’art. 58 D.Lgs. n. 159 del 2011 preclude l’operatività dell’istituto generale della restituzione nel termine previsto dall’art. 175 cod. proc. pen.), realizzandosi in tal guisa un bilanciamento tra i contrapposti interessi: da un lato, quelli dei creditori del proposto all’ammissione dei propri titoli; dall’altro lato, sul versante pubblicistico, la necessaria speditezza del procedimento incidentale di verifica dei crediti, a sua volta strumentale alla devoluzione allo Stato dei beni definitivamente confiscati “liberi da oneri e pesi” (art. 45, comma 1, del D.Lgs. n. 159 del 2011), che non si potrebbe conciliare con l’assenza di un termine massimo certo per il deposito delle domande tardive di ammissione dei crediti, evidenziandosi a tal proposito che Sez. 5, n. 28116 del 20/03/2024, ha affermato che la pronuncia di accertamento del credito deve intervenire non oltre il tempo utile per presentare una domanda tardiva, oltre a precisare, al contempo, che il rigetto della richiesta ordinaria – nel termine, cioè, di cui all’art. 57, comma 2, cit. – di ammissione al passivo di un credito incerto nell’an e nel quantum non configura una mera questione di rito, ma una decisione di merito sul profilo sostanziale della domanda, con la conseguenza che è preclusa la possibilità di una sua riproposizione secondo il regime delle istanze tardive.
Chiarito ciò, sempre ad avviso delle Sezioni unite, restava, infine, da stabilire il grado di stabilità dell’accertamento richiesto ai fini dell’ammissione al passivo, ossia se il credito derivante da un fatto illecito, così come qualsiasi credito controverso, debba risultare da una pronuncia definitiva oppure sia a tal fine sufficiente un titolo provvisoriamente esecutivo.
Si osservava a tal riguardo prima di tutto come la giurisprudenza nomofilattica, formatasi in tema di crediti da responsabilità contrattuale, ritenga che l’ammissione sia possibile solo ove sia intervenuta una pronuncia definitiva, in analogia con quanto previsto dall’art. 96 legge fall, (ora, art. 204 del cod. crisi d’impresa) circa l’ammissione con riserva dei crediti accertati con sentenza non passata in giudicato, con conseguente scioglimento della riserva stessa (e inserimento definitivo nel passivo) derivante dalla irrevocabilità dell’accertamento in favore del creditore, oltre a rilevare come l’istituto dell’ammissione con riserva differenzi profondamente le due procedure concorsuali, consentendo solo al giudice fallimentare di sospendere la decisione sulla liquidazione in attesa del giudicato; la speditezza del procedimento incidentale di verifica nella prevenzione patrimoniale non consente, invece, di acquisire, prima della chiusura della fase liquidatoria, la certezza della situazione giuridica controversa e non ancora accertata in via definitiva.
La peculiarità del procedimento di prevenzione, per la Suprema Corte, impone, quindi, all’interprete di verificare se sussistano soluzioni che, nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento, evitino di comprimere ingiustificatamente la tutela dei creditori a vantaggio dell’interesse pubblicistico alla rapida devoluzione allo Stato dei beni confiscati, liberi da oneri e pesi.
La risposta per la Corte non è però univoca visto che si evidenzia come la soluzione sia differente a seconda che l’accertamento del credito derivante da fatto illecito commesso dal proposto avvenga in sede penale ovvero in sede civile.
In particolare, circa la prima evenienza, si notava come la Corte costituzionale, con le più recenti pronunce n. 12 del 2016 e n. 176 del 2019, abbia affermato che nel sistema vigente l’inserimento dell’azione civile nel processo penale configura una situazione processuale sostanzialmente diversa da quella determinata dall’esercizio dell’azione civile nella sede propria; ciò perché quella azione assume carattere accessorio e subordinato rispetto all’azione penale ed è perciò destinata a subire gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale, cioè dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati.
Il principio di accessorietà trova quindi la sua principale espressione nella regola secondo la quale il giudice penale decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta con la costituzione di parte civile quando pronuncia sentenza di condanna (art. 538, comma 1, cod. proc. pen.), fermo restando che il diritto della vittima al risarcimento del danno è altresì subordinato all’accertamento in via definitiva della responsabilità penale dell’imputato, in quanto il principio di non colpevolezza sancito dall’art. 27 Cost. implica la certezza processuale della condotta illecita.
La tutela della presunzione di innocenza, per il Supremo Consesso, del resto, ha rilevanza anche quando il procedimento penale si conclude con esito diverso dalla condanna.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 182 del 2021, tra l’altro, ha affermato che, nell’ipotesi in cui venga pronunciata sentenza di proscioglimento in grado di appello o di legittimità, in seguito ad una valida condanna emessa nei gradi precedenti, la regola dell’accessorietà (che comporta il sacrificio dell’interesse della parte civile) subisce dei temperamenti, poiché essa continua ad essere sì applicabile nelle ipotesi di assoluzione nel merito e di sopravvenienza di cause estintive del reato riconducibili alla volontà delle parti (ad esempio remissione di querela), ma non trova applicazione allorché la dichiarazione di non doversi procedere dipenda dalla sopravvenienza di una causa estintiva del reato, riconducibile a prescrizione o ad amnistia, nel qual caso prevale l’interesse della parte civile a conservare le utilità ottenute nel corso del processo, che continua dinanzi allo stesso giudice penale, sebbene sia mutato l’ambito della cognizione richiestagli, che va circoscritta alla responsabilità civile.
Entro tale confine, ordunque, la valutazione del compendio probatorio è finalizzata all’accertamento dei requisiti costitutivi dell’illecito civile posto a fondamento della obbligazione risarcitoria o restitutoria, senza possibilità che, attraverso l’esame del fatto imposto dall’art. 578 cod. proc. pen. ai soli fini delle statuizioni sulla responsabilità civile, si giunga ad affermare de facto la responsabilità penale, così violando il principio di presunzione di non colpevolezza.
D’altronde, le Sezioni unite, dal canto loro, sulla base dei criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, hanno ulteriormente ampliato l’ambito di tutela della presunzione di innocenza, affermando che, nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito (Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024), tenuto conto altresì del fatto che, ai fini dell’accertamento della responsabilità civile, Sez. 3, n. 45810 del 14/11/2024, richiamando uno snodo argomentativo della suddetta sentenza della Corte costituzionale – ha altresì precisato che il giudice penale che si trovi a decidere ai sensi dell’art. 578, comma 1, cod. proc. pen., e quindi a verificare la sussistenza dell’illecito civile, dovrà seguire il criterio del “più probabile che non” o della “probabilità prevalente” che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell’ipotesi contraria, secondo gli standard probatori propri del giudizio civile.
Circa il requisito della certezza del credito da fatto illecito, per la Cassazione, va per di più considerato che l’art. 540 cod. proc. pen. esclude che la condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno abbia efficacia provvisoriamente esecutiva, prevedendo come regola generale che l’esecutività consegua al giudicato penale, confermando che l’ammissione al passivo di un credito in favore della vittima del reato presuppone l’accertamento definitivo della responsabilità giacché la parte civile può ottenere nel corso del giudizio la condanna al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva; trattasi, tuttavia, di una statuizione per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019), con conseguente esclusione della finalità di accertamento del credito richiesta per l’ammissione al passivo.
A diversa conclusione, per le Sezioni unite, può invece pervenirsi per l’azione risarcitoria proposta in sede civile dal momento che Sez. 6, n. 13474 del 2023, osserva che “non vanno confusi i requisiti di certezza e liquidità del diritto, intesi come incontrovertibilità della sua esistenza e del suo contenuto, nonché del suo ammontare, cui fa riferimento l’art. 474 cod. proc. civ. per indicare le caratteristiche che deve possedere un diritto affinché il relativo titolo possa dar luogo ad una esecuzione forzata, con il requisito di certezza probatoria richiesto dall’art. 52, comma 1, D.Lgs. cit., che è collegato esclusivamente alla collocazione cronologica dell’atto da cui deve risultare l’esistenza di quel diritto”.
Ai fini dell’ammissione al passivo non è dunque necessario che il credito – sorto antecedentemente all’applicazione della misura cautelare – sia accertato in via definitiva; è sufficiente che esso sia certo, liquido ed esigibile (“incontrovertibile” ai sensi dell’art. 474 cod. proc. civ.) in virtù di un titolo esecutivo poiché sono titoli esecutivi le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva (art. 474, secondo comma, n. 1, cod. proc. civ.), a prescindere dalla definitività del titolo giudiziale, può ritenersi che, qualora la legge riconosca la provvisoria esecuzione della pronuncia di condanna al pagamento (ad esempio, sentenze di primo grado; ordinanze ai sensi degli artt. 186-bis, ter e quater, cod. proc. civ.), il credito sia accertato e legittimi l’ammissione allo stato passivo.
Tale conclusione, sempre nell’ottica del bilanciamento dei contrapposti interessi, sempre ad avviso della Corte di legittimità, tra l’altro, limita per i creditori del proposto gli effetti sfavorevoli conseguenti all’aleatorietà dei tempi del processo, circoscrivendoli alla formazione del titolo provvisoriamente esecutivo e non estendendoli a quelli necessari per il giudicato, tenuto conto altresì del fatto che, se la possibile ammissione al passivo di un credito derivante anche solo da un titolo provvisoriamente esecutivo e non necessariamente da una pronuncia passata in giudicato pone, peraltro, l’interrogativo della sua sorte nel caso in cui il titolo giudiziale sia, successivamente all’ammissione, caducato in tutto o in parte, la cui risposta va rinvenuta, sempre ad avviso delle Sezioni unite, in Sez. U, n.9 del 28/04/1999, sub par. 7, secondo cui l’estinzione delle obbligazioni facenti capo al condannato determina la sola sostituzione del soggetto attivo del rapporto obbligatorio in virtù della disposizione sulla surrogazione legale di cui all’art. 1203 cod. civ., dato che al creditore subentra lo Stato, il quale può esercitare la pretesa contro il debitore – reo per conseguire le somme che non ha potuto acquistare perché destinate al creditore; analogamente, lo Stato – acquisito il bene confiscato, libero da oneri e pesi – potrà agire nei confronti del creditore del proposto per la ripetizione di somme versate sulla base di un titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo, la cui caducazione sia successiva alla ammissione allo stato passivo.
Ciò posto, preso atto che l’ordinanza di rimessione evidenziava come, nella fattispecie in esame, venisse in questione anche il credito per le spese processuali riconosciute al danneggiato posto “che la liquidazione viene effettuata solo con la sentenza che accerta il danno in un momento fisiologicamente successivo a quando lo stesso si è verificato, sorge il problema del se è possibile, anche volendo ritenere che il credito risarcitorio sia sorto nell’an anteriormente alla liquidazione, che detto principio possa essere esteso alla statuizione sulle spese di lite”, le Sezioni unite ritenevano di dovere dare una risposta negativa dal momento che la condanna alle spese giudiziali in favore della parte civile costituisce un profilo accessorio della domanda risarcitoria, ma del tutto autonomo, rispetto ad essa, con la conseguenza che il momento genetico del relativo credito coincide necessariamente con la decisione, basata sul principio della soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ., in assenza di motivi di compensazione poiché le spese liquidate dal giudice costituiscono, per il soggetto condannato, un debito di valuta, che ha fondamento nella sentenza, e non rappresentano una componente del danno da risarcire; l’obbligazione risarcitoria da illecito aquiliano è, invece, un debito di valore, ed è comprensiva del pregiudizio derivante dalla mancata disponibilità della somma equivalente al danno subito nel tempo intercorso tra l’evento lesivo e la liquidazione, proprio per la scissione temporale fra il fatto illecito – fonte dell’obbligazione – e l’accertamento delle conseguenze pregiudizievoli in termini patrimoniali.
Ai fini, dunque, dell’ammissione al passivo del credito per le spese processuali riconosciute al danneggiato, per la Corte di legittimità, è necessario che la liquidazione di tali spese sia contenuta in una decisione intervenuta prima dell’applicazione della misura del sequestro.
Le Sezioni unite, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, formulavano i seguenti principi di diritto: “Il credito del terzo derivante da fatto illecito commesso in suo danno deve essere sorto antecedentemente all’applicazione della misura cautelare e deve essere accertato dal giudice della cognizione entro il termine previsto per l’ammissione ordinaria o tardiva al passivo. L’accertamento suddetto deve, in sede penale, essere definitivo, mentre, in sede civile, è sufficiente che sia provvisoriamente esecutivo” “il credito per le spese giudiziali riconosciute ai danneggiato deve essere liquidato in una decisione intervenuta prima dell’applicazione del sequestro di prevenzione”.

4. Conclusioni: requisiti di ammissibilità dei crediti del terzo per fatto illecito e spese giudiziali: antecedenza rispetto alla misura cautelare e accertamento giudiziale (definitivo in sede penale, provvisoriamente esecutivo in sede civile)


Con la decisione in esame, le Sezioni unite hanno risolto il seguente contrasto giurisprudenziale: se, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, l’art. 52, comma 1, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – in forza del quale la confisca non pregiudica i diritti derivanti da atti aventi data certa anteriore al sequestro – debba essere interpretato nel senso che, ai fini dell’ammissione allo stato passivo del credito del terzo derivante da fatto illecito commesso in suo danno dal proposto, il relativo diritto debba essere sorto antecedentemente all’applicazione della misura cautelare, anche se accertato e liquidato in un momento successivo, ovvero nel senso che debba essere anteriore al sequestro anche l’accertamento giudiziale del credito.
Infatti, come appena visto, siffatte Sezioni hanno composto codesto contrasto, stabilendo che i crediti del terzo per fatto illecito e le spese giudiziali riconosciute al danneggiato devono essere sorti prima della misura cautelare e accertati dal giudice entro i termini previsti per l’ammissione al passivo fermo restando che, per un verso, se, in sede penale, l’accertamento in questione deve avvenire con decisione definitiva in sede civile, invece, è sufficiente che tale accertamento sia provvisoriamente esecutivo, per altro verso, il credito, per le spese giudiziali spettanti al danneggiato, deve essere liquidato con una decisione presa prima che venga applicato il sequestro di prevenzione.
Questi sono in estrema sintesi i criteri ermeneutici formulati nella pronuncia in esame che dovranno adesso essere tenuti nel debito conto per interpretare correttamente l’art. 52, comma 1, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, laddove prevede che la “confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro”.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, dunque, poiché fa chiarezza su tale tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

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