L’art.20 c.p.c. nei rapporti tra professionisti e imprese

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Il rinnovato valore dell’articolo 20 cpc nei rapporti tra professionisti e imprese nel contesto delle nuove dinamiche economiche.
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Indice

1. Il contesto


Le nuove tecnologie hanno certamente accelerato i processi contrattuali, ed avvicinato i rapporti economici.
Un’incidenza particolare si è registrata – in questo processo di avvicinamento ed accelerazione – nei rapporti tra aziende e clienti finali, con un’attenzione particolare prestata alla tutela dei consumatori, in particolar modo quegli “utenti finali diffusi” generalmente ricettori di contratti per tabulas.
Una delle tutele attivate da diritto e giurisprudenza è stata quella della cd. clausola del foro, prevedendo che a maggior tutela, e insieme minor onerosità, il foro competente per l’inadempimento fosse quello del convenuto.
Sottesa a questo criterio l’idea – concretamente fondata – che fosse un onere eccessivo per il cliente-consumatore dover essere chiamato in giudizio non solo sostenendo gli oneri della propria difesa, ma anche quelli della eventuale domiciliazione.
Questo (ma non solo) – in estrema sintesi, e solo a scopo introduttivo – il criterio di fondo adottato e soprattutto l’interesse (e il soggetto) oggetto di tutela.
Contemporaneamente resta per i rapporti tra aziende la libera scelta attuata attraverso la cd. clausola del foro contrattualmente prevista (laddove non prevista una clausola arbitrale, sempre più diffusa e spesso preferibile, soprattutto in termini di semplificazione procedimentale, efficienza e velocità decisionale).
Ma lo stesso processo di sviluppo ed accelerazione ed avvicinamento hanno anche inciso su un’altra serie di rapporti economici e contrattuali con la relativa nascita di obbligazioni.
Il tema riguarda il rapporto tra professionisti e imprese, nel rinnovato contesto in cui sempre più spesso – a differenza di quanto accadeva in passato, almeno sotto il profilo quantitativo del fenomeno – imprese e professionisti entrano in rapporti professionali al di fuori della propria “provincia geografica”.
L’uso di posta elettronica, posta elettronica certificata, fatture elettroniche e firme digitali rende i processi anche contrattuali difformi dal quadro storicizzato delle relazioni obbligatorie su cui si è consolidata la giurisprudenza.
Del resto non si può disconoscere che in queste “relazioni professionali a distanza” il soggetto “debole” – soggetto di maggior tutela simmetricamente a quanto detto prima nei rapporti tra imprese e consumatori – in questo caso sia il professionista.


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2. La “nuova vita” dell’articolo 20 c.p.c.


Non occorre – a parere di chi scrive – pensare innovazioni strutturali del quadro normativo, essendo in questo caso sufficiente una rivalutazione dell’articolo 20 del Codice di Procedura Civile, che nella lettura tradizionale tende a dirimere la competenza tra fori “ugualmente competenti”.
A norma dell’art.20 cpc per le cause relative a diritti di obbligazione è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta [1326 c.c.] o deve eseguirsi [1327 c.c.] l’obbligazione dedotta in giudizio.
Il vulnus – cui potrebbe mettere mano il legislatore, ma che può ben interpretare sin da subito il giudicante – è quell’ “anche”, foriero di opposizioni spesso solo dilatorie, in quei procedimenti in cui l’impresa (soggetto che assumiamo più forte) non adempia all’obbligazione (ad esempio di pagare un onorario) e pretenda anche che il professionista, oltre a chiamarla in giudizio lo faccia nel suo foro (foro del debitore), riproducendo in questo modo quella condizione asimmetrica tra consumatore e impresa che è stata – correttamente – censurata.

3. Il Forum Contractus


Nel nuovo contesto e negli scenari concreti dei rapporti descritti, il luogo “in cui è sorta” l’obbligazione è quello di conclusione del contratto (forum contractus).
Ad esempio, nei contratti stipulati da persone lontane, sarà competente il giudice del luogo in cui il proponente ha avuto notizia dell’accettazione, ai sensi dell’art. 1326 del c.c. e quindi con la ricezione (e nel luogo della ricezione) della proposta contrattuale accettata e firmata.
E ciò anche se il contratto o il documento che ne contenga gli elementi essenziali richiesti dall’art. 1325c.c dunque: accordo delle parti; causa; oggetto; forma (quando prescritta dalla legge) sia stato trasmesso a mezzo posta elettronica.
L’accordo è da considerarsi perfezionato, dunque, per conferma con la firma e il timbro apposto (semmai al documento scannerizzato laddove non necessariamente firmato digitalmente) e con il successivo invio – anche se a mezzo pec o via mail.
A norma dell’art.1326c.c. “Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte” – conoscenza che oggi si può considerare a tutti gli effetti avvenuta con la ricezione via posta elettronica, e “il luogo” sarà ineludibilmente quello del professionista ricevente.
La proposta e l’accettazione costituiscono dichiarazioni di volontà unilaterali.
Essi sono sufficienti alla conclusione del contratto nel caso di contratto consensuale (1376c.c.).
A norma quindi dell’art 20 cpc per le cause relative a diritti di obbligazione può ritenersi certamente competente il giudice del luogo in cui è sorta [1326 c.c.] o deve eseguirsi [1327 c.c.] l’obbligazione dedotta in giudizio.
Pertanto l’attore (che in questa disamina consideriamo il professionista) potrà scegliere liberamente e il convenuto deve adeguarsi alla scelta dell’attore, che non è tenuto a motivare la sua decisione.
Per le obbligazioni pecuniarie, vale quanto stabilito dall’art. 1182 c.c.: in particolare, l’obbligazione che abbia ad oggetto una somma di denaro va di regola adempiuta al domicilio del creditore.
A tutela del convenuto, si ritiene che il foro in esame non possa essere invocato quale foro alternativo a quelli previsti dagli artt. 18 e 19 c.p.c. quando la natura dell’obbligazione comporti la competenza di un numero indefinibile di giudici (ma non è questo il caso con ogni evidenza).
Potrà quindi essere ritenuto – in questo contesto e in questo scenario – validamente scelto il foro del professionista, anche qualora non vi sia nel contratto o documento equipollente una “clausola del foro”, determinandosi in caso contrario un eccessivo – e inaccettabile – squilibrio tra le parti.
Ovviamente questa è un’opinione e come tale non pretende di avere alcun valore dirimente o risolutivo generale. Ma nel contesto generale di continua “accelerazione e riduzione delle distanze”, nel complesso delle relazioni sempre più articolate e specialistiche tra imprese, professionisti e consulenti, appare evidente che il diritto – e la procedura civile in particolare – siano chiamati, nel nuovo quadro generale e complessivo, a dare risposte concrete a tutela di nuove e sempre più emergenti asimmetrie.

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Michele Di Salvo

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