Abbandono di rifiuti: illecito amministrativo o illecito penale? Il caso affrontato e risolto dalla Cassazione Penale , sezione III, sentenza 6 ottobre 2014, n. 41352.

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In una recente sentenza la Corte di Cassazione Penale (sezione III sentenza 6 ottobre 2014, n. 41352) si è occupata di abbandono e  trasporto abusivo di rifiuti e, per quanto di interesse, ha tracciato un utile confine applicativo tra le fattispecie di cui agli artt. 255 e 256 d.lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) arrivando a pronunciare, per la prima volta, il seguente principio di diritto: “Il soggetto privato, non titolare di una impresa e non titolare di un ente, che abbandoni in modo incontrollato un proprio rifiuto, e che a tal fine lo trasporti occasionalmente nel luogo ove lo stesso verrà abbandonato, risponderà solo dell’illecito amministrativo di cui all’art. 255 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per l’abbandono e non anche del reato di trasporto abusivo di cui all’art. 256, comma 1, in quanto la condotta di trasporto si esaurisce nella fase meramente preparatoria e preliminare rispetto alla condotta finale e principale di abbandono, e non assume autonoma rilevanza ai fini penali.

Come noto, il decreto legislativo n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente) – nato con l’espressa finalità di promuovere livelli di qualità della vita più alti attraverso la salvaguardia e il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse umane (art.2) – disciplina, tra l’altro, nella Parte IV, la gestione dei rifiuti e, per quanto di interesse, prevede un corollario di sistema sanzionatorio per la violazione delle disposizioni ivi previste. In particolare, destano attenzione perché costituenti oggetto della pronuncia che qui ci occupa, gli artt. 255 e 256 disciplinanti rispettivamente l’ “abbandono di rifiuti” e l’ “attività di gestione e di rifiuti non autorizzata”. 

I fatti vedevano un privato cittadino imputato e condannato per il reato di cui all’art. 256 co.1 d.lgs. 152/2006 per avere effettuato, senza autorizzazione, attività di trasporto di circa 2 mq di rifiuti non pericolosi (si trattava, in specie, di calcestruzzo, cemento, mattonelle provenienti da attività di costruzione e demolizione della proprietà immobiliare della di lui madre) al fine di abbandonarli in un luogo non precisato. Accadeva che, durante il trasporto, il rimorchio della macchina agricola sul quale erano posti i rifiuti, uscendo fuori strada, si ribaltava e sversava gli stessi in un terreno adiacente. L’imputato abbandonava ivi i rifiuti con l’intendo di recuperarli il giorno seguente. Tuttavia, l’indomani mattina i vigili urbani, trovando il rimorchio ed i rifiuti, provvedevano a denunciare l’imputato per il reato contestato.

L’imputato, condannato nei gradi di merito, proponeva ricorso per Cassazione dolendosi della erronea applicazione dell’art. 256 co1 in quanto non rivestente la qualifica personale richiesta dall’art 256 co. 2 e che perciò dovesse trovare applicazione la sola fattispecie di illecito amministrativo di cui all’art 255.

Per meglio comprendere il contesto normativo e le conseguenti argomentazioni addotte dalla Corte di Cassazione nell’accogliere il ricorso e, per l’effetto, nell’annullare la sentenza di condanna, giova preliminarmente richiamare le norme di cui agli artt. 255 e 256 D.Lgs 152/2006.

Con la clausola di riserva (“Fatto salvo quanto previsto dall’art 256 co2) si apre l’art 255 che prevede una ipotesi di illecito amministrativo: è punita la condotta di chi abbandoni o depositi rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee in violazione degli artt. 192, 226 e 231 del medesimo decreto. La sanzione amministrativa è aumentata fino al doppio qualora i rifiuti siano pericolosi. Dunque tale previsione di illecito amministrativo si rivolge a chiunque senza richiedere in capo al soggetto agente una particolare qualifica soggettiva.

Il successivo art. 256 co 1 prevede e punisce, invece, un illecito penale rivolto a sanzionare  la condotta di “chiunque”, senza la  necessaria e prescritta autorizzazione, svolga attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti. Al co 2 del medesimo articolo è prevista l’estensione della pena di cui al co 1 per coloro i quali, titolari di imprese e/o responsabili di enti, abbandonino o depositino in modo incontrollato rifiuti.

A ben vedere, dunque, l’attività di abbandono o deposito previsto al richiamato co 2 costituisce una ipotesi di reato proprio stante la indicata qualificazione soggettiva per i soggetti agenti, individuati nel titolare di impresa e responsabile di ente.

Orbene, come detto, l’imputato viene riconosciuto colpevole del reato di cui al co1 art 256 per la condotta di trasporto non autorizzato. Il giudice di merito, quindi, ha ritenuto la fattispecie de qua come comune e non reato proprio stante l’espressione “chiunque”. Così, lo stesso giudice ha ritenuto che integrasse la fattispecie di cui al co1 dell’art 256 anche il trasporto meramente occasionale di rifiuti destinati all’abbandono effettuato da un privato cittadino privo di qualsiasi qualifica personale (nel caso di specie infatti l’imputato non svolgeva alcuna attività imprenditoriale e non era titolare i impresa o responsabile di ente).

La Corte di legittimità adita  spiega come tale ricostruzione interpretativa effettuata dal giudice di merito sia erronea ed illogica e lo fa partendo, altresì, da due premesse. La prima attiene alle richiamate pronunce di legittimità effettuate dal giudice di merito nelle quali si è ritenuto integrasse il reato di trasporto non autorizzato di cui all’art 256 co1 anche la condotta occasionale. Gli Ermellini, però, fanno osservare come tali pronunce siano tutte relative a fattispecie in cui i soggetti condannati svolgevano “attività di trasporto” o un’attività di impresa. In secondo luogo, la Corte, pur mostrandosi consapevole delle oscillazione in giurisprudenza circa la qualificazione come reato proprio o meno della condotta di cui al co1 art. 256, tuttavia, chiarisce come la risoluzione del caso de quo può essere affrontata  prescindendo dalla risoluzione della anzi richiamata questione.

E questo in quanto, a ben vedere, nel caso di specie ciò che rileva è la condotta principale e finale costituita dall’abbandono del rifiuto, mentre il suo trasporto sul luogo di abbandono costituisce solo una fase preliminare e preparatoria. Essa non acquista autonomo rilievo sotto il profilo penale rimanendo invece assorbita dalla condotta di abbandono. Per cui, non rileva affatto la condotta di cui all’art. 256 co1, ma semmai quella del co 2 dell’art. 256. Però, atteso che quest’ultimo co 2 non si revoca in dubbio che preveda una fattispecie penale propria, non rimane che l’art 255.

Così, se l’abbandono o il deposito incontrollato è commesso da un privato cittadino, non titolare di impresa o ente, e riguarda propri rifiuti, questi incorrerà nell’illecito amministrativo di cui all’art. 255; se invece l’abbandono avvenga da parte di titolare di ente o impresa e riguardi rifiuti propri o prodotti da terzi, si configurerà l’illecito penale di cui all’art. 256 co2. Altrimenti argomentando verrebbe a crearsi un paradosso, anche da un punto di vista del principio di ragionevolezza, attribuendo rilevanza alla condotta prodromica e preliminare di trasporto – arrivando a punirla con sanzione penale – anziché a quella finale di abbandono o deposito.

Conclude, quindi, la Corte che se l’abbandono incontrollato del rifiuto venga commesso da un soggetto privato, non qualificato, si ha illecito amministrativo punito ai sensi dell’art. 255. Il trasporto del rifiuto per abbandonarlo in un luogo rientrerà nella condotta punita dalla sanzione amministrativa e non integrerà un autonomo e distinto reato di trasporto senza autorizzazione.

 

 

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 6 ottobre 2014, n. 41352

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Treviso, sezione distaccata di Montebelluna, dichiarò P.F. colpevole del reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per avere effettuato, senza autorizzazione, attività di trasporto di circa 2 (due) mq di rifiuti non pericolosi (cemento, calcestruzzo, mattonelle provenienti di attività di costruzione e demolizione) per mezzo di un rimorchio trascinato da una macchina agricola e finito fuori strada – e lo condannò alla pena di Euro 1.800 di ammenda, con i doppi benefici.
L’imputato, a mezzo dell’avv. **************, propone ricorso per cassazione – erroneamente qualificato come appello – deducendo:
1) erronea applicazione dell’art. 256, comma 1, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Osserva che la fattispecie prevista da tale norma ha natura di reato proprio in quanto richiede quale elemento costitutivo la qualità di titolale di impresa o di responsabile di ente, in assenza della quale deve configurarsi il solo illecito amministrativo di cui all’art. 255, comma 1. È pacifico che l’imputato non possiede tale qualità, esercitando l’attività di fornaio. Lamenta poi che il giudice ha erroneamente ritenuto che l’imputato trasportasse il materiale e non lo abbandonasse, come se per l’abbandono non fosse necessario il trasporto.
2) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 163 cod. pen. Osserva che la difesa aveva solo chiesto l’assoluzione. Il giudice ha invece disposto la non menzione e la sospensione condizionale della pena. Questi benefici nella specie si risolvono in uno svantaggio.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.
Dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che il fatto si sarebbe svolto nel seguente modo.
L’imputato, il 20.2.2011, stava trasportando, sul rimorchio trainato da un trattore agricolo appartenente alla madre Pe.Ir. , circa 2 (due) mq. di rifiuti non pericolosi (cemento, calcestruzzo, mattonelle, provenienti da demolizione, e in particolare dalla abitazione della madre), al fine di abbandonarli in un posto non precisato. A un certo punto il trattore uscì di strada ed, essendosi ribaltato il rimorchio, i rifiuti si sversarono sul terreno adiacente. Stante l’ora tarda e l’oscurità, il P. abbandonò sul posto il rimorchio ed i rifiuti, col proposito di recuperarli il giorno seguente, ma l’indomani mattina i vigili urbani scorsero il rimorchio ribaltato con i rifiuti e denunciarono l’imputato per il reato contestato. La sentenza impugnata, oltre ad accertare che la piccola quantità di rifiuti da demolizione proveniva dall’appartamento della madre ottantenne dell’imputato, ha anche accertato che costui non svolgeva alcuna attività imprenditoriale e non era titolare di impresa o titolare di ente, né si occupava di smaltimento, trasporto o gestione di rifiuti, in quanto svolgeva l’attività di fornaio.
L’imputato, quindi, era stato chiamato a rispondere della condotta contestata quale semplice privato e non quale titolare di impresa o titolare di un ente.
La difesa aveva eccepito che l’abbandono dei rifiuti in questione in quel terreno, a seguito del ribaltamento del rimorchio, non costituiva comunque reato ma illecito amministrativo ai sensi dell’art. 255 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, poiché l’imputato non aveva appunto la qualità personale richiesta dall’art. 256, comma 2.
Il giudice ha riconosciuto che effettivamente l’imputato non era un titolare di impresa (nemmeno di demolizione) e non esercitava una attività imprenditoriale e che quindi la condotta di abbandono dei rifiuti (sul terreno) non integrava il reato di cui all’art. 256, comma 2.
Ha però ritenuto che l’imputato andasse dichiarato colpevole per la condotta (precedente e finalizzata all’abbandono) di trasporto dei detti rifiuti ai sensi dell’art. 256, comma 1, il quale non prevede un reato proprio potendo essere commesso da “chiunque”.
In sostanza il giudice ha ritenuto che il reato di trasporto abusivo di rifiuti, di cui all’art. 256, comma 1, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sia integrato anche nell’ipotesi in cui si tratti di un trasporto meramente occasionale, effettuato da un privato non titolare di impresa e non responsabile di un ente, che abbia ad oggetto solo rifiuti di sua proprietà destinati unicamente all’abbandono.
In altre parole, secondo il principio di diritto implicitamente applicato dalla sentenza impugnata senza ulteriori specificazioni, qualora un privato abbandoni (tanto per fare un esempio) un vecchio mobile o un elettrodomestico fuori del portone di casa, commetterebbe solo l’illecito amministrativo di cui all’art. 255, mentre qualora li abbandoni all’angolo della strada a qualche decina (o centinaia) di metri di distanza, commetterebbe, oltre all’illecito amministrativo, anche il reato di trasporto abusivo di rifiuti di cui all’art. 256, comma 1.
Si tratta di una interpretazione che attribuirebbe al sistema normativo delle conseguenze manifestamente illogiche (il che mostra anche la sua erroneità), se non altro perché in tale modo il sistema, così interpretato, attribuirebbe alla fase preparatoria (trasporto) del comportamento tenuto dal privato una gravità maggiore della fase finale e conclusiva (abbandono incontrollato).
In realtà, nel caso in esame, il giudice è giunto a questa conclusione con una motivazione, oltre che manifestamente illogica e contraddittoria, anche meramente apparente, e quindi mancante, in quanto non ha valutato se sussistevano due presupposti della decisione adottata: uno di fatto, relativo alla valutazione della natura della condotta addebitata all’imputato; ed uno di diritto, consistente nell’ambito di applicazione del reato ritenuto.
Sotto il primo profilo, invero, non risulta chiaro se alla condotta nella specie contestata e per la quale è intervenuta condanna, ossia il trasporto dei residui di demolizione, dovesse, nel caso in esame, attribuirsi, per una qualche ragione, natura diversa e rilevanza autonoma rispetto alla condotta finale e conclusiva di abbandono incontrollato ovvero se la stessa avesse natura meramente preparatoria della condotta di abbandono e come tale fosse priva di autonomo rilievo penale.
Sotto il secondo profilo, attribuita al trasporto finalizzato all’abbandono rilevanza autonoma, il giudice non ha poi spiegato perché esso nella specie integrerebbe il reato. Difatti è vero che la giurisprudenza di questa Corte, richiamata dalla sentenza impugnata, afferma che il reato di trasporto non autorizzato di rifiuti di cui all’art. 256, comma 1, si può configurare anche in presenza di una condotta occasionale, ma è anche vero che le massime citate si riferiscono tutte a soggetti che in realtà svolgevano una “attività di trasporto” (anche se non di rifiuti) o una attività di impresa nella quale erano stati prodotti i rifiuti trasportati o comunque a soggetti che avevano compiuto un trasporto per conto di terzi. In altri termini, sembra che in detti casi l’occasionalità sia stata ritenuta irrilevante proprio perché si trattava comunque di condotta tenuta nell’ambito di una “attività di trasporto”, e comunque non di un trasporto occasionale e finalizzato esclusivamente all’abbandono di un proprio rifiuto.
Questo Collegio è a conoscenza che dottrina e giurisprudenza sono discordi sulla questione se il reato di “attività di… trasporto… di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione” di cui all’art. 256, comma 1, costituisca o meno un reato proprio, che possa essere commesso da chiunque ovvero solo dai soggetti in favore quali, in forza dell’art. 212, può essere effettuata la relativa iscrizione nell’albo.
Ritiene però che in questa sede non debba essere affrontata tale questione perché, quale che sia la sua corretta soluzione, deve ritenersi che il reato non sia comunque integrato dalla condotta di un soggetto privato (che non agisca nell’ambito di una attività di impresa) il quale abbandoni occasionalmente in modo incontrollato un proprio rifiuto e che, a questo scopo, lo porti nel luogo dove poi lo abbandonerà. Ciò perché, a prescindere della natura del trasporto richiesta dalla norma incriminatrice, deve ritenersi che in una tale fattispecie ciò che rilevi è solo la condotta principale e finale costituita dall’abbandono del rifiuto, mentre il suo trasporto sul luogo di abbandono costituisce solo una fase preliminare e preparatoria che non acquista autonomo rilievo sotto il profilo penale, rimanendo appunto assorbita nella condotta di abbandono. Quindi, se l’abbandono incontrollato del rifiuto venga commesso da un soggetto non titolare di una impresa e non responsabile di un ente e pertanto costituisca illecito amministrativo punito ai sensi dell’art. 255, il trasporto del rifiuto stesso per abbandonarlo in quel luogo rientrerà nella condotta punita dalla sanzione amministrativa e non integrerà un autonomo e distinto reato di trasporto di rifiuti senza iscrizione o autorizzazione.
Questa soluzione, invero, corrisponde non solo ad una esegesi adeguatrice (in riferimento soprattutto al principio costituzionale di ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost., stante la manifesta irragionevolezza, come dianzi rilevato, della soluzione contraria, che considera più grave la fase preparatoria rispetto a quella finale) ma anche ad una interpretazione sia letterale della disposizione (che parla di “attività di trasporto”) sia sistematica, che tenga conto della ratio del sistema punitivo. Altrimenti, si dovrebbe, ad esempio, ritenere razionale un sistema che per una ipotesi di detenzione di sostanza stupefacente finalizzata allo spaccio, punisse lo spaccio con una sanzione amministrativa e punisse altresì in modo autonomo anche la detenzione con una sanzione penale.
Va dunque affermato il principio che il soggetto privato, non titolare di una impresa e non titolare di un ente, che abbandoni in modo incontrollato un proprio rifiuto, e che a tal fine lo trasporti occasionalmente nel luogo ove lo stesso verrà abbandonato, risponderà solo dell’illecito amministrativo di cui all’art. 255 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per l’abbandono e non anche del reato di trasporto abusivo di cui all’art. 256, comma 1, in quanto la condotta di trasporto si esaurisce nella fase meramente preparatoria e preliminare rispetto alla condotta finale e principale di abbandono, e non assume autonoma rilevanza ai fini penali.
Nel caso di specie il giudice ha erroneamente seguito un diverso principio di diritto attribuendo autonoma valenza penale a qualsiasi condotta di trasporto di rifiuti, anche compiuta da un privato, anche meramente occasionale, ed anche meramente preparatoria e unicamente finalizzata all’abbandono. Di conseguenza, ha omesso di esaminare e valutare se nel caso in esame la concreta condotta tenuta dall’imputato avesse effettivamente una propria autonoma finalità ovvero si inserisse in un’unica condotta finale di abbandono come una fase meramente preparatoria e preliminare.
Ciò impone che la sentenza impugnata debba essere annullata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Treviso, che si uniformerà al principio di diritto dianzi enunciato, restando assorbito il secondo motivo di ricorso.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Treviso.

 

Esposito Anna Pia

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