Contratto di appalto, la clausola di gradimento

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Nei contratti di appalto di servizi  a volte viene inserita la cosiddetta clausola di gradimento del committente.

In simili casi si affidano a terzi attività che in precedenza svolgeva l’azienda.

L’appaltatore assumerà del personale che verrà adibito all’appalto.

In che cosa consiste il contratto di appalto

Nella nostra epoca le aziende tendono a rivolgere la loro concentrazione in modo esclusivo su quello che sanno fare e che costituisce il loro core business, affidando le altre attività accessorie nelle mani di altri soggetti imprenditoriali.

Ad esempio:

Siamo in presenza di una società che produce componenti elettriche e ha 1000 dipendenti.

L’attività core della società è rappresentata dalla produzione e commercializzazione delle componenti elettriche prodotte e ala stessa decide di affidare a un’altra società specializzata nella ristorazione collettiva, la gestione della mensa aziendale e a una società cooperativa di pulizie, la pulizia dei locali.

La prima società, individua una società di vigilanza, il partner ideale per la vigilanza in azienda e la gestione della portineria.

In simili casi si verrà a creare una situazione per la quale, nello spazio aziendale, lavorano dipendenti di datori di lavoro diversi.

Lo strumento giuridico che di solito viene utilizzato per regolare i rapporti tra il soggetto che affida il servizio, detto committente, e il soggetto che si assume l’obbligo di svolgere quel servizio, detto appaltatore, è l’appalto di servizi.

L’articolo 1455 del codice civile, rubricato “Nozione”, recita:

L’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.

Ritornando all’esempio sopra scritto, la relativa società si impegna a gestire la mensa dietro corrispettivo di una determinata somma di denaro e assume questo obbligo con una sua organizzazione imprenditoriale.

La stessa società si occuperà di assumere il personale necessario, gestire la manodopera, ordinare i beni necessari a produrre i pasti.

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Il contenzioso su appalti e contratti pubblici

Il testo intende fornire un quadro completo di tutti i rimedi, giurisdizionali e non, alle controversie nascenti in materia di appalti pubblici, sia nel corso di svolgimento della procedura di gara e fino all’aggiudicazione, sia nella successiva fase di esecuzione del contratto di appalto. In primis, dopo un excursus sull’evoluzione degli ultimi anni, utile a comprenderne pienamente la ratio, viene affrontato approfonditamente il rito processuale speciale, disciplinato dal Libro IV, Titolo V del Codice del processo amministrativo, con particolare attenzione alla fase cautelare. Vi è poi un focus sul rito “super accelerato”, da ultimo dichiarato conforme alle direttive europee da una pronuncia della Corte di Giustizia Europea del 14 febbraio 2019.Alle controversie sorte in fase di esecuzione dei contratti di appalto è dedicato uno specifico capitolo, che rassegna le principali pronunce del Giudice Ordinario con riferimento alle patologie più frequenti (ritardi nell’esecuzione, varianti, riserve).Infine, quanto alla tutela stragiudiziale, il testo tratta i rimedi previsti dal Codice dei Contratti Pubblici, quali l’accordo bonario, la transazione e l’arbitrato e infine approfondisce il ruolo dell’ANAC, declinato attraverso i pareri di precontenzioso, i poteri di impugnazione diretta, e l’attività di vigilanza.Più schematicamente, i principali argomenti affrontati sono:• il rito speciale dinanzi a TAR e Consiglio di Stato, delineato dagli artt. 119 e 120 del Codice del processo amministrativo;• il processo cautelare;• il rito super accelerato ex art. 120 comma 2 bis;• il contenzioso nascente dalla fase di esecuzione del contratto di appalto;• i sistemi di risoluzione alternativa delle controversie: accordo bonario, transazione, arbitrato;• poteri e strumenti di risoluzione stragiudiziale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.Elio Guarnaccia, Avvocato amministrativista del Foro di Catania, Cassazionista. Si occupa tra l’altro di consulenza, contenzioso e procedure arbitrali nel settore degli appalti e dei contratti pubblici. È commissario di gara nelle procedure di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in qualità di esperto giuridico selezionato da UREGA Sicilia e dall’ANAC.È autore di numerosi saggi e articoli nei campi del diritto amministrativo e del diritto dell’informatica, nonché di diverse monografie in materia di appalti pubblici, processo amministrativo, amministrazione digitale. Nelle materie di propria competenza ha sviluppato un’intensa attività didattica e di formazione per pubbliche amministrazioni e imprese. In ambito universitario, ha all’attivo vari incarichi di docenza nella specifica materia degli appalti pubblici.

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La scelta dei dipendenti nel contratto di appalto

Una delle principali caratteristiche del contratto di appalto è rappresentata dall’autonomia imprenditoriale dell’appaltatore, il quale non si deve limitare a fornire manodopera al committente ma, al contrario, deve gestire il servizio in autonomia, attenendosi in modo esclusivo agli obiettivi fissati dal committente nel contratto di appalto stesso.

Da questo deriva che la gestione del personale da adibire a quello specifico appalto spetta all’appaltatore e non ci può essere nessuna ingerenza del committente nelle scelte organizzative dello stesso.

Se il committente dovesse gestire il personale dell’appaltatore, ci si troverebbe davanti a un appalto cosiddetto non genuino, vale a dire, davanti a un’ ipotesi nella quale l’appaltatore non è un vero imprenditore che gestisce il servizio in autonomia ma è un semplice intermediario tra il dipendente e chi lo utilizza, vale a dire, il committente.

L’appalto non genuino è illegittimo perché si traduce in una somministrazione illecita di manodopera dall’appaltatore al committente.

In Italia un’attività di somministrazione della manodopera può essere svolta in modo legittimo esclusivamente dalle cosiddette Agenzie del lavoro, vale a dire delle imprese iscritte in un apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro (Artt. 4 e 5, D. Lgs. n. 276/2003).

Le conseguenze dell’appalto non genuino sono rilevanti.

In simili circostanze, i dipendenti dell’appaltatore possono chiedere di essere riconosciuti come dipendenti del committente a favore del quale, di fatto, lavorano.

Questo farebbe in modo che il committente vede rientrare dalla finestra quello che voleva fare uscire dalla porta, ha affidato alla società esterna il servizio accessorio ma si ritrova i dipendenti  a suo carico.

L’appaltatore dovrà assumere e licenziare i dipendenti e scegliere chi inviare in un appalto e non in un altro, nell’ambito della sua piena autonomia imprenditoriale.

La clausola di gradimento nel contratto di appalto

La gestione del personale dell’appaltatore non può essere svolta né in modo diretto né in modo indiretto dal committente.

A questo punto ci si chiede che cosa succederebbe se l’appaltatore dovesse decidere di adibire a quel servizio una persona sgradita al committente.

In questo caso il tema non è relativo alla volontà del committente di “immischiarsi” nella gestione del personale e sottrarre autonomia all’appaltatore.

Il tema è relativo agli standard dei servizi che il committente esige di ricevere e che, può succedere, non possono essere garantiti da determinati dipendenti.

La giurisprudenza è concorde nel ritenere legittima la clausola attraverso la quale il committente si riserva la facoltà di comunicare all’appaltatore il non gradimento nei confronti di un determinato dipendente dell’appaltatore addetto all’appalto.

In simili casi l’appaltatore, in esecuzione della clausola di gradimento, deve spostare il dipendente in un altro appalto, perché in caso contrario commetterebbe un inadempimento contrattuale nei confronti del committente.

La Clausola di gradimento e il licenziamento

La questione si complica quando l’appaltatore esegue subito la volontà espressa dal committente ed estromette il dipendente sgradito dall’appalto.

IN un momento successivo, non sapendo dove ricollocare il dipendente, lo licenzia.

Il licenziamento del dipendente sgradito al committente in una recente decisione del tribunale di Torino è stato considerato illegittimo (Trib. Torino, 4 marzo 2019).

Come riportano diverse fonti, nel caso esaminato dai giudici della città piemontese, una cooperativa di servizi aveva licenziato per giustificato motivo oggettivo un dipendente, addetto alle pulizie, perché il committente aveva comunicato per iscritto alla cooperativa appaltatrice, in esecuzione di una clausola contrattuale di gradimento acclusa al contratto di appalto, il non gradimento verso quel dipendente.

La cooperativa, verificata l’impossibilità di ricollocare il dipendente in un’altra posizione professionale, lo aveva licenziato per giustificato motivo oggettivo ritenendo che il fatto di non gradire il committente nei suoi confronti costituisca un motivo oggettivo di licenziamento.

Il lavoratore, da parte sua, aveva impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Torino.

La sua richiesta era che si accertasse l’illegittimità dello stesso e la manifesta insussistenza del motivo oggettivo posto alla base del recesso, con la conseguente condanna della società alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità pari all’ammontare delle retribuzioni che il dipendente avesse percepito se non fosse mai stato licenziato, dalla data del recesso sino alla data di effettiva reintegrazione, oltre al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

 

 

Dott.ssa Concas Alessandra

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