Separazione e divorzio, il coniuge che non è d’accordo si può opporre?

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La separazione e il divorzio non sempre sono sempre una strada scelta dai coniugi di comune accordo o con la reciproca consapevolezza che non ci sono più margini per una riappacificazione.

A volte uno dei due subisce la scelta dell’altro di interrompere il matrimonio nonostante non abbia nessuna colpa e senza avere mai violato i doveri del matrimonio. In questi casi qualcuno si potrebbe chiedere se sia possibile opporsi al divorzio. La risposta è diversa a seconda che l’opposizione sia relativa alla scelta di separarsi o di divorziare.

Se la convivenza è diventata “intollerabile”, ognuno dei due coniugi può chiedere al giudice di pronunciare la separazione. L’intollerabilità non è sempre sinonimo di un clima conflittuale tra i due coniugi ma anche una situazione di disaffezione e di incapacità a vivere sotto lo stesso tetto con la stessa persona. Le cause che possono giustificare una richiesta di separazione non devono essere sempre “oggettive” ed essere comuni a entrambi i coniugi, possono anche essere “soggettive” ed essere relative alla sfera personale e affettiva di uno dei due.

Al fine di ottenere la separazione, uno dei due coniugi può andare dal giudice e dire “mi voglio separare perché non riesco più a vivere con lui/lei”. Se le motivazioni dovessero trovare fondamento in una colpa altrui, cioè  in una violazione dei tre doveri fondamentali del matrimonio ( fedeltà, obbligo di convivenza, assistenza morale e materiale) si avrà una separazione con addebito e il coniuge colpevole non potrà ricevere l’assegno di mantenimento.

Separazione consensuale e giudiziale

Ci si può separare in due modi, attraverso la cosiddetta separazione consensuale, con la quale i coniugi firmano un accordo e lo portano al giudice che lo ratifica. La stessa procedura però può essere presentata anche in Comune o formalizzata dagli avvocati con la negoziazione assistita. Da questo momento decorrono sei mesi per potere divorziare.

Attraverso la separazione giudiziale, i coniugi non raggiungono l’accordo e si faranno causa davanti al giudice, ciascuno per sostenere e difendere i propri diritti. Se un coniuge non firma le carte della separazione ha, come unico risultato quello di impedire la separazione consensuale, ma l’altro potrà sempre agire con la separazione giudiziale, anche contro il suo consenso. Il giudice dichiarerà lo stesso la separazione, nonostante l’opposizione di uno dei due coniugi.

La condizione per la separazione è l’intollerabilità della convivenza, ma questa situazione deve essere relativa a uno dei coniugi, e costui ha diritto di rivolgersi al tribunale per chiedere la separazione nonostante l’altro non voglia firmare un accordo e procedere con la separazione consensuale.

Si avrà una richiesta di separazione giudiziale, e il giudice non può negare la separazione se uno dei due si vuole separare e l’altro no, con la conseguenza che il processo andrà avanti anche senza la parte che ha rifiutato l’accordo, alla quale è sempre data la possibilità di costituirsi e difendersi in qualsiasi momento del giudizio, anche se è iniziato.

Non ha senso opporsi alla domanda di separazione, perché questo comportamento non ostacola il normale svolgimento del processo e c’è anche il rischio di essere condannati alle spese processuali. Con o senza l’altrui collaborazione, la separazione verrà pronunciata lo stesso.

Resta sempre la possibilità di fare marcia indietro, una separazione iniziata come giudiziale si  può trasformarsi in consensuale, interrompendo la causa e procedendo alla stipula di un accordo.

Quando il divorzio?

Se la separazione viene concessa sulla base di una valutazione soggettiva di uno dei due coniugi, o di entrambi, per il divorzio è necessario accertare il ricorrere di una condizione oggettiva, il decorso di un termine prestabilito dalla separazione senza che, nel frattempo, i coniugi si siano riconciliati. In particolare il divorzio può essere richiesto se in caso di separazione consensuale, sono passati sei mesi dalla convalida dell’accordo dei coniugi, se in caso di separazione giudiziale, è passato un anno dalla prima udienza presidenziale che ha deciso i provvedimenti provvisori in attesa della sentenza definitiva.

A differenza di quello che avviene con la separazione, nel caso di divorzio diventa necessaria una verifica effettiva della sussistenza delle condizioni richieste dalla legge, il decorso dei predetti termini, senza le quali il giudice non può dichiarare definitivamente cessato il matrimonio. Se c’è stata una riconciliazione che ha interrotto  questi termini, è possibile opporsi al divorzio.

La riconciliazione può avere luogo durante la causa di separazione, può risultare dal verbale di riconciliazione oppure se non è indicata nel verbale si deduce dall’estinzione del procedimento per mancato compimento delle attività processuali, oppure dopo l’emanazione della sentenza di separazione, o dopo l’omologazione dell’accordo di separazione.

Riconciliazione tacita o espressa

La riconciliazione può essere di due tipi:

Tacita,  con un comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione (ad esempio  due coniugi che ritornano a vivere sotto lo stesso tetto e intrattengono rapporti affettivi). Per accertare l’avvenuta riconciliazione i coniugi devono avere tenuto un comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione. Si deve dare importanza agli atti, ai gesti e ai comportamenti dei coniugi, valutati nella loro capacità di dimostrare la disponibilità a riprendere la convivenza e a costituire una rinnovata comunione.

Espressa, dichiarando in un accordo scritto di volere riprendere la normale vita matrimoniale e ripristinare i doveri che ne derivano.

Ai fini della riconciliazione tacita è necessaria una ripresa concreta e durevole della convivenza coniugale e della comunione spirituale e materiale tra i coniugi. Non basta una temporanea ripresa della coabitazione, per “fare un tentativo”, o un ripristino delle relazioni. Non rilevano neanche i saltuari ritorni del marito nella casa dove vive la moglie o la ripresa sperimentale della convivenza. Anche i saltuari rapporti sessuali e, addirittura la nascita di un figlio, sono insufficienti.

Si deve ricostituire l’unione coniugale e all’accordo deve conseguire il ripristino di fatto della vita familiare.

Se si è verificata la riconciliazione è possibile opporsi al divorzio. Si potrà fare anche nella causa, dando prova degli elementi esteriori, oggettivi e diretti inequivocabilmente alla seria e comune volontà di ripristinare la comunione di vita.

La riconciliazione comporta l’interruzione del termine entro il quale è possibile divorziare,  richiesto a partire dalla separazione, e la stessa ripristina la comunione tra i coniugi.

Se la riconciliazione fallisce, le parti non si possono valere della precedente sentenza di separazione per divorziare ma devono riproporre la causa di separazione. In questa il giudice non è tenuto a riconfermare le condizioni economiche e personali decise in precedenza e potrebbe cambiare la misura dell’assegno di mantenimento. Il tribunale dovrà riesaminare la questione.

Dott.ssa Concas Alessandra

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