Le organizzazioni senza scopo di lucro, definizione e caratteri

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Un’organizzazione non a scopo di lucro può anche essere indicata con l’espressione mutuata dell’inglese organizzazione non profit, che può essere abbreviata in non profit sottintendendo il termine organizzazione.

A differenza dell’inglese, del francese e dello spagnolo, in lingua italiana non esiste una sigla di utilizzo comune.

Etimologicamente, l’espressione deriva dal termine latino lucrum, in uso dal tardo XIV secolo, mentre l’espressione inglese profit, in uso fin dall’inizio del XIV secolo, è l’adattamento del francese antico prufit, in utilizzo sin dalla metà del XII secolo, che a sua volta proviene dal verbo latino proficere.

La nozione è cominciata a delinearsi nella seconda metà del XX secolo, principalmente nei paesi economicamente più progrediti, insieme ad una notabilmente accresciuta attenzione sociale per le attività di solidarietà, favorita sia dal miglioramento delle condizioni economiche generali (e, per riflesso, individuali), sia dalla diffusione dell’informazione, che ha agevolato la conoscenza di particolari situazioni di disagio, bisogno, sofferenza di natura economica, sanitaria, sociale, politica o di altri tipi di contingenze anche a distanza.

Parallelamente, una percezione di inadeguatezza dei sistemi di solidarietà sociale provveduti dai grandi stati nazionali o il riscontro dell’assenza (o dell’impraticabilità) di strumenti di assistenza e solidarietà in paesi meno fortunati, ha indotto molti, in forma per lo più volontaristica, a perseguire operativamente obiettivi di soluzione (o più spesso, realisticamente, di attenuazione) di situazioni di bisogno di altri individui o categorie o gruppi sociali (diversi in genere dal proprio).

Quello che ha dato luogo allo spontaneo e copioso proliferare di organizzazioni di natura originariamente privata che in genere perseguono obiettivi di solidarietà rivolti quando in patria a soddisfare bisogni di estrema specialità  o quando all’estero al soddisfacimento di fabbisogni primari.

La rilevanza del fenomeno, la quale crescita è stata accelerata dall’attenzione prestata dagli organi di informazione, ha in breve tempo raggiunto proporzioni tali da costituire una realtà della quale anche gli ordinamenti giuridici hanno presto dovuto prender atto, anche per potere consentire agevolazioni di natura fiscale a simili attività.

La sotto posizione di organizzazioni non profit a regimi fiscali blandi, con ampie opportunità di esenzione, è vista con favore dall’opinione pubblica in ragione del solitamente elevato contenuto etico degli obiettivi perseguiti, quantunque un simile consenso sia nettamente inferiore per il caso di organizzazioni perseguenti obiettivi a più marcata impronta giuridico-politica.

In diritto, la questione affrontata dalla dottrina si è fondamentalmente incentrato sulla corretta definizione dell’ente non profit.

Rispetto al tradizionale concetto di assenza di fini di lucro, in rodato utilizzo ad esempio per alcune persone giuridiche come la società cooperativa o l’associazione (casi nei quali residua, legittimamente, un almeno indiretto interesse personale dei soci o comunque dei sodali), la locuzione sottintende (nell’accezione più comune in Italia) che l’organizzazione abbia finalità vocatamente solidaristiche, che non vi sia distribuzione di utili ai soci, che anzi qualsiasi utilità prodotta (anche nella forma di beni o servizi) sia destinata con carattere di esclusività in favore di terzi, e che non svolga attività commerciali se non limitatamente ad azioni meramente strumentali al conseguimento degli scopi sociali.

Rientrano propriamente nella categoria “non profit” quelle organizzazioni cui sia applicabile la recente disciplina riservata alle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), ma anche quelle che, sia pure in progetto o in corso di formazione o di consolidamento, potrebbero una volta a regime presentare caratteristiche affini.

La previsione normativa potrebbe non essere esaustiva di tutte le possibili configurazioni organizzative che avrebbero titolo ad essere definite come non profit, stante la vastità della gamma dei loro possibili obiettivi.

Gli enti che compongono il mondo del non profit si differenziano sostanzialmente nella loro struttura, distinguendosi per tipologia e status giuridico. In particolare, fino ad ora la legislazione italiana ha disciplinato cinque differenti tipi di organizzazioni private che operano senza fini economici con finalità solidaristiche:

le organizzazioni non governative, le organizzazioni di volontariato, le cooperative sociali, le fondazioni ex bancarie e le associazioni di promozione sociale.

Secondo gli articoli  2 e 3 della legge 266, per organizzazioni di volontariato si intende “ogni organismo liberamente costituito” che si avvale dell’attività di volontariato che “deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”.

Questa dimensione organizzata si configura a partire dagli anni settanta, ma la sua importanza è cresciuta in modo particolare durante quest’ultimo decennio, se guardiamo all’anzianità delle organizzazioni di volontariato presenti sul territorio, possiamo vedere come la maggior parte sia di recente costituzione.

Accanto a questa crescente rilevanza, si è assistito nel tempo anche ad una maturazione delle organizzazioni stesse. Esempio di tale evoluzione sono i profili dei servizi forniti: accanto a quelli di più classica valenza assistenziale, si affiancano oggi pratiche di prevenzione e promozione sociale, con l’obbiettivo non solo di curare il “sintomo” ma anche di eliminare le cause che producono emarginazione e degrado degli individui.

Le associazioni di promozione sociale possono essere definite quelle organizzazioni in cui individui si associano per perseguire un fine comune non di natura commerciale. La loro valenza “sociale” deriva dal fatto che esse non sono assimilabili a quelle associazioni che hanno come finalità la tutela esclusiva di interessi economici dei membri (come ad esempio avviene per associazioni sindacali, di partito o di categoria).

Le caratteristiche e il ruolo svolto dalle associazioni di promozione sociale sono molto vicine a quelle delle organizzazioni di volontariato, le differenze risiedono nella possibilità di remunerare i propri soci e nella valenza mutualistica dei servizi, anche se è indubbio che oggi le associazioni non si limitino solamente alla mera soddisfazione degli interessi e dei bisogni degli associati, ma abbiano sviluppato una forte apertura al sociale operando promozioni della partecipazione e della solidarietà attiva.

In Italia sono presentii 7.363 cooperative sociali, 4.345 di tipo A, 2.419 di tipo B, 315 di tipo misto, e i consorzi.

Esse possono essere definite “cooperative aventi come scopo il perseguimento generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini”.

Esistono quattro tipologie di cooperative:

le cooperative di tipo A che svolgono attività finalizzate all’offerta di servizi socio-sanitari ed educativi, le cooperative di tipo B che forniscono attività di inserimento lavorativo di persone svantaggiate, le cooperative di tipo misto che svolgono attività tipiche delle cooperative di tipo A, sia di tipo B e i consorzi sociali, società cooperative aventi la base sociale formata in misura non inferiore al settanta per cento da cooperative sociali.

All’origine di questa forma organizzativa vi è la convinzione che l’attività solidaristica si possa realizzare anche attraverso la forma di un’impresa economica, coniugando interesse privato e rilievo collettivo. 

Dott.ssa Concas Alessandra

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