GdP Verona, sent. 2126/2014 del 22.10.2014 in tema di notificazioni a mezzo del servizio postale.

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Il caso affrontato dal Giudice Scaligero (GdP Verona, sent. 2126/2014 del 22.10.2014) è il seguente: un tale s’era visto recapitare a casa una CAN con la seguente dicitura: “è stata effettuata la consegna della raccomandata … a familiare convivente”, senza l’indicazione del nominativo del consegnatario.

Stante a quanto esposto al Giudice, egli, pertanto, non era stato in grado di individuare la persona che fisicamente aveva appreso il piego postale a lui destinato, né questo gli era stato messo a disposizione.

Successivamente, era pervenuta una cartella di pagamento che aveva consentito alla persona di apprendere come la CAN si riferisse ad un verbale elevato a suo carico per violazione al Codice della Strada, pertanto avverso questa egli aveva poi proposto opposizione, lamentando la nullità della notifica del titolo soggiacente.

Come è noto, la disciplina della notifica postale è contenuta nella l. 890/1982, la quale, all’art. 7, prevede come regola generale che l’agente postale consegni il piego nelle mani proprie del destinatario, stabilendo, quindi, che, allorché ciò non possa avvenire, il piego sia consegnato, “nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, a persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con lui ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario, purché il consegnatario non sia persona manifestamente affetta da malattia mentale o abbia età inferiore a quattordici anni”.

Il co. 4 dell’articolo in esame, poi, dispone che tanto sull’avviso di ricevimento, quanto sul registro di consegna, alla firma di colui che riceve in luogo del destinatario il piego postale debba essere aggiunta la “qualità rivestita dal consegnatario, con l’aggiunta, se trattasi di familiare, dell’indicazione di convivente anche se temporaneo”.

La stessa previsione in commento, al co. 6, stabilisce che, “se il piego non viene consegnato personalmente al destinatario dell’atto, l’agente postale dà notizia al destinatario medesimo dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata”.

Quest’ultima disposizione è stata aggiunta dall’art 36 co. 2-quater della l. 31/2008, di conversione del d.l. 248/2007, ed appare chiaro come l’intendimento del Legislatore fosse quello di assicurare l’effettiva conoscenza da parte del destinatario dell’atto oggetto della notifica medesima.

Muovendo da tali premesse, appare chiaro come la riforma di cui si discorre sia chiaramente finalizzata ad assicurare che la persona cui sia rivolta una notifica possa essere posta nell’effettiva e concreta possibilità di conoscere dell’esistenza del processo di notifica e di reclamare, così, la consegna dello stesso da parte del prenditore del piego.

Risulta evidente, quindi, come il fine perseguito dall’intervento legislativo in parola sia quello di consentire a colui che sia destinatario d’un atto di richiedere al familiare o convivente che materialmente abbia ricevuto il plico postale che contiene lo stesso di consegnarglielo.

Il Giudice di Pace Veronese recepisce l’osservazione sollevata dal ricorrente secondo cui la regola prevista al co. 6 della disposizione de qua vada necessariamente coordinata con quella contenuta al co. 4, ove viene previsto che sia necessario registrare quale sia la qualità del prenditore del plico.

In sostanza, risulta come non sia possibile un esame a compartimenti stagni delle diverse articolazioni dell’unica fonte normativa, dovendosi, invece, privilegiare un approccio ermeneutico di tipo sostanziale, volto a recuperare il senso dell’intervento legislativo ed a comprendere la volontà del Legislatore, così come imposto, del resto, dall’art. 12 delle preleggi, ove è stabilito che tale elemento debba essere tenuto in cale, allorché l’interprete intende dare un significato ad un testo normativo.

Laddove la legge impone all’Agente postale di trascrivere nel proprio registro gli elementi atti ad identificare il prenditore, e gli comanda, poi, di rendere edotto il destinatario dell’intervenuta interposizione di tale soggetto terzo, appare palese come pretenda da quegli la trasmissione al destinatario delle informazioni raccolte.

Del resto, diversamente non si spiegherebbe il senso della disciplina che impone da parte del postino la registrazione di quel complesso di dati, poiché, laddove questi non fossero destinati ad alcun impiego, l’obbligo alla loro raccolta si tradurrebbe nell’imposizione di un’attività del tutto inutile.

Tale scelta di pretendere da parte dell’Agente della posta una simile attività di raccolta e trascrizione di informazioni, infatti, laddove queste non siano destinate al trasferimento al destinatario della notifica, risulterebbe carente di qualsiasi giustificazione e darebbe luogo ad un disfunzionale aggravio di attività.

In sostanza, perciò, non è legittima un’opzione interpretativa che pretenda di dare luogo ad uno scollamento tra le previsioni dei due sintagmi dell’unica fonte normativa, essendo, al contrario, necessario cogliere il significato autentico dell’intervento legislativo: vale la regola fondamentale sapientemente espressa dal noto brocardo “scire leges non est verba earum tenere sed vim ac potestatem”.

Salvo, dunque – impiegando le parole del ricorso – a ridurre la CAN “ad un mero bizantinismo fine a se stesso, uno sterile formalismo privo di significato”, risulta necessario che la stessa rechi le indicazioni che realmente pongano il destinatario della notifica nelle condizioni di poter individuare il prenditore del piego e di richiederglielo, e queste sono esattamente quelle che il Legislatore ordina all’Agente postale di trascrivere nel proprio registro.

Non è soltanto la logica, quindi, ad imporre di escludere che una descrizione del tutto generica e soltanto apparente dell’intervenuta consegna ad altri possa dirsi rispettosa del precetto legislativo, ma, altresì, lo stesso testo della legge, il quale esplicitamente individua l’imprescindibile complesso di informazioni la cui trasmissione al destinatario assicura l’effettività della notifica.

Una CAN può, perciò, considerarsi aderente al disposto normativo, solamente laddove contenga con precisione l’identificazione di colui che materialmente ricevette il piego postale, la quale prevede pure l’espressa descrizione della qualità del consegnatario e, nel caso in cui quegli sia familiare, dell’indicazione di convivente, ancorché, magari, soltanto temporaneo.

A nulla vale, poi, il rilievo per cui il destinatario della notifica, allorché riceva una CAN fondamentalmente in bianco, possa comunque ricercare e procurarsi le informazioni in questione, richiedendo l’accesso ai registri dell’agente postale, giacché ciò non soltanto legittimerebbe un’inaccettabile lettura parziale e surrettizia del dato normativo, ma si tradurrebbe in un illegittimo aggravamento della posizione del notificato, al quale verrebbe imposto un pesante onere, per di più, invero, facilmente evitabile con il semplice impiego delle informazioni che il legislatore comanda di raccogliere.

Si fronteggiano, dunque, due soluzioni ermeneutiche, una delle quali prevede che l’Agente postale raccolga delle informazioni e le utilizzi nella missiva che è obbligato ad inviare, l’altra, invece, stabilisce che costui raccolga dei dati ed invii una lettera senza servirsene, essendo, poi, concesso al destinatario di intraprendere iniziative volte a risalire a quelle nozioni.

Da un lato, infatti, è un’interpretazione non già estensiva o sistematica, ma semplicemente “completa” della legge che consente di comprendere come il destinatario della notifica goda del diritto di essere debitamente informato sull’andamento del procedimento stesso. Dall’altro, poi, un’ipotesi di interpretazione diversa che transiti per l’imposizione in capo al destinatario della notifica dell’onere di impegnarsi in faticose attività di ricerca delle informazioni di cui abbisogna onde avere contezza di quanto accaduto si scontra col buon senso, prima ancora che con i principi giuridici della ragionevolezza e dell’efficienza del sistema.

Appare, perciò, inaccettabile un’opzione interpretativa diversa da quella per cui l’Agente postale, laddove è chiaramente obbligato a raccogliere delle informazioni, dal momento che è gravato del dovere di dare comunicazione al destinatario della notifica delle modalità con cui s’è svolta la consegna del piego, sia altresì tenuto nell’adempimento di tale dovere ad impiegare i dati che ha trascritto.

La norma per cui la CAN debba contenere la descrizione degli elementi che la l. 890/1982 descrive al co. 4 dell’art. 7 non viene ricavata mediante un’operazione di dilatazione delle maglie che compongono il testo della previsione di legge, ma risulta immanente al testo medesimo, cioè ad essa consustanziale.

Si coglie nel testo del provvedimento in esame una netta adesione ad un approccio ermeneutico di tipo pragmatico, contrario ad una lettura formalistica dei precetti normativi e finalizzato a cogliere lo scopo della previsione.

Nel caso di specie condotto alla cognizione del Giudicante, dunque, la dicitura che compariva nelle comunicazione inviata dall’Agente postale mancava del tutto indicare chi fosse la persona cui il postino aveva materialmente consegnato il piego, con conseguente illegittimità della comunicazione e derivante nullità della notifica.

Si tratta, dunque, d’una sentenza che, intervenendo in un ambito comune alle più svariate branche del diritto, potrà prestarsi a molteplici impieghi, offrendo un valido aiuto per ottenere, per esempio, una rimessione in termini, oppure, come nel caso, l’annullamento d’una sanzione amministrativa per intervenuta prescrizione.

Avv. Lorusso Alberto

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