Cassazione: colpevole di dichiarazione fraudolenta mediante artifici l’imprenditore che ‘gonfia’ gli stipendi

Redazione 10/09/13
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Lucia Nacciarone

 

Con la sentenza n. 36900 del 9 settembre 2013 la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna per dichiarazione fraudolenta mediante fatture a carico di un imprenditore, reo di aver gonfiato il costo degli stipendi dei dipendenti.

La ricostruzione dei giudici di merito non è stata condivisa dalla Corte di legittimità. I primi hanno individuato che la differenza tra l’importo indicato in busta paga e quello inferiore effettivamente corrisposto determinasse una fittizia indicazione di voci passive ed una decurtazione della base imponibile, con conseguente evasione IVA per la somma indicata nel capo di imputazione; di conseguenza, ad avviso della Corte territoriale, le buste paga indicanti la corresponsione al dipendente di compensi superiori a quelli effettivamente versati sarebbero stati documenti attestanti operazioni parzialmente inesistenti.

I giudici di legittimità hanno invece interpretato diversamente la condotta dell’imputato e, dal momento che le operazioni sono parzialmente esistenti, il fatto è inquadrabile nel reato di frode fiscale con artifici ex art. 3 del d.lgs. 74 del 2000.

Inoltre, continuano gli ermellini, la Corte di merito non aveva specificato in cosa consisterebbero i raggiri ed i mezzi fraudolenti adoperati dell’imputato per ostacolare l’accertamento della falsa operazione indicata nella busta paga e trasfusa nella dichiarazione, limitandosi ad affermare la parziale inesistenza delle operazioni.

Perciò la diversa qualificazione giuridica del fatto in termini di frode fiscale con artifici, piuttosto che dichiarazione fraudolenta mediante fatture false.

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