Vizio della sentenza dichiarativa di prescrizione nel procedimento in assenza dell’imputato

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È viziata la sentenza di merito, dichiarativa della prescrizione del reato, adottata nonostante si sia proceduto in assenza dell’imputato e in mancanza delle condizioni di cui all’art. 420-bis c.p.p.

Per approfondimenti si consiglia: Dibattimento nel processo penale dopo la Riforma Cartabia

Indice

Corte di Cassazione – Sez. I Pen. – Sent. n. 39097 del 26/09/2023

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1. La questione

La Corte d’Appello di Perugia, in riforma di una pronunzia di primo grado del Tribunale di Perugia, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere il reato di cui all’art. 76 comma 3 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 ascrittogli (per avere violato il divieto di fare ritorno nel comune di Perugia impostogli con foglio di via obbligatorio emesso e notificatogli il 17 febbraio 2017, venendo nuovamente sorpreso nel territorio del medesimo capoluogo già il successivo 2 marzo 2017) estinto per intervenuta prescrizione.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen, in relazione agli artt. 178 e ss., 420-bis cod. proc. pen. ed in correlazione agli artt. 2 e 76 comma 3 d.lgs. n. 159 del 2011, lamentando inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato fondato.
In particolare, gli Ermellini, dopo avere effettuato un richiamo al diritto vivente atteso che quanto enunciato in sede giurisprudenziale costituisce il precipitato di una complessa evoluzione del sistema processuale italiano, passato dalla regolamentazione del processo in contumacia a quella del processo in assenza, attraverso un percorso graduale, inteso a un progressivo ampliamento delle garanzie dell’imputato che non abbia partecipato al processo, affrontavano la problematica del decorso del tempo e quindi della rilevanza, rispetto ad un processo affetto da nullità derivante dalla violazione delle norme di garanzia sul processo in assenza, della causa estintiva rappresentata dalla prescrizione, evidenziandosi a tal proposito come la questione attinente il rapporto tra causa estintiva e nullità anche assoluta sia stata ripetutamente oggetto di pronunce delle Sezioni unite.
Difatti, le Sez. U, nella decisione n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, statuì che, “qualora già risulti una causa di estinzione del reato, la sussistenza di una nullità di ordine generale non è rilevabile nel giudizio di legittimità, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice del merito è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva“.
Poco dopo, invece, sempre le Sez. U, ma nella pronuncia n. 17179 del 27/02/2002, ribadì che “il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall’art. 129 cod. proc. pen. impone che nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, sia data prevalenza alla prima, salvo che l’operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel qual caso assume rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio“.
A sua volta, in questo quadro, le Sez. U, nella sentenza n. 35490 del 28/05/2009, aveva riaffermato il principio per cui “in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (in motivazione, la S.C. ha affermato che detto principio trova applicazione anche in presenza di una nullità di ordine generale)” mentre successivamente le Sez. U, nella sentenza n. 28954 del 27/04/2017, aveva affermato che nell’ipotesi di sentenza d’appello pronunciata “de plano” in violazione del contradditorio tra le parti, che, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, abbia dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di Cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen..
Orbene, nel panorama così delineato, i giudici di piazza Cavour osservavano come fosse tuttavia recentemente intervenuta la sentenza n. 111 del 2022 della Corte costituzionale che, dopo aver analizzato il diritto vivente sedimentatosi a partire dalla decisione della Sezioni Unite di cui sopra, aveva ritenuto l’interpretazione così validata in contrasto con gli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.; era stato, così, dichiarato incostituzionale l’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., in quanto interpretato nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto dall’imputato avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.
La Corte Costituzionale, invero, aveva chiarito che la «nozione di “ragionevole” durata del processo (in particolare penale) è sempre il frutto di un bilanciamento delicato tra i molteplici – e tra loro confliggenti – interessi pubblici e privati coinvolti, in maniera da coniugare l’obiettivo di raggiungere il suo scopo naturale dell’accertamento del fatto e dell’eventuale ascrizione delle relative responsabilità, nel pieno rispetto delle garanzie della difesa, con l’esigenza, pur essenziale, di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo.
Sicché una violazione del principio della ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., può essere ravvisata soltanto allorché l’effetto di dilatazione dei tempi processuali, determinato da una specifica disciplina, non sia sorretto da alcuna logica esigenza e si riveli, quindi, privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 260 del 2020, n. 124 del 2019, n. 12 del 2016 e n. 159 del 2014), fermo restando che la sentenza n. 317 del 2009 aveva già precisato che il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie, in quanto ciò che rileva è esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale delineato proprio dall’art. 111 Cost..
In tale sentenza si è, quindi, affermato che una diversa soluzione introdurrebbe una contraddizione logica e giuridica all’interno dello stesso art. 111 Cost., che da una parte imporrebbe una piena tutela del principio del contraddittorio e dall’altra autorizzerebbe tutte le deroghe ritenute utili allo scopo di abbreviare la durata dei procedimenti. Un processo non “giusto”, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata. In realtà, non si tratterebbe di un vero bilanciamento, ma di un sacrificio puro e semplice, sia del diritto al contraddittorio sancito dal suddetto art. 111 Cost., sia del diritto di difesa, riconosciuto dall’art. 24, secondo comma, Cost.: diritti garantiti da norme costituzionali che entrambe risentono dell’effetto espansivo dell’art. 6 CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Questa Corte, d’altronde, aveva già da tempo sottolineato l’essenzialità che riveste il contraddittorio, anche ai fini dell’accertamento della causa estintiva del reato (sentenza n. 91 del 1992), nonché la rilevanza dell’interesse dell’imputato prosciolto per estinzione del reato a sottoporre la mancata applicazione delle formule più ampiamente liberatorie alla verifica di un giudice di merito, piuttosto che alla Corte di Cassazione.
Ebbene, a fronte di ciò, la Corte costituzionale aveva affermato che una sentenza di appello di proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione emessa de plano si pone al di fuori di un «giusto processo» ex art. 111 Cost.: la nullità assoluta che si realizza non è, pertanto, bilanciabile con le esigenze di ragionevole durata sottese all’operatività della disciplina della immediata declaratoria delle cause di non punibilità in rito di cui all’art. 129 cod. proc. pen., tenuto conto altresì dell’essenzialità del contraddittorio, anche ai fini dell’accertamento della causa estintiva del reato, nonché della rilevanza dell’interesse dell’imputato prosciolto per estinzione del reato a sottoporre la mancata applicazione delle formule più ampiamente liberatorie alla verifica di un giudice di merito, piuttosto che alla Corte di Cassazione.
La Corte costituzionale, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, aveva quindi affermato che la dichiarazione di estinzione del reato, adottata in assenza di un autentico contraddittorio, limita l’emersione di eventuali ragioni di proscioglimento nel merito e, di fatto, comprime la stessa facoltà dell’imputato di rinunciare alla prescrizione, in maniera non più recuperabile nel giudizio di legittimità, la cui cognizione è fisiologicamente più limitata rispetto a quella del giudice di merito.
Orbene, le Sezioni unite, nella pronuncia qui in commento, ritenevano come le affermazioni della Corte costituzionale, contenute nella decisione n. 111 del 2022, di accoglimento della proposta questione di legittimità costituzionale, fossero espressione di un più generale principio, di rango costituzionale, che impone di riconsiderare il rapporto tra cause estintive del reato e nullità processuali attinenti la corretta instaurazione del contraddittorio.
Secondo tale impostazione, costituzionalmente orientata, invero, la regola della necessaria prevalenza della causa estintiva, e in particolare di quella rappresentata dalla maturata prescrizione, sulla nullità della sentenza, pronunciata in difetto di valida costituzione del rapporto processuale, sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, non può essere ulteriormente sostenuta.
In effetti, il diritto di difesa, che le norme sul contraddittorio processuale tutelano, e il principio di ragionevole durata del giudizio, che è a concorrente fondamento dell’istituto della prescrizione, possono entrare in bilanciamento nei soli limiti in cui sia comunque assicurato un processo «giusto», come richiede l’art. 111, primo comma, Cost., come ulteriormente ribadito dal giudice delle leggi nella sentenza n. 67 del 2023, fermo restando che lo snodo ineludibile, affinché possa aversi un processo giusto, è certamente la celebrazione di un giudizio nella pienezza del suo contraddittorio.
Il principio di durata ragionevole del processo costituisce del resto una garanzia riferibile esclusivamente al modello legale di processo penale costituzionale dal principio di contraddittorio: senza contraddittorio non esiste un processo penale costituzionalmente accettabile e della cui irragionevole durata ci si debba pertanto occupare, desumendosi ciò anche dalla scelta lessicale del legislatore costituzionale, laddove l’articolo 111, secondo comma, Cost., il quale recita <Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti (…). La legge ne assicura la ragionevole durata”>, pone i due valori nella descritta corretta reciproca relazione.
Il bilanciamento tra il diritto di difesa e il principio di ragionevole durata del processo, per la Corte di legittimità, deve dunque tener conto dell’intero sistema delle garanzie processuali, per cui rileva esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale complessivamente delineato in Costituzione, mentre un processo non «giusto», perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata; e che un incremento di tutela indotto dal dispiegarsi degli effetti della normativa CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo certamente non lede gli articoli della Costituzione posti a garanzia degli stessi diritti, ma ne esplicita ed arricchisce il contenuto, innalzando il livello di sviluppo dell’ordinamento nazionale nel settore dei diritti fondamentali e, quindi, il contraddittorio tra le parti, valore di rango costituzionale (art. 111, secondo comma, Cost.), ampiamente valorizzato anche dalla giurisprudenza della Corte EDU, non solo è posto a presidio dell’effettività del diritto di difesa, ma rappresenta, oggettivamente, il postulato indefettibile di ogni pronuncia terminativa del processo che abbia forma di sentenza.
“Giudizio” e “contraddittorio” esprimono, in altri termini, un binomio indissolubile; sicché la regola della prevalenza della formula terminativa del procedimento per prescrizione su una causa di nullità assoluta non può esplicarsi qualora la nullità, attenendo alla conoscenza stessa del processo da parte dell’imputato, non si collochi nell’ambito di un giudizio «giusto», ma derivi, più radicalmente, dall’assenza di quest’ultimo: pena la collisione con i richiamati parametri costituzionali, dato che una sentenza emessa a carico di un soggetto, ignaro finanche della pendenza del processo, equivalga a una decisione emessa «al di fuori di un giudizio».
Il Supremo Consesso, di conseguenza, alla luce di quanto sin qui esposto, enunciava il principio di diritto secondo il quale la sentenza di merito, dichiarativa della prescrizione del reato, adottata nonostante si sia proceduto in assenza dell’imputato e in mancanza delle condizioni previste dall’art. 420-bis cod. proc. pen., è affetta da vizio derivante da difetto del contraddittorio, sul quale la causa estintiva non prevale.
Pertanto, alla stregua di tale criterio ermeneutico, era annullata la sentenza impugnata senza rinvio, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Perugia per l’ulteriore corso.

3. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito che la sentenza di merito, dichiarativa della prescrizione del reato, adottata nonostante si sia proceduto in assenza dell’imputato e in mancanza delle condizioni previste dall’art. 420-bis cod. proc. pen., è affetta da vizio derivante da difetto del contraddittorio, sul quale la causa estintiva non prevale.
Dunque, ove si verifichi una situazione di questo genere, ben si potrà impugnare un provvedimento di questo genere nelle forme prevedute dal codice di rito penale, denunciando siffatto vizio.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché prova a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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