Se il processo è stato celebrato “in assenza”, non è generalmente esperibile il rimedio dell’incidente di esecuzione, a norma dell’art. 670 c.p.p., per travolgere il giudicato

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: C.p.p., art. 670)

Il fatto

Veniva proposto incidente di esecuzione davanti al Tribunale di Potenza per chiedere, in via principale, ai sensi dell’art. 670 c.p.p., la declaratoria di nullità della sentenza di condanna n. 513/15 pronunciata dal suddetto Tribunale in data 13.3.2015 (irrevocabile il 10.6.2018) e del successivo ordine di esecuzione n. 152/2018 emesso dalla Procura della Repubblica territoriale – ad essa relativo – per essere stato il giudizio di cognizione celebrato nei confronti di imputata irreperibile, erroneamente dichiarata assente; in via subordinata, si chiedeva che venisse disposta la restituzione nel termine, ai sensi dell’art. 175 c.p.p., per proporre ricorso per cassazione in ragione della mancata effettiva conoscenza del procedimento e del titolo.

A tal proposito veniva esposta in questi termini la seguente cronologia degli eventi processuali: “In data (omissis) V.E. veniva arrestata in flagranza del reato di rapina impropria in concorso, con nomina dell’avv. P. A. quale difensore d’ufficio. In sede di udienza di convalida, l’arrestata “confermava” la nomina del predetto difensore, “conferma” che, ad avviso del legale redigente l’istanza introduttiva dell’incidente di esecuzione, non poteva che essere interpretata in relazione all’incarico d’ufficio e non alla stregua di una nomina fiduciaria (nel relativo verbale, peraltro, si legge: “Confermo la nomina a difensore di fiducia dell’avv. A. P….”, n.d.e.). All’atto della successiva scarcerazione, intervenuta in data 1 marzo 2010 a seguito di applicazione della misura cautelare del divieto di dimora nella provincia di Potenza, la V. dichiarava domicilio in Roma, presso il campo nomadi sito in via (omissis) (non (…), come erroneamente riportato in tutti gli atti) n. (…). Con sentenza resa in data 13.3.2015, il Tribunale di Potenza condannava l’imputata alla pena di cinque anni di reclusione per rapina e lesioni aggravate. La condanna veniva confermata in appello il 25.1.2018 (assente l’avv. P.) e diveniva irrevocabile il 10.6.2018. Veniva, pertanto, emesso dalla locale Procura della Repubblica ordine di esecuzione n. 152/2018 SIEP per la carcerazione”.

Ciò premesso, il difensore istante rappresentava come entrambi i gradi del giudizio di merito fossero stati celebrati nonostante la dichiarata irreperibilità della V. e la conseguente mancata conoscenza del processo da parte sua.

In particolare, della situazione di irreperibilità “di fatto” dell’imputata era stato dato atto nel decreto che dispone il giudizio del 4.4.2012 cui era seguita, in data 20.6.2012, l’emissione del formale decreto d’irreperibilità.

Instauratosi il dibattimento, alla prima udienza del 4.7.2012 la V. veniva dichiarata irreperibile assente mentre, a quella successiva del 14.6.2013, irreperibile tout court, così come a quella del 31.01.2014.

All’udienza del 23.5.2014, attribuito il processo al Tribunale in composizione collegiale, il Collegio, invece di prendere atto della irreperibilità dell’imputata e sospendere il processo ai sensi della L. n. 67 del 2014, – applicabile ai processi in corso il 17.5.2014 – disponendo nuove ricerche per la notifica a mani proprie del decreto che dispone il giudizio e del verbale di udienza, riteneva che, avendo la V., al momento della scarcerazione del 2010, dichiarato domicilio, la notifica andasse reiterata ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, atteso che, presso il domicilio dichiarato, la donna risultava essersi trasferita in Romania.

Si leggeva, a tal proposito, nella trascrizione del verbale di udienza del 23.5.2014, quanto segue: il “Tribunale rileva che le due imputate V.E. e M.M. hanno dichiarato il proprio domicilio nell’ambito di questo procedimento, l’una la V. all’atto della propria scarcerazione in data 1 marzo 2010, l’altra al Commissariato di PS di Melfi in data 26 febbraio 2010, quindi sono state dichiarate irreperibili in data successiva, quando, in realtà, già avevano dichiarato domicilio, quindi, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, va ordinata la notifica del decreto che dispone il giudizio e del verbale della presente udienza presso i difensori delle predette, atteso che la notifica presso il domicilio dichiarato dalle imputate non è andata a buon fine, in quanto la V. risulta come da relata dell’ufficiale giudiziario trasferita attualmente in Romania…quindi si dispone la notifica del decreto e del verbale dell’udienza odierna ai difensori delle imputate””.

Tanto esposto, il difensore istante eccepiva, in primo luogo, la nullità assoluta della notifica del decreto che dispone il giudizio, in quanto effettuata ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, nonostante nella originaria dichiarazione di domicilio, formulata dalla V. all’atto della scarcerazione di marzo 2010, mancasse il previsto avvertimento all’imputata dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato e del fatto che, in caso di mancanza, insufficienza o inidoneità di tale comunicazione, le notifiche sarebbero state eseguite al difensore.

Osservava, inoltre, il difensore che l’arresto in flagranza e la successiva udienza di convalida in presenza di un avvocato di ufficio non erano a suo avviso sufficienti a vincere la presunzione di incolpevole mancata conoscenza del processo anche perché, in esito alla convalida, l’imputata era stata scarcerata e non le era stato mai notificato il successivo provvedimento cautelare e a ciò doveva aggiungersi che la V. non aveva mai avuto contatti con il difensore nominato.

Nell’ottica di quanto disposto dall’art. 670 c.p.p., a proposito dell’osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato, l’istante stigmatizzava che il Tribunale, errando, all’udienza del 24.10.2014, aveva dato atto della regolarità della notifica del decreto di rinvio a giudizio revocando la dichiarazione di irreperibilità e dichiarando la V. assente.

Infine, ad avviso della istante, anche il decreto di latitanza successivamente emesso dal Tribunale il 3.8.2015, a seguito di verbale di vane ricerche del Commissariato P.S. di Melfi, doveva considerarsi affetto da nullità atteso che lo stesso P.M., già in data 3.7.2012, aveva dichiarato che l’imputata non era latitante e che pertanto non poteva ipotizzarsi un suo pericolo di fuga, non avendo essa avuto contezza dei provvedimenti cautelari emessi nei suoi confronti.

Il Tribunale adito, dal canto suo, rigettava l’incidente proposto.

Osservava a tal riguardo che l’avvenuta dichiarazione di domicilio presso il campo nomadi romano di via (…) e la nomina fiduciaria di un difensore in sede di convalida, seguita dalla dichiarazione di domicilio in sede di scarcerazione, unitamente alla irreperibilità attestata dall’ufficiale giudiziario a seguito della notifica del decreto che dispone il giudizio presso il suddetto campo nomadi, rappresentavano atti prodromici ad un valido processo di notificazione del decreto che dispone il giudizio, andato a buon fine presso il difensore avv. P. ,ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4.

Da ciò, per il giudice di merito, era conseguita una conoscenza del processo da parte dell’imputata mediante tale difensore, il quale, presente per l’intero processo di primo grado, aveva impugnato in appello la sentenza di condanna.

Alla stregua di quest’ultima considerazione, andava rigettata, ad avviso del giudice dell’esecuzione, anche la richiesta di rimessione in termini per poter proporre ricorso per cassazione in quanto il predetto titolo, correttamente formatosi, era stato impugnato in appello mentre non emergeva dagli atti alcuna valida ragione per ritenere che la successiva sentenza di secondo grado non fosse stata portata a conoscenza del difensore al fine di poter proporre tempestivamente ricorso in sede di legittimità.

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

 

Avverso la suddetta ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’interessata, per il tramite del difensore di fiducia, sviluppando i seguenti motivi così articolati: 1) violazione di legge processuale in riferimento all’art. 178 c.p.p., lett. c), art. 179 c.p.p., comma 1, art. 185 c.p.p., art. 160 c.p.p., comma 2, e art. 161 c.p.p., comma 4; il difensore della ricorrente, difatti, eccepiva la nullità della notifica del decreto che dispone il giudizio, effettuata ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, in quanto preceduta da dichiarazione di domicilio affetta da nullità assoluta in ragione del mancato avvertimento di legge previsto dal comma 1 dell’articolo citato e tale nullità della notifica del decreto che dispone il giudizio aveva determinato la mancata conoscenza del processo da parte della imputata in quanto, per il ricorrente, pur volendosi ignorare il decreto di irreperibilità in precedenza adottato nei confronti della V., il Tribunale aveva errato due volte nel disporre la notifica ex art. 161 c.p.p., comma 4: a) perché la dichiarazione di domicilio doveva ritenersi nulla; b) perché, avuta notizia del trasferimento della prevenuta in Romania, il Collegio avrebbe dovuto disporre nuove ricerche ex art. 169 c.p.p., anche fuori dal territorio nazionale, soprattutto perché l’imputata risultava essersi trasferita all’estero successivamente al decreto d’irreperibilità emesso dal G.U.P. a norma dell’art. 159 c.p.p.; nel revocare quest’ultimo decreto e nel dichiarare l’imputata assente, il Tribunale aveva quindi consentito la celebrazione del giudizio di primo grado senza che la predetta ne fosse a conoscenza; 2) vizio di motivazione a proposito delle ragioni per le quali il giudice dell’esecuzione aveva ritenuto corretta la formazione del titolo esecutivo con rigetto della richiesta di restituzione nel termine in quanto il Tribunale adito aveva omesso ogni motivazione sulla questione di nullità della notifica ex art. 161 c.p.p., comma 4, posta dalla difesa essendosi limitato a ribadire il medesimo concetto della regolarità della notifica e, quindi, del titolo esecutivo senza una reale spiegazione; 3) violazione di legge in riferimento alla L. n. 67 del 2014, art. 15-bis poichè, essendo la V. stata dichiarata irreperibile dal G.U.P. con decreto del 20.6.2012, il Tribunale, ai sensi del citato art. 15-bis c.p.p. e dell’art. 420-quater c.p.p., avrebbe dovuto disporre la sospensione del processo, fino a che l’imputata non fosse stata raggiunta dagli atti necessari per la conoscenza dell’accusa e del giudizio; 4) omessa motivazione sulla mancata applicazione all’imputata della disciplina degli irreperibili posto che, per la difesa, nessuna motivazione era dato riscontrare sulla invocata disciplina degli irreperibili e sulla richiesta difensiva di valutare “anche nel merito” in relazione all’osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato, prevista quale ulteriore parametro dall’art. 670 c.p.p., ai fini della verifica sulla validità del titolo esecutivo.

 

La richiesta formulata dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

 

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, a sua volta, nella sua requisitoria scritta, concludeva per il rigetto del ricorso.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

 

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

Si osservava prima di tutto che l’atto impugnatorio fosse caratterizzato da un deficit informativo circa la vicenda processuale sviluppatasi tra Italia e Romania a seguito dell’emissione dell’ordine di esecuzione e del successivo Mandato di Arresto Europeo nei confronti della V. da parte della Procura della Repubblica nazionale competente e tale carenza d’informazione si sarebbe riverberata sulla possibilità di apprezzare la sussistenza o meno di un interesse attuale e concreto della ricorrente alla impugnazione del titolo esecutivo.

Detto questo, si notava altresì che, per quel che risultava dall’esame del fascicolo, invero, nei confronti della V. era stato emesso un Mandato di Arresto Europeo dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza e la donna veniva arrestata previa emissione della sentenza della Corte di Appello di Craiova mentre in data successiva l’A.G. italiana avanzò all’A.G. rumena, richiesta di riconoscimento della sentenza di condanna emessa dal Tribunale lucano il 13.3.2015, richiesta accolta dalla Corte di Appello di Craiova con pronuncia n. 281 del 21.10.2019, resa definitiva a seguito della decisione adottata il 5.12.2019 dall’Alta Corte di Cassazione e Giustizia del paese estero; data, in coincidenza della quale, veniva conclusivamente emesso il “mandato di esecuzione della pena in carcere” a carico dell’imputata.

Orbene, ad avviso degli Ermellini, in base agli unici dati acquisiti, si può ipotizzare che, sulla procedura di esecuzione del Mandato di Arresto Europeo, si sia innestata quella prevista dal D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161, (“Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/909/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione Europea”) mentre, a fronte di ciò, non è dato sapere se, nella vicenda in esame, la condannata abbia espresso o meno il proprio consenso alla “trasmissione” della sentenza penale italiana alla Romania per l’esecuzione della pena in quello Stato, dovendosi, peraltro, tenere presente che a mente dell’art. 5, comma 4 (“Condizioni di emissione“) del citato D.Lgs. n. 161 del 2010: “È sempre richiesto il consenso della persona condannata per la trasmissione verso uno degli Stati membri indicati al comma 3, lett. c), salvo che si tratti dello Stato dove la persona condannata è fuggita o è altrimenti ritornata a motivo del procedimento penale o a seguito della sentenza di condanna. Il consenso alla trasmissione deve essere espresso dalla persona condannata personalmente e per iscritto”.

Invece, qualora la V. avesse, ancorché non necessario nel suo caso (trattandosi di persona ritornata liberamente in Romania proprio in pendenza del procedimento penale in Italia), manifestato il proprio consenso a espiare nel suo Paese la pena inflitta da una sentenza italiana, essa avrebbe, quanto meno implicitamente, rinunciato a sollevare eccezioni sulla regolarità formale del giudizio italiano, dal che discenderebbe, come logica conseguenza, l’insussistenza di un interesse concreto e attuale a coltivare il presente ricorso fermo restando però che la carenza di particolari decisivi sulla procedura di “trasmissione” della sentenza italiana per l’esecuzione in Romania, che la ricorrente aveva l’onere di prospettare per conformarsi al principio di autosufficienza del ricorso, sarebbe stata già sufficiente a dichiararlo inammissibile per genericità dello stesso in relazione alla possibilità di verifica della sussistenza dell’interesse a ricorrere.

L’impugnazione si presentava, comunque, per la Suprema Corte, inammissibile anche sotto gli ulteriori profili con i quali erano state dedotte pretese nullità processuali del giudizio di cognizione.

Sul tema, veniva a tal riguardo ribadito, ancora una volta, il principio in forza del quale, in sede di esecuzione, il giudice deve limitare il proprio accertamento alla regolarità formale e sostanziale del titolo su cui si fonda l’esecuzione medesima, non potendo egli attribuire rilievo alle nullità eventualmente verificatesi nel corso del processo di cognizione in epoca precedente al passaggio in giudicato della sentenza, che devono essere fatte valere con gli ordinari mezzi di impugnazione (fra molte, Sez. 1, n. 16958 del 23/2/2018; Sez. 1, n. 5880 dell’11/12/2013,); la cosa giudicata si forma anche nei confronti di provvedimenti affetti da nullità assoluta (Sez. 1, n. 3370 del 13/12/2011, dep. 2012, omissis, Rv. 251682).

Prima della introduzione della disciplina di cui alla L. 28 aprile 2014, n. 67, abolitrice dell’istituto della contumacia (sostituito da quello dell’assenza, per i casi in cui l’imputato, pur avendo avuto conoscenza effettiva o, in talune ristrette ipotesi, conoscenza legale e, quindi, conoscibilità del procedimento, abbia scelto di non presenziare), si era infatti affermato, quale unica eccezione all’enunciato principio, che le questioni relative alla validità di taluni atti formatisi nel giudizio di cognizione avrebbero potuto essere dedotte in sede di incidente di esecuzione all’esclusivo fine di contestare la validità della notifica dell’estratto contumaciale e, conseguentemente, l’avvenuta formazione del titolo esecutivo (si vedano: con riguardo al decreto di latitanza, Sez. 1, n. 30384 del 13/6/2019; con riguardo alla elezione di domicilio, Sez. 1, n. 7430 del 17/1/2017,).

Ebbene, essendo venuto meno, con la nuova disciplina del processo in absentia, l’elemento di raccordo della notifica dell’avviso di deposito e dell’estratto contumaciale – elemento che faceva sì che alcune nullità del giudizio di cognizione potessero valere, ove incidenti sul procedimento di notifica del suddetto estratto, anche dinanzi al giudice dell’esecuzione investito della richiesta di declaratoria di non esecutività del titolo – si era, conseguentemente, determinato un “depotenziamento” dello strumento di controllo in executivis sulla regolare formazione del titolo, secondo il paradigma delineato dall’art. 670 c.p.p., ed è, così, ricorrente l’affermazione – che il Collegio di legittimità ordinaria condivideva nel caso di specie – secondo la quale, se il processo è stato celebrato “in assenza”, non è generalmente esperibile il rimedio dell’incidente di esecuzione, a norma del citato art. 670, per travolgere il giudicato; perché la legge, quanto alla fase di instaurazione del contraddittorio, limita l’oggetto del giudizio alla verifica della “osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato” (Sez. 1, n. 48467 del 9/9/2019; Sez. 1, n. 48464 del 9/9/2019; Sez. 1, n. 35721 del 24/4/2019).

Secondo tale ultima pronuncia, in particolare, la preclusione alla deduzione di nullità incorse nel giudizio di cognizione, celebrato secondo la disciplina dell’assenza, non si pone in contrasto con i principi costituzionali e convenzionali del giusto processo “in quanto è assicurata la garanzia per la posizione dell’imputato, che, dichiarato assente, sia stato, pur tuttavia, non a conoscenza del procedimento senza sua colpa: ove siano decorsi i termini per impugnare, con l’istituto della rescissione del giudicato (art. 629-bis c.p.p.) può far valere la descritta situazione di fatto e ottenere la revoca della sentenza e la rinnovazione del giudizio di primo grado; se ancora pendenti i termini per l’impugnazione, può ottenere (art. 604 c.p.p.) dal giudice dell’impugnazione la dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado”.

In sintesi: con l’attuale disciplina, le nullità incorse nel giudizio di cognizione, in specie quelle afferenti alla citazione a giudizio, possono essere fatte valere, una volta formatosi il giudicato di condanna, con lo strumento della rescissione del giudicato; rimedio, quest’ultimo, esperibile ove, tra l’altro, il giudice abbia errato nel disporre la prosecuzione del giudizio ritenendo l’assenza, quando invece avrebbe dovuto disporre la sospensione del procedimento.

Tale orientamento, ad avviso della Cassazione, del tutto condivisibile, è stato espresso, oltre che dalle tre decisioni prima richiamate, da Sez. 1, n. 10577 dell’8/2/2019, che ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso avverso un’ordinanza pronunciata dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 670 c.p.p., di rigetto della richiesta di declaratoria di non esecutività del titolo, formatosi all’esito del processo celebrato in assenza, in forza di una asserita nullità della citazione a giudizio.

Ebbene, veniva altresì osservato come tale decisione abbia ritenuto la manifesta infondatezza della richiesta proprio perché proposta all’esito di un processo in cui era stata dichiarata l’assenza e, quindi, senza la previsione di notifica dell’avviso di deposito della sentenza e del relativo estratto e da qui l’osservazione che “la (eventuale) nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio si sarebbe formata nel corso del processo di cognizione e sarebbe stata, quindi, sanata dall’intervenuta irrevocabilità della sentenza”; e la conclusione che “la fattispecie rappresentata al giudice dell’esecuzione legittimava la presentazione di una domanda di rescissione del giudicato, istituto creato dal legislatore del 2014 proprio per tutelare il condannato con sentenza passata in giudicato nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo, nel caso in cui l’assenza sia dovuta ad un’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo” (conformi anche Sez. 1, n. 28817 dell’8/3/2019, e Sez. 1, n. 36027 del 22/5/2019).

A fronte di tale approdo ermeneutico, i giudici di piazza Cavour notavano come una posizione parzialmente dissonante fosse stata espressa da Sez. 1, n. 13647 del 12/2/2019, con la quale si era affermato che, siccome la L. n. 67 del 2014, non è intervenuta sul sistema delle notificazioni, “restano estranee al tema della conoscenza del processo le questioni, regolate dall’art. 420 c.p.p., comma 2, concernenti la regolare citazione delle parti, cui corrisponde correlativamente nella fase esecutiva il rimedio di cui all’art. 670 c.p.p. “, a norma del quale il giudice dell’esecuzione è tenuto ad accertare se “il provvedimento manca o non è divenuto esecutivo” valutando “anche nel merito l’osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato”.

Tanto premesso, essendosi il processo a carico di V.E. celebrato pacificamente e correttamente secondo la nuova disciplina dell’assenza (la sentenza di primo grado reca, infatti, la data del 13.3.2015: v. L. 28 aprile 2014, n. 67, art. 15-bis, introdotto dalla L. 11 agosto 2014, n. 118, art. 1), doveva considerarsi operante la preclusione alla deduzione di nullità incorse nel giudizio di cognizione, eccepita con lo strumento previsto dall’art. 670 c.p.p..

Stante tale preclusione, per la Suprema Corte, il giudice di Potenza non avrebbe dovuto esaminare nel merito la fondatezza dell’eccezione dedotta ma si sarebbe dovuto limitare a dichiarare inammissibile, sotto questo profilo, l’incidente proposto.

D’altro canto, anche a voler aderire all’orientamento minoritario e dissonante da ultimo richiamato (Sez. 1, n. 13647/2019) e a reputare tuttora ammissibile, ancorché nell’ambito di un processo in absentia, il rilievo di nullità afferenti alla citazione a giudizio con il rimedio previsto dall’art. 670 c.p.p., per il Supremo Consesso, deve escludersi in toto la fondatezza dell’eccezione di nullità della dichiarazione di domicilio formulata dall’imputata all’atto della sua scarcerazione, avvenuta in data 1 marzo 2010, e della conseguente nullità derivata della notifica del decreto che dispone il giudizio e degli atti successivi posto che risultava dal “verbale di dichiarazione o elezione di domicilio” rinvenuto in atti, redatto alle ore 13,30 del 1 marzo 2010 presso gli Uffici della Casa circondariale di Potenza, che la V. veniva ritualmente avvisata, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 1, dai verbalizzanti dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che, in mancanza di tale comunicazione ovvero di rifiuto di dichiarare o eleggere il domicilio ovvero nel caso di insufficienza o inidoneità della dichiarazione o della elezione, le notificazioni sarebbero state eseguite mediante consegna all’avvocato P.A. così come, nella medesima occasione, l’imputata aveva dichiarato il proprio domicilio.

Non sussisteva, pertanto, per la Corte di legittimità, nella dichiarazione resa in data 1 marzo 2010, l’omissione sanzionata dall’art. 171 c.p.p., comma 1, lett. e).

Ciò posto, veniva altresì rammentato che, in tema di notificazioni, una volta che l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio (anche mentendo), ove in tale luogo non risulti possibile la notifica, questa è validamente eseguita mediante consegna dell’atto al difensore (di ufficio o di fiducia che sia): dunque, l’esistenza di una dichiarazione di domicilio (ancorché mendace) esclude il ricorso al decreto d’irreperibilità e attiva la procedura ex art. 161 c.p.p., comma 4, (Sez. 1, n. 41223 dell’8/10/2008; Sez. 4, n. 2588 del 18/9/2006).

Secondo l’esposto consolidato principio, che il Collegio ribadiva in questa sede, del tutto correttamente il Tribunale di Potenza, nel corso del giudizio di primo grado (udienza del 24.10.2014), aveva disposto la revoca del decreto d’irreperibilità in precedenza adottato dal G.I.P. (e ancor, prima, dal P.M.) in quanto, in presenza di una valida dichiarazione di domicilio, non poteva reputarsi giustificato il ricorso al suddetto decreto.

Altrettanto correttamente – in base al medesimo principio di cui sopra – il Tribunale aveva giudicato validamente eseguita presso il difensore di fiducia avv. P., ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, la notifica del decreto che dispone il giudizio, una volta preso atto, da parte dell’Ufficiale giudiziario, della impossibilità di eseguire l’incombente a mani dell’imputata presso il domicilio dichiarato in conseguenza dell’accertato trasferimento in Romania della medesima.

Ebbene, proprio perché non si procedeva nei confronti di un’imputata irreperibile, per il Supremo Consesso, non sussistevano i presupposti per disporre la sospensione del processo, situazione che consegue, nella vigente disciplina (art. 420-quater c.p.p.), solo al caso in cui non vi sia la prova certa della conoscenza da parte dell’imputato/a nè della data dell’udienza, nè della esistenza del procedimento penale.

Al contrario, sussistevano, nella specie, i presupposti di legge per procedere obbligatoriamente “in assenza“, ai sensi dell’art. 420-bis c.p.p., comma 2, dal momento che la V. : a) aveva nel corso del procedimento validamente dichiarato domicilio; b) era stata arrestata, in quel procedimento, in flagranza di reato; c) aveva nominato, in sede di udienza di convalida dell’arresto, l’avv. P. A. quale difensore di fiducia (Sez. 2, n. 2291 del 27/10/2015).

Anche sotto questo profilo, pertanto, per i giudici di piazza Cavour, nessuna nullità era dato riscontrare nel giudizio di cognizione e la relativa eccezione veniva ritenuta manifestamente infondata.

Detto questo, come già dedotto in precedenza, la fattispecie rappresentata al giudice dell’esecuzione di Potenza avrebbe legittimato la presentazione di una domanda di rescissione del giudicato fermo restando come non sia consentito, in sede di legittimità ordinaria, procedere alla riqualificazione dell’incidente di esecuzione proposto come domanda di rescissione ex art. 629-bis c.p.p. attesa la diversità di natura e funzione di quest’ultimo istituto, quale mezzo straordinario d’impugnazione, rispetto all’incidente di esecuzione, che mezzo d’impugnazione non è (Sez. 6, n. 10000 del 14/2/2017) tenuto conto che, in ogni caso, la ravvisata sussistenza dei tre presupposti di legge del processo in assenza induceva la Suprema Corte, ad escludere che, nel caso in esame, avrebbe potuto essere fondatamente addotta dall’imputata la dimostrazione della “incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo“.

Veniva inoltre considerato generico e, comunque, manifestamente infondato, il motivo attinente al rigetto dell’istanza di restituzione in termine.

Sul punto, veniva ricordato che, secondo la disciplina introdotta dalla L. n. 67 del 2014, applicabile nella vicenda in esame, resta la possibilità di proporre tale istanza solo se vi è prova che il mancato rispetto del termine sia dovuto a caso fortuito o a forza maggiore.

Per il vero, la ricorrente aveva ricollegato l’istanza ex art. 175 c.p.p., alle denunciate nullità del giudizio di cognizione, connessione che esclude, all’evidenza, la riconducibilità dell’istanza stessa alle situazioni del caso fortuito o della forza maggiore.

A tale riguardo, veniva stimato opportuno rimarcare che il mancato o inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell’incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che legittimano la restituzione nel termine poiché consiste in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione, e perché non può essere escluso, in via presuntiva, un onere dell’assistito di vigilare sull’incarico conferito, nei casi in cui il controllo sull’adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo (Sez. 4, n. 55106 del 18/10/2017).

Dunque, la mancata presentazione del ricorso per cassazione da parte dell’avv. P., difensore di fiducia della V. (che, peraltro, aveva presenziato al giudizio di primo grado e proposto atto di appello), non poteva per la Corte di legittimità certamente realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore fermo restando che, sempre ad avviso della Cassazione, l’istanza sarebbe stata inaccoglibile anche se apprezzata secondo la disciplina previgente posto che, quanto meno alla data di notifica del Mandato di Arresto Europeo, la V. ne aveva avuto conoscenza del procedimento e del provvedimento italiani a lei relativi mentre l’istanza, con la quale era stato proposto l’incidente di esecuzione, era stata depositata presso la cancelleria del Tribunale di Potenza in data 10.6.2019 e, dunque, ben oltre i dieci giorni fissati dalla legge previgente a decorrere da quello della conoscenza dell’atto.

Di conseguenza, per tutte le esposte considerazioni, il ricorso veniva dichiarato inammissibile e il ricorrente veniva condannato al pagamento delle spese processuali e, in assenza di ipotesi di esonero, al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende pari ad euro tremila.

 

Conclusioni

 

La decisione in questione è interessante specialmente nella parte in cui, citandosi precedenti conformi, è asserito che, se il processo è stato celebrato “in assenza“, non è generalmente esperibile il rimedio dell’incidente di esecuzione, ai sensi dell’art. 670 c.p.p., per travolgere il giudicato perché la legge, quanto alla fase di instaurazione del contraddittorio, limita l’oggetto del giudizio alla verifica della “osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato”.

E’ sconsigliabile, dunque,, laddove il processo venga celebrato in assenza dell’imputato, esperire l’incidente di esecuzione previsto dall’art. 670 c.p.p. (“1. Quando il giudice dell’esecuzione accerta che il provvedimento manca o non è divenuto esecutivo, valutata anche nel merito l’osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato, lo dichiara con ordinanza e sospende l’esecuzione, disponendo, se occorre, la liberazione dell’interessato e la rinnovazione della notificazione non validamente eseguita. In tal caso decorre nuovamente il termine per l’impugnazione. 2. Quando è proposta impugnazione od opposizione, il giudice dell’esecuzione, dopo aver provveduto sulla richiesta dell’interessato, trasmette gli atti al giudice di cognizione competente. La decisione del giudice dell’esecuzione non pregiudica quella del giudice dell’impugnazione o dell’opposizione, il quale, se ritiene ammissibile il gravame, sospende con ordinanza l’esecuzione che non sia già stata sospesa. 3. Se l’interessato, nel proporre richiesta perché sia dichiarata la non esecutività del provvedimento, eccepisce che comunque sussistono i presupposti e le condizioni per la restituzione nel termine a norma dell’articolo 175, e la relativa richiesta non è già stata proposta al giudice dell’impugnazione, il giudice dell’esecuzione, se non deve dichiarare la non esecutività del provvedimento, decide sulla restituzione. In tal caso, la richiesta di restituzione nel termine non può essere riproposta al giudice dell’impugnazione. Si applicano le disposizioni dell’articolo 175 commi 7 e 8” c.p.p.) perlomeno alla luce di questo orientamento nomofilattico.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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