La tolleranza mostrata dal datore di lavoro in relazione a condotte illecite – nel caso di specie la violazione del divieto di fumo nell’area air-side dell’aeroporto – non impedisce il successivo esercizio dell’azione disciplinare nei confronti del dipendente che perseveri nella medesima condotta illecita.
Così ha statuito la Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento (n. 7826 del 24 marzo 2025). Come strumento operativo per il professionista, potrebbe interessarti il volume Il nuovo processo del lavoro dopo la Riforma Cartabia – Questioni organizzative e applicazioni pratiche
A cura di Avv. Maria Chiara Lamera c/o DLA Piper
Indice
1. I fatti: il licenziamento disciplinare per violazione del divieto di fumo furto
La vicenda trae spunto dal licenziamento per giusta causa irrogato al dipendente di una società di logistica aeroportuale per aver fumato in un’area con esplicito divieto di fumo. In particolare, al lavoratore veniva contestato di aver fumato nei pressi dell’area air-side dell’aeroporto, zona soggetta a particolari restrizioni per ragioni di sicurezza aeroportuale, nonostante il chiaro divieto di fumo.
La Corte d’appello di Milano, confermando la pronuncia di primo grado, ha accertato la illegittimità del licenziamento per “assenza di rilievo disciplinare dell’addebito contestato e quindi insussistenza del fatto“, sul presupposto che la società fosse a conoscenza della prassi dei dipendenti di fumare in quell’area.
A supporto della propria decisione, la Corte territoriale, pur ritenendo pacifico che il dipendente avesse fumato nella zona air-side e fosse consapevole del divieto di fumo, ha rilevato l’assenza di cartelli recanti tale divieto e ha sottolineato la consuetudine dei dipendenti di recarsi a fumare in quel luogo.
La Corte Territoriale ha quindi ritenuto che la “tolleranza” datoriale fosse sintomatica di una valutazione della condotta del dipendente come lecita e ha, pertanto, sancito l’assenza di rilievo disciplinare dell’addebito contestato, con condanna alla reintegra e al risarcimento del danno.
La datrice di lavoro, impugnando la sentenza di secondo grado, ha eccepito, tra le altre, che la Corte d’Appello avesse omesso di valorizzare la conoscenza da parte del lavoratore del divieto di fumo in questione, seppure confermato da molteplici fattori, quali: la formazione ricevuta; il regolamento aziendale; i numerosi cartelli affissi nei luoghi di normale svolgimento dell’attività lavorativa. Come strumento operativo per il professionista, potrebbe interessarti il volume Il nuovo processo del lavoro dopo la Riforma Cartabia – Questioni organizzative e applicazioni pratiche
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2. L’ordinanza della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, nel ribaltare la pronuncia di merito, ha rilevato come fosse pacifica l’esistenza del divieto di fumo nella zona air-side, la conoscenza di tale divieto da parte dei dipendenti, tra cui anche il lavoratore licenziato, nonché la sua violazione da parte di quest’ultimo.
In tale contesto, ha precisato che la tolleranza della datrice di lavoro rispetto all’inadempimento degli obblighi gravanti sul dipendente non sia da sola sufficiente a far venire meno l’antigiuridicità della condotta, né dal punto di vista oggettivo né dal punto di vista soggettivo.
L’esclusione di responsabilità dell’autore della violazione – precisa la Suprema Corte – è configurabile esclusivamente laddove ricorrano elementi ulteriori “capaci di ingenerare nel trasgressore la incolpevole convinzione di liceità della condotta, sì che non possa essergli mosso neppure un addebito di negligenza”.
A tal riguardo la Corte di Cassazione evidenzia – facendo riferimento a violazioni amministrative, i cui principi risultano applicabili anche alla responsabilità disciplinare del dipendente – che affinché sia integrato l’elemento soggettivo dell’illecito, è sufficiente la semplice colpa.
La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come l’errore sulla liceità della condotta escluda la responsabilità solo qualora risulti inevitabile, occorrendo, a tal fine, la sussistenza di elementi ulteriori, estranei all’autore dell’infrazione, idonei ad ingenerare nello stesso la convinzione della liceità della propria condotta, senza che sia riscontrabile una condotta negligente o imprudente di quest’ultimo. In altre parole, il trasgressore deve aver fatto tutto quanto possibile per osservare la legge “così che l’errore risulti incolpevole, non suscettibile cioè di essere impedito dall’interessato con l’ordinaria diligenza” (Cass. n. 11253 del 2004).
A tal proposito, la giurisprudenza ha chiarito che il comportamento tenuto dall’organo preposto al controllo rileva esclusivamente laddove si accerti che l’affidamento che esso ingenera nel privato sia tale da escludere ogni incertezza sulla legittimità e liceità della condotta dello stesso (Cass. n. 10477 del 2006).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata risulta viziata nella parte in cui – pur considerando pacifica l’esistenza del divieto di fumo nella zona air-side e la piena consapevolezza del medesimo da parte del lavoratore – ha attribuito alla tolleranza datoriale l’effetto di escludere l’antigiuridicità della condotta del dipendente.
La Corte d’Appello avrebbe invece dovuto – a parere dei giudici di legittimità – indagare sulla presenza di elementi ulteriori, atti a ingenerare nel lavoratore l’incolpevole convinzione di liceità della condotta e dunque verificare se il dipendente avesse, in buona fede, fatto il possibile per rispettare il divieto di fumo e non, al contrario, “unicamente profittato della mancata reazione di parte datoriale fino a quel momento“.
Muovendo da tali presupposti, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dalla società e cassa con rinvio l’impugnata pronuncia.
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