Trib. Salerno, sez. lav., 20.10.2006 – Mobbing e giudice competente nel P.I. privatizzato

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Svolgimento del processo. – Con ricorso depositato in data 23.10.2003 il ricorrente – medico radiologo dipendente dell’Azienda convenuta dal 2 luglio 1980 – dedusse di aver ricevuto l’incarico temporaneo di reggenza dell’unità operativa di radiologia per il periodo 12 dicembre 1996 – 10 ottobre 1999, in seguito al decesso del primario dr. ********** tale periodo egli era stato fatto oggetto di numerosi episodi persecutori e tendenti all’emarginazione ed alla dequalificazione professionale mediante una serie di atteggiamenti “mobbizzanti”, tutti analiticamente descritti nell’atto introduttivo (tra cui i ritardi nel conferimento degli incarichi, l’estromissione da commissioni giudicatrici, da commissioni di manutenzione, dalla commissione sulla sicurezza ex l. 626/94, la richiesta di restituzione di apparecchio radiologico al reparto neonatologia , etc. etc. etc. …). Rilevò che l’INAIL aveva riconosciuto il nesso causale tra l’attività lavorativa di primario esercitata in condizioni di disagio e la malattia professionale diagnosticata come disturbo post traumatico da stress, con la concessione di rendita vitalizia. Chiese pertanto di dichiararsi la responsabilità del datore di lavoro nella causalità del danno biologico e danno alla salute nel periodo successivo al 1996 e per la disposta dequalificazione professionale nonchè per la malattia professionale di sindrome post traumatica nel periodo 1996-2000 e condannare il responsabile al risarcimento del danno causato per ciascun titolo da liquidare in via equitativa.
Instauratosi il contraddittorio la parte convenuta si costituì tardivamente in giudizio ed eccepì l’assoluta infondatezza e genericità delle pretese di parte avversa non potendosi ravvisare in alcuna delle condotte lamentate dall’attore avverso l’Azienda la violazione di un suo diritto soggettivo. Elencò peraltro le innumerevoli azioni proposte dall’attore avverso l’Azienda in sede amministrativa, penale e civile, la gran parte delle quali o rigettate o in via di definizione.
Chiese rigettarsi la domanda, siccome infondata in fatto e in diritto.
Indi, acquisita documentazione, escussi i testi ammessi e disposta CTU medico-legale oggi, previa discussione orale, sulle conclusioni da epigrafe, la causa è stata definita con sentenza il cui dispositivo, letto in udienza, è stato allegato aglia atti.
 
Motivi della decisione. – La domanda non può essere accolta. Dal complesso accertamento istruttorio è emersa un’unica inconfutabile verità: l’attore non sta bene.
Tale dato, invero incontestato tra le parti in causa ed ulteriormente accertato con perizia medica nel corso del giudizio, ai fini della domanda risarcitoria formulata con l’atto introduttivo deve essere messa in correlazione causale, o nesso eziologico, con una serie di comportamenti del datore di lavoro che l’attore ebbe a ritenere illegittimi, persecutori, “mobbizzanti” e mortificanti sotto il profilo del prestigio professionale, tanto da subirne gli esiti di una patologia psichiatrica cronicizzatasi, originata dal continuo stato di tensione emotiva (stress) subita durante il periodo lavorativo indicato.
In proposito occorre distinguere più aspetti del medesimo problema. Ai fini della responsabilità paventata del datore di lavoro non è, difatti, sufficiente che l’attore abbia contratto la patologia per effetto dell’attività lavorativa, ma occorre che sia dimostrata l’illiceità o l’illegittimità di taluni comportamenti datoriali che sarebbero stati la causa o la concausa dello scatenarsi della malattia psichica. In altri termini essendo il danno biologico una categoria giurisprudenziale discendente dall’interpretazione in combinato disposto dell’art. 32 Cost. e dell’art. 2043 c.c., occorre provare un “danno ingiusto”.
Diversamente la sola asettica correlazione tra il morbo e l’attività lavorativa ricadrebbe nella tutela accordata dalla legge ai dipendenti che contraggono malattie professionali cui l’INAIL, nel rispetto di parametri prestabiliti, accorda una rendita vitalizia. L’attore tra l’altro informa, nella narrativa del ricorso, che l’INAIL avrebbe già accertato la malattia professionale e che gli avrebbe accordato una rendita vitalizia.
Tale circostanza non viene tuttavia provata in giudizio ed è stata invece esclusa dalla convenuta nella sua memoria difensiva. Essa quindi rimane un elemento incerto ed, in assenza di prova, non può ritenersi fondata.
Orbene all’uopo devono esaminarsi i fatti di cui alla narrativa dell’atto introduttivo.
Preliminarmente deve dichiararsi il difetto di giurisdizione del giudice adito per tutte le questioni relative ad avvenimenti accaduti prima del 1.07.1998, data che ha segnato il passaggio della giurisdizione in materia di pubblico impiego dal giudice amministrativo al giudice ordinario. In particolare sembrerebbero ricadere in tale ambito le vicende oggetto di doglianza dell’attore relativa al mancato conferimento ed al ritardato conferimento delle funzioni vicarie in sostituzione del primario deceduto dr. Z. Tali accadimenti, secondo la prospettazione attorea, risalgono infatti al 1996.
Nel merito di altri profili di doglianza (di molte delle quali non è dato sapere l’esatta collocazione temporale) deve in primo luogo rilevarsi che non possono essere ravvisate violazioni di posizioni di diritto soggettivo, già esistenti nella sfera giuridica soggettiva dell’attore, dalla mancata inclusione dello stesso, da parte del datore di lavoro, all’interno di commissioni giudicatrici (non meglio individuate) per acquisti e forniture di materiali o di commissioni per la sicurezza dei luoghi di lavoro (l. 626/1994). Non è dato infatti comprendere a che titolo il ricorrente avrebbe dovuto obbligatoriamente farne parte né risulta chiarito con quali atti concreti egli sarebbe stato estromesso (non vi sono documenti significativi esibiti in atti). Allo stesso modo dicasi per la presunta omessa partecipazione al Consiglio dei Sanitari per la quale non è stata fornita alcuna prova circa la sua positiva esclusione da parte di chicchesia.
Del tutto generiche e prive di significato “mobbizzante” appaiono le ulteriori circostanze dedotte in ricorso (oltre che di data incerta) con riferimento all’ordine di lasciare la stanza da primario (alla cessazione dell’incarico?), ordine di restituzione dell’apparecchio radiologico al reparto di neonatologia (di chi era l’apparecchio?, andava restituito?), dinego di partecipazione ad un corso di aggiornamento presso la Luiss (è un diritto o un’aspettativa del lavoratore?).
Per non dire dei paventati abusi d’ufficio perpetrati dal direttore ******** nel partecipare a riunioni del Consiglio dei Sanitari (non si vede quale possa essere stato il pregiudizio subitone dall’attore) o nel rispondere con ritardo alla richiesta di trasferimento per il quale l’istante impiegò ben quattro mesi (era forse prescritto un termine tassativo più breve?). Non sono altresì chiariti i danni derivati all’attore dalla supposta omessa visita periodica ad esso istante ai sensi della l. 626/94, nè con riferimento ad altri episodi genericamente enunciati in ricorso.
In molti punti di cui alle doglianze del ricorrente non possono che leggersi posizioni di mero interesse semplice (o al più di interesse legittimo) a fronte dei poteri discrezionali ed organizzatori del Direttore Generale o degli altri organi preposti.
In particolare, poi, non può essere dato alcun peso determinante alle dichiarazioni testimoniali raccolte in atti lì dove taluni testi hanno evidenziato ingiuste prevaricazioni in termini di carriera (gli furono preferiti altri nel prosieguo dell’incarico di reggenza dell’unità di radiologia per il principio della rotazione) o scelte diverse da parte del Direttore Generale nell’acquisto di apparecchiature (punto su cui sembra esserci stata divergenza di vedute dell’attore). Circa i riferimenti alla carriera difatti non sono sufficienti generiche illazioni di testi a distanza di molti anni dall’accaduto. Se il teste aveva diritto a quel determinato incarico o aveva migliore collocazione in graduatorie di merito era nelle sedi opportune che avrebbe dovuto impugnare eventuali ingiuste lesioni dei suoi diritti. Non risulta che vi siano stati giudizi dall’esito favorevole al ricorrente che abbiano riconosciuto tali sue posizioni di dritto. Circa l’acquisto di apparecchiature il potere di spesa nella pubblica amministrazione corrisponde a precisi organi dirigenziali e risponde a scelte organizzatorie e di discrezionalità amministrativa che non sembrano sindacabili in questa sede e tanto meno dall’attore ai suoi fini di causa.
La domanda, quindi, deve essere pienamente disattesa.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo:
 
P.Q.M. – Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Salerno, disattesa ogni diversa istanza, così provvede:
– dichiara il difetto di giurisdizione con riferimento alle doglianze inerenti circostanze antecedenti al 1.07.1998;
– rigetta il ricorso nella restante parte;
– condanna l’attore al pagamento dele spese di lite che si liquidano in euro 3.000 (di cui euro 1.700,00 per spese e diritti) oltre IVA e CPA;
– le spese di ctu, liquidate separatamente, restano a definitivo carico della parte già provvisoriamente onerata.
Nota di ****************

Staiano Rocchina

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