Tramontata l’accessione invertita, trova applicazione la specificazione

Redazione 09/05/11
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Lilla Laperuta

L’acquisizione coattiva sanante, prevista dall’ormai abrogato art. 43 D.P.R. 327/2001(dichiarato incostituzionale con. sent. 293/2010), era quell’istituto mediante il quale, valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizzava un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, poteva disporre che esso andasse acquisito al proprio patrimonio indisponibile e che al proprietario andassero risarciti i danni.

Dinanzi a procedure ablative non avviate correttamente, ovvero non avviate affatto o non concluse, le amministrazioni conservavano dunque integra la possibilità di acquisire al proprio patrimonio indisponibile, adeguando, quindi, la situazione in diritto a quella in fatto, determinati beni immobili modificati dalle stesse in maniera illegittima..

L’art. 43, in effetti, aveva assimilato le due figure, di conio giurisprudenziale, delle occupazioni acquisitive ed usurpative, introducendo la possibilità, per l’amministrazione e per chi utilizzava il bene, di chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo, la condanna al risarcimento in luogo della restituzione.

Ebbene, venuto meno l’istituto in parola, nel caso sia stata realizzata un’opera pubblica in assenza del compimento nei termini della procedura espropriativa o in assenza di una valida procedura, i giudici amministrativi pugliesi ritengono che trovi applicazione l’istituto della specificazione di cui all’art. 940 c.c., a norma del quale se taluno ha adoperato una materia che non gli apparteneva per formare una nuova cosa, possa o non possa la materia riprendere la sua prima forma, ne acquista la proprietà pagando al proprietario il prezzo della materia, salvo che il valore della materia sorpassi notevolmente quello della mano d’opera. In quest’ultimo caso la cosa spetta al proprietario della materia, il quale deve pagare il prezzo della mano d’opera. In particolare nella sentenza 29 aprile 2011 n. 785, il TAR Puglia, afferma nelle sue conclusioni che per effetto della specificazione del fondo la proprietà dell’opera pubblica viene acquistata, a titolo originario, dall’ente specificatore nel momento in cui l’opera di specificazione è completata, cioè si è avuta la specificazione; questo non in conseguenza di un illecito ma di un istituto che affonda le sue radici nel diritto romano e costituisce un fatto che dà diritto ad un indennizzo (e non un illecito che dà diritto al risarcimento del danno). Quando l’opera è stata realizzata in violazione dei termini fissati, la richiesta indennitaria può essere avanzata nel termine di dieci anni dalla verificazione del fatto; se invece l’opera è stata realizzata a seguito di una procedura successivamente annullata il termine prescrizionale decorre, ex art. 2935 c.c., dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, cioè da quando è passata in giudicato la pronuncia che ha annullato gli atti della procedura. Infine, si deve ricordare che l’indennizzo va necessariamente commisurato al valore venale del bene che per effetto della specificazione non esiste più, cioè il fondo (costituisce il prezzo della materia).In conclusione, si può affermare che l’acquisizione del suolo per effetto della specificazione concreta un giusto equilibrio fra l’interesse generale e le esigenze della protezione dei diritti fondamentali dei singoli, quale è la proprietà fondiaria. A ciò si aggiunga – prosegue il collegio – che l’istituto della specificazione, si ricollega a quelle situazioni di apprensione del bene riconducibili non solo ad attività amministrativa (ritenuta poi illegittima) ma anche a comportamenti della pubblica amministrazione comunque riconnessi all’esercizio del pubblico potere.

 

 Di Lilla Laperuta

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