Sviluppo locale di tipo partecipativo ed organismi di diritto pubblico, per la gestione dei beni culturali – Parte II

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Parte II

Individuazione degli ambiti territoriali e comunità internet 3.0. Quale “ambito territoriale digitale ottimale”

Proposta la struttura giuridica ed istituzionale comunitaria meglio confacente alla sfida di restituzione dei beni comuni alle comunità, resta da discutere quali confini territoriali dare alle comunità.

I termini di individuazione territoriale delle dette comunità possono, secondo noi, essere quelli già stabiliti nelle già esistenti pianificazioni secondo i termini del cosiddetto “ambito territoriale ottimale[i]previsto in varie parti del Codice Ambiente (D.Lgs 3 aprile 2006, n.152 e smi) e, con altro nome, in altre leggi.

Il rapporto tra i privati e gli enti pubblici locali è, infatti, già definito all’interno di ambiti che pianificano, organizzano e gestiscono nel territorio i servizi essenziali per beni e servizi pubblici[ii] quali l’acqua[iii], i rifiuti[iv],la difesa del suolo[v], i trasporti[vi], i servizi medici[vii], il turismo[viii], la valorizzazione dei beni culturali[ix], l’urbanistica[x], il paesaggio[xi], etc. su ambiti territoriali.

Per la migliore fruizione della offerta turistico-culturale, per esempio, necessita l’integrazione, su scala territoriale, con detti servizi in termini di accessibilità, disponibilità, distanze, modalità di fruizione, soluzione criticità, etc.,

Per motivi di igiene e salubrità una comunità, dunque, non può non tenere conto delle coerenza con gli ambiti dei rifiuti, legati alla capacità di differenziazione, conferimento e dei tempi e logistiche di percorrenza per i luoghi di riciclo, riutilizzo e compostaggio aerobico[xii], etc.. Non si può ignorare la distanza degli altri servizi pubblici, come delle distanze chilometriche dei nosocomi e dei presidi medici esistenti, come anche delle stazioni ferroviarie[xiii], dei percorsi delle compagnie pubbliche o private del Trasporto Pubblico Locale, delle presenze delle Forze dell’Ordine per la gestione della sicurezza, etc.. Non si può non tenere conto, ove il caso, delle massicce presenze antropiche estive e del connesso consumo idrico soprattutto nelle isole che sono fornite via nave, etc..

Ancorchè gli autori non lo abbiano mai citato, aggiungiamo che tale individuazione non può prescindere dalla valutazione del senso identitario della comunità[xiv] e/o delle comunità nei detti ambiti territoriali.

Oggi il bisogno identitario, anche come reazione alle massicce ondate migratorie[xv], è diventato diffuso sentire comune. Non si tratta di percorrere i sentieri talvolta pericolosi delle visioni più sovraniste. Il sentire comune europeo, la stessa identità culturale comune europea figlia delle civiltà classiche e della comune identità culturale, dall’impero romano in poi, contraddirebbero tali letture estreme.

Il concetto di identità è legato all’uomo che vive e fruisce di beni della vita in un determinato contesto spaziale (ambiente) e temporale. Non si può, dunque, staccare il concetto di identità dal territorio ove tale riconoscimento di valori, caratteri e differenze viene operato.

Il D.Lgs 42/04 all’art. 112 comma 4, a proposito di accordi di valorizzazione e di piani strategici di sviluppo culturale, parla di accordi “su base regionale o subregionale, in rapporto ad ambiti territoriali definiti”.

I Gal  hanno sempre individuato gli ambiti territoriali in modo molto flessibile sulla base delle identità territoriali e delle vocazioni economiche e di sviluppo comuni.

Il Reg.1303/13 all’art. 32 comma 2 oggi così disciplina l’inviduazione territoriale: Lo sviluppo locale di tipo partecipativo è: a) concentrato su territori subregionali specifici (…), mentre l’art.33 comma 1 così dispone: “Una strategia di sviluppo locale di tipo partecipativo contiene almeno i seguenti elementi: a) la definizione del territorio e della popolazione interessati dalla strategia; b) un’analisi delle esigenze di sviluppo e delle potenzialità del territorio, compresa un’analisi dei punti di forza, di debolezza, delle opportunità e delle minacce”.

L’analisi economica “delle esigenze di sviluppo e delle potenzialità del territorio” è, dunque, successiva alla “definizione del territorio e della popolazione”.

Bisogna prima definire, dunque, il territorio e la popolazione[xvi]. Ritorna il concetto di identità/riconoscimento di una popolazione in un certo ambiente/territorio quale parametro utile per detto processo individuativo.

Alle superiori considerazioni sulla messa a sistema dei servizi territoriali per la ricognizione territoriale, aggiungiamo che bisognerebbe aggiungere anche un criterio legato alla comunicazione e scambio di dati digitali, per una “comunità Internet 3.0.” quale ambito territoriale predisposto in modo ottimale al detto scambio di dati e comunicazioni.

Un recente video su Youtube realizzato da un provider di servizi internet negli U.S.A. (T-mobile)[xvii] spiega come funziona la trasmissione e ricezione dei segnali radio che consentono di collegarsi ad internet via wireless.

Facendo un parallelo con un bar, un dirigente della compagnia spiega che se si entra in un bar vuoto si sentono tutte le voci dei propri ospiti in modo chiaro e distinto senza doversi avvicinare alla persona con cui si vuole parlare, mentre se si entra in un bar affollato bisogna avvicinarsi all’orecchio del proprio amico per farsi capire o per ascoltare. Così i segnali radio dei ripetitori devono essere quanto più vicini possibili alle popolazioni riceventi al fine di avere una ricezione wireless internet veloce e chiara non distorta da altri segnali.

Ci sembra che la metafora sia perfetta per l’individuazione di un “ambito territoriale digitale ottimale” che di seguito proponiamo.

Quanto più il flusso di dati è ottimale su base locale, tanto più, in una società di digitale avanzato, quel territorio può dare servizi di valorizzazione e gestione proprietaria dei dati, anche sensibili, che corrono sui ponti ripetitori wireless, calcolando il volume di radiazione dell’onda elettromagnetica rispetto alle caratteristiche orografiche dell’area geografica d’interesse[xviii].

Il testo del Codice delle comunicazioni elettroniche(D.Lgs. 259/2003) successivamente modificato dal D.Lgs. 28 maggio 2012, n. 70, prevede che nel caso di “uso privato”, la rete wireless deve essere utilizzata soltanto per trasmissioni riguardanti attività di propria pertinenza, ovvero di pertinenza della comunità, con espresso divieto di effettuare traffico per conto terzi.

La normativa, quindi, dà carta bianca a quelle comunità locali che avessero necessità di collegare numerosi edifici riconducibili alla medesima comunità territoriale al fine di comunicare notizie di rilevanza pubblica, o per scambiare dati riservati di tipo tributario, di tipo amministrativo (servizi pubblici), o dati sensibili di tipo sanitario, etc., senza entrare sulla rete internet, ma gestendo i dati sulla rete locale.

Ovvero la comunità ritorna proprietaria del più importante asset e/o bene pubblico del XXI secolo i dati personali e collettivi, sensibili e non.

La realizzazione di reti riservate di dati su base locale consentirebbe di mantenere la riservatezza sui dati trattati senza rischi di rivendita degli stessi dati, per come il recente caso della vendita dei dati fatta da Facebook a Cambridge Analytica[xix].

Infatti, la sicurezza e la privacy all’interno di una rete wireless costituiscono beni “esposti”, molto più che non in una rete cablata (molto più costosa della rete wireless) e conseguentemente devono essere adeguatamente protetti[xx].

Il flusso di dati comunitari per usi amministrativi, sociali, culturali o per rilevazioni ambientali tramite una rete wireless proprietaria, con gli opportuni sistemi di sicurezza, può rimanere riservata e, perciò, esente da violazioni di diritti industriali (brevetti, licenze, etc[xxi]) o d’autore, furti, manipolazioni, cancellazioni, installazione di malware e plagi effettuati via internet[xxii].

Tornando sul tema culturale, una delle applicazioni digitali possibili per la fruizione dei beni culturali comunitari è quella degli occhiali digitali a realtà aumentata al fine della fruizione georeferenziata dei beni, ovvero l’uso di occhiali che facciano vedere in modo coerente e simultaneo la realtà attuale di un parco archeologico e quella, ad esempio, di 2000/3000 anni fa degli stessi luoghi[xxiii].  Per offrire tale servizio sul territorio occorrono, anche qui, ripetitori ponti-wireless di proprietà comunitaria a cui fare collegare gli occhiali digitali.

Già solo questo esempio fa intendere l’enorme importanza del tema della proprietà, privacy e tutela dei dati legati a diritti industriali su tecnologie già oggi disponibili, con un piccolo investimento, per la fruizione in realtà aumentata dei beni culturali.

Considerata la distanza già raggiunta di 304 km in collegamento wireless (via mare) e di 37 km (via terra), i possibili sviluppi tanto della ricerca quanto più prosaicamente dei ponti e ripetitori giustificati dal sistema orografico della penisola e considerata la superficie media dei Gal Leader in Italia[xxiv] di 708 kmq (nella aree in ritardo di sviluppo di 654 kmq), si potrebbe ipotizzare la realizzazione di una rete di almeno 19 ponti wireless (a seconda della conformazione orografica) di proprietà comunitaria in frequenza 5 Ghz, frequenza gratuita e utilizzabile senza alcuna autorizzazione, quale bene comune per la gestione e tutela dei dati della comunità.

La proprietà della rete e dei dati dell’ambito territoriale digitale ottimale è, dunque, la “miniera d’oro” dei giorni nostri e bene comune da fare gestire alle comunità.

Governance partenariale del territorio e partecipazione

Sopra si faceva cenno alle politiche bottom-up e alle modalità partenariali di condivisione e partecipazione tipiche dell’esperienza GAL.

Il regolamento generale riafferma il metodo e il valore della concertazione partenariale[xxv] ai fini dell’elaborazione dei programmi europei a norma dell’art. 26 par.2 del Regolamento UE 1303/2013, che dispone: “I programmi sono elaborati dagli Stati membri o da un’autorità da essi designata, in cooperazione con i partner di cui all’articolo 5…”. Il regolamento dispone ancora che “ogni stato membro organizza per la programmazione un partenariato con le competenti autorità regionali e locali, le parti economiche e sociali; i pertinenti organismi che rappresentano la società civile, i partner ambientali, le organizzazioni non governative e gli organismi di promozione dell’inclusione sociale, della parità di genere e della non discriminazione[xxvi].

La Commissione Europea su delega regolamentare (Rel.Del.UE 240/14) ha adottato un Codice Europeo di Condotta del Partenariato che stabilisce i criteri di funzionamento del partenariato ovvero i principi per la scelta dei partners pertinenti, la programmazione, la preparazione dei bandi, l’assistenza tecnica ai partenariati, la sorveglianza dell’attuazione e le buone prassi per evitare conflitti di interesse in generale.

L’art. 8 del detto Regolamento Delegato UE 240/2014, cui rimanda l’art. 5 del Regolamento UE 1303/2013, recita: “Gli Stati membri, in conformità al loro quadro istituzionale e giuridico, coinvolgono i partner pertinenti nella preparazione dei programmi, in particolare per quanto riguarda: a) l’analisi e l’identificazione delle esigenze; b) la definizione o la selezione delle priorità e dei relativi obiettivi specifici; c) l’assegnazione dei finanziamenti; etc.”.

L’art. 4 del Regolamento Delegato UE 240/2014 identifica tra i numerosi partner pertinenti istituzionali, socio-economici e della società civile, “organismi che rappresentano i Gruppi di Azione Locale”. Questo fa sì che siano legittimati a concorrere alla preparazione dei programmi anche il rappresentante delle reti regionali, nazionali ed europee dei Gal.  Il partenariato, pertanto, partecipa a tutte le attività di preparazione e attuazione dei programmi e verifica lo stato di attuazione dei programmi.

Nelle politiche di sviluppo territoriale il partenariato, definito “multilevel dal regolamento generale, si sostanzia in termini di governance e controllo.  Tale governance, a livello più alto, si occupa delle sole fasi del controllo a mezzo dei Comitati di Sorveglianza[xxvii] dei vari programmi operativi.

A livello locale il partenariato, con i Gal, assume, però, anche la competenza e la responsabilità della gestione diretta delle risorse trasferite a mezzo dei Consigli di Amministrazione.

In essi è garantita la rappresentanza degli interessi socio-economici locali sia pubblici che privati, nei quali comunque, come visto sopra, né le autorità pubbliche né un singolo gruppo di interesse possono rappresentare più del 49% degli aventi diritto al voto e, ove comunque, la maggioranza deve essere in mano alle componenti private.

Si garantisce, ovvero, da una parte, una gestione privatistica e non governata da logiche politiche e, dall’altra parte, che non vi siano gruppi o stakeholders dominanti anche in termini di patti parasociali. La compresenza di diverse sfere di interessi e stakeholders oltre ad avere ricadute in termini di partecipazione ai procedimenti, con connessa riduzione dei contenziosi, garantisce effettivo controllo e trasparenza degli stessi.

L’approccio place-based facilita insomma la maturazione dello spirito civico dei portatori di interessi. Questi, infatti, una volta coinvolti nel processo di formulazione delle politiche, si sentiranno anche maggiormente responsabilizzati nella veste di controllori e co-produttori dei servizi di pubblica utilità di cui necessitano[xxviii].

Un coinvolgimento ampio ed effettivo dei portatori di interesse consolida la trasparenza e la transparency delle Istituzioni e del processo decisionale, e di riflesso, il senso di fiducia nelle Istituzioni dei cittadini.

Il coinvolgimento partenariale[xxix]:

  1. perfeziona la governance di livello locale, migliora i rapporti inter-istituzionali e favorisce la creazione di partenariati pubblici-privati, per opere pubbliche e servizi, creando effetti anche sul piano socio- economico;
  2. favorisce una programmazione coerente con punti di forza e di debolezza del territorio, giacché basata sul contributo di conoscenza degli stakeholders locali;
  3. garantisce un senso di responsabilizzazione e di carattere identitario sulle strategie di sviluppo e sui progetti da parte delle comunità locali, in quanto riguardanti esigenze delle comunità locali. La maggiore ownership percepita si riverbera in un impegno civile di tutti i portatori di interesse rispetto agli impegni presi al momento della programmazione[xxx];
  4. contribuisce, di conseguenza, alla sostenibilità nel tempo dei risultati dei processi di sviluppo. Alla base della sostenibilità dei risultati, infatti, vi sono in primo luogo la fiducia degli stessi beneficiari e delle comunità locali sulla validità dei progetti e la loro piena condivisione degli obiettivi e delle linee portanti della strategia;
  5. rafforza i processi di “costruzione del capitale sociale locale”, decisivi per la sostenibilità[xxxi] delle dinamiche di sviluppo su scala locale[xxxii];
  6. l’innovazione comunitaria – a livello di imprese, sistemi di imprese e aree territoriali – si fonda sempre di più sul coinvolgimento degli utenti finali (cittadini) nell’ideazione, prototipazione e validazione di mercato di nuovi beni e servizi (open innovation). Questo approccio consente di apprendere dalla ‘intelligenza collettiva’ e di ridurre i rischi di mercato di produttori e innovatori. Queste considerazioni, inoltre, in misura crescente valgono anche con riferimento alla produzione di servizi di interesse collettivo[xxxiii];
  7. L’adozione di una governance partecipativa[xxxiv] risolve il problema dell’accountability, in quanto obbliga, in un certo senso, le organizzazioni responsabili a dare un riscontro sui risultati concretamente ottenuti a tutti gli stakeholder convenuti nel processo partecipativo di definizione degli obiettivi. Si ritiene infatti che l’adozione delle politiche partecipative renderebbe tutti gli stakeholder più consapevoli delle azioni in corso e maggiormente interessati a verificare quanto è stato compiuto[xxxv];
  8. la partecipazione alla decisioni da parte dei diversi stakeholders, oltre a garantire trasparenza e collegialità delle stesse, ha fatto registrare un sensibile abbattimento del contenzioso su decisioni (ad esempio per la selezione dei beneficiari) ove ordinariamente si registra un alta incidenza di cause, con i connessi ritardi e rallentamenti dei procedimenti amministrativi causa le ordinanze cautelari di sospensione degli atti;
  9. le tecniche di progettazione “partecipativa”[xxxvi] sono molto utili per stimolare l’individuazione di nuove soluzioni per problemi sociali, tecnologici e di mercato (nuove idee) da parte dei potenziali beneficiari e la loro implementazione viene sempre più facilitata dallo sviluppo di reti informatiche, di applicazioni per smartphones e del web 3.0. Tali tecniche vanno dai “dialogue cafés[xxxvii]alle conferenze destrutturate e ai BarCamps[xxxviii]

Tali tecniche sono importanti poiché la participatory governance, si deve esplicare attraverso nuove pratiche deliberative, partendo dalla constatazione che le pratiche tradizionalmente utilizzate nei processi governativi generalmente ostacolano, anziché facilitare, il realizzarsi di una genuina partecipazione democratica che dovrebbe vedere lo svilupparsi di forme di citizen competence, empowerment e capacity building[xxxix]

Si rimanda al testo indicato nella penultima nota per una più estesa trattazione sul tema delle tecniche partecipative.

Il criterio bottom-up, oltre che relativo alla modalità della governance comunitaria qui proposta, è altresì utile al fine della costruzione pratica e condivisa dei modelli giuridici ed interpretativi eco-giuridici:“in molti casi, infatti, i modelli giuridici sono circolati in senso ascendente (bottom-up), cioè dal basso verso l’alto, e l’Unione Europea ha fatto proprie alcune fattispecie giuridiche, traducendole, poi, in direttive e regolamenti con i quali, secondo un percorso questa volta discendente (top-down), ha imposto a tutti gli stati appartenenti alla Unione di uniformarvisi”[xl]

Gestione dei beni comuni culturali: applicazione del paradigma

Torniamo ai beni culturali, per come c’eravamo impegnati all’inizio.  E’ importante premettere alcune osservazioni sulla Convenzione di Faro[xli] che dovrebbe essere a breve recepita dallo Stato Italiano.

Essa prevede alla Parte III disposizioni per la “Responsabilità condivisa nei confronti del patrimonio culturale e partecipazione del pubblico”. All’articolo 12, rubricato “accesso al patrimonio culturale e partecipazione democratica”, il punto e) impegna gli Stati “a riconoscere il ruolo delle organizzazioni di volontariato come soci nelle attività (…)”.  Pertanto, la Convenzione di Faro prevede che le ONG (organizzazioni di volontariato) debbano essere riconosciute partners (socie) nelle attività per il patrimonio culturale.

Questa previsione partecipativa riecheggia l’articolo 144 del Codice dei Beni Culturali che prevede che nei procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici siano assicurate la concertazione istituzionale, la partecipazione dei soggetti interessati e delle associazioni portatrici di interessi diffusi e ampie forme di pubblicità[xlii].

Altrettanto prevede UNESCO per la candidatura alla World Heritage List dei siti culturali ovvero forme di governance partenariale per la redazione dei piani di gestione e per la stessa gestione successiva delle attività e dei monitoraggi[xliii]. Questo per quando riguarda la partecipazione.

Per quanto riguarda il tema della gestione l’articolo 11 punto b) della Convenzione impegna gli Stati “a sviluppare (nella gestione) il contesto giuridico, finanziario e professionale che permetta l’azione congiunta di autorità pubbliche, esperti, proprietari, investitori, imprese, organizzazioni non governative e società civile”, al punto e) “ad incoraggiare organizzazioni non governative interessate alla conservazione del patrimonio ad agire nell’interesse pubblico”.

Dunque, la Convenzione di Faro tra breve impegnerà l’Italia a sviluppare norme (contesto giuridico) per azioni congiunte di parti pubbliche e private nella gestione dei beni culturali. In particolare le ONG verranno “incoraggiate” ad agire nella gestione. Esattamente quello che si sono proposti gli autori nel volere sottrarre i beni comuni alle logiche antiecologiche ed estrattive del capitalismo multinazionale.

Con riferimento al coinvolgimento (in quanto “partners” nelle attività) delle organizzazioni di volontariato (ONG) nelle attività di gestione, osserviamo che in altri scritti[xliv] abbiamo esaminato la rivoluzione (silenziosa) occorsa nel settore dei beni culturali In Italia.

Forse grazie ai richiami di Eurostat[xlv], ufficio della Commissione Europea preposto al rispetto dei vincoli di equilibrio di bilancio del Fiscal Compat, lo Stato ha preso provvedimenti riparatori per evitare che il settore dell’offerta dei servizi museali etc., possa essere inquadrato tra gli investimenti generatori di entrate ovvero aiuti di Stato[xlvi].

Il legislatore ha, dunque, opportunamente eliminato ogni riferimento alle forme di concessione, project finance, PPP, etc. nel settore dei beni culturali dal Codice dei Contratti Pubblici e dall’annesso Regolamento (DM 154/17) al fine di non essere sottoposto a tale possibile criticità[xlvii].

Contemporaneamente, in vari articoli del Codice del Terzo Settore (D.Lgs 117/17)[xlviii] sono state imputate attività di restauro e di valorizzazione culturale agli enti no-profit, prevedendo che le procedure e la sostanza contrattuale per gli affidamenti in dette attività si incardino sui contratti di sponsorizzazione [xlix].

Ancora di più, l’art.01 del D.L.146/2015 ha previsto che “in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, la tutela, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale sono attività rientrano tra i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”[l].

Si è, dunque, passati da una concezione dell’offerta culturale come economica e di valore di mercato quantificabile in termini di bancabilità finanziaria (per come tipico nelle forme contrattuali delle concessioni e del project finance) ad una concezione sociale della fruizione culturale quale valore in sé e obbligo costituzionale da fornire ai cittadini quale livello essenziale delle prestazioni[li]. Questo il cambiamento di paradigma del settore culturale Italiano. Tale cambiamento, almeno così incisivo, ancora non è stato fatto con riferimento ai settori delle cosiddette “tutele differenziate” quali acqua, rifiuti, difesa del suolo, etc..

Tornando ai detti enti del terzo settore va detto, ancora, che essi si contraddistinguono per essere ontologicamente il contrario rispetto alle multinazionali, origine e matrice unica, secondo gli autori, del capitalismo estrattivo dei beni comuni che ha determinato la presente situazione di degrado ecologico globale. Gli enti del terzo settore non perseguono ovviamente l’utile ma reinvestono i guadagni al netto delle spese. Non solo. Mentre le multinazionali, grazie alla loro dimensione internazionale superano le leggi degli Stati (e delle connesse responsabilità), laddove non ne determinino pesantemente il diritto nazionale ed internazionale, gli enti del terzo settore sono di natura squisitamente locale poiché devono intervenire sulla singola specifica realtà sociale locale.

Bisogna, ora, ripetere quanto già detto nelle premesse metodologiche. In Italia i beni culturali sono rimasti più o meno immuni da situazioni di appropriazione capitalistica da parte di multinazionali. Ciò detto, osserviamo che, la grande parte dei beni culturali di rilievo è di proprietà pubblica, dello Stato Italiano o delle Regioni.

Tentiamo una risposta all’interrogativo che ci siamo posti all’inizio. Cosa necessita per una gestione dei beni comuni culturali su base comunitaria[lii]? Premesso che non si può non prevedere “integrazione” strategica di essi con altri beni comuni (per come fanno i Gal), occorrerebbe, a nostro avviso, che la titolarità e, comunque almeno la gestione, dei beni culturali stessi sia ritrasferita, alle comunità cui essi appartenevano, salvo alcuni beni non recuperabili alla fruizione civile residenziale, pubblica, commerciale, cultuale, ect.. Questi ultimi beni devono rimanere a titolarità e gestione Statale per motivi di tutela: si pensi ai parchi archeologici non recuperabili ad alcuna funzione civile (e, comunque, fermo restando la titolarità statale, destinabili alla gestione indiretta tramite concessioni di cui all’art. 115 del D.Lgs 42/04 e smi).

Bisognerebbe, dunque, restituire alle comunità la titolarità e/o gestione[liii] dell’immenso patrimonio che oggi grava sulla finanza pubblica e che, di recente, anche tramite risorse europee e nazionali è stato acquisito alla mano pubblica, sottraendolo a privati, al fine di  effettuare lavori di restauro.

Al di là del fatto che interventi di restauro si sarebbero potuti finanziare con contributi in conto capitale ed interessi anche ai titolari privati di questi beni[liv], è da tempo aperto il dibattito su come ora gestire questi beni.

Il finanziamento dell’ennesimo museo, in città o aree già sovrabbondanti di un eccessiva offerta museale a fronte di una insufficiente domanda[lv], è coinciso, in passato, con la gestione di enormi serbatoi di voti clientelari legati alle assunzioni di custodi ed addetti di ogni genere, soprattutto nelle regioni del Sud Italia ed in Sicilia, in particolare, Regione avente competenze esclusive nel settore culturale[lvi].

I progetti sono stati merce di scambio della bassa politica, talvolta assecondata anche da una sorta di amore quasi feticistico per i luoghi del patrimonio culturale da parte di funzionari fiduciosi nelle “magnifiche sorti e progressive” del pubblico. Più prosaicamente, si dovrebbe parlare di “luoghi dei morti”, absit iniuria verbis, invece che di luoghi dei vivi, quali erano in passato.

La detta restituzione alle comunità ed alle funzioni civili dei beni servirebbe, altresì, a contrastare l’offerta di un turismo sempre più “plastificato”, in favore di un’ offerta turistica di “turismo relazionale”[lvii] da vivere all’interno delle comunità dei cui beni culturali, ambientali, eno-gastronomici, eventi artistici, etc., si fruisce.

Comunità che non si rappresentano, dunque, ma “fanno sistema”: comunità e reti di comunità che pianificano l’uso del territorio e l’urbanistica[lviii], come anche l’organizzazione degli spazi commerciali e produttivi, la pianificazione dell’offerta di fruizione ambientale, culturale e paesaggistica[lix], etc., e che organizzano la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico ed, insieme, la messa a sistema dei servizi turistici, come anche il ciclo dei rifiuti con i mercatini del riciclo per i beni dismessi e la differenziazione e raccolta dei rifiuti organici, etc..

La gestione di tali beni (se non la titolarità) dovrebbe, dunque, essere ritrasferita, almeno nella gestione, in virtù dei principi di decentramento amministrativo (ex articolo 5 della Costituzione) come anche in ossequio dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (ex articolo 118 della Costituzione).

Chiaro, il trasferimento alle comunità locali dei beni culturali di titolarità statale o regionale è cosa quanto mai complessa, anche se normato dalle vigenti leggi sul federalismo demaniale[lx] in favore però di Enti Territoriali e non di comunità. Diverso ragionamento vale per accordi di valorizzazione e fruizione in favore di comunità pubblico-private, quali i Gal. Per tali funzioni già esiste la normativa che consente detti trasferimenti, almeno, gestionali.

In occasione di tali patti di valorizzazione si potrebbero aggiornare, come ovvio, vincoli legislativi alle comunità, vincoli che dovrebbero stabilire le direttive per le attività di valorizzazione[lxi] e fruizione a carico delle comunità[lxii] fermo restando l’esercizio statale degli obblighi di tutela, previsti dalla Costituzione agli articoli 9 e 117, 2° comma punto s). L’attività regolatoria dovrebbe essere, però, a carico delle comunità stesse per principi di autodeterminazione delle stesse, all’interno dei principi fissati dallo Stato.

Per fare ciò, senza ledere il dettato costituzionale che assegna la competenza della valorizzazione alle Regioni, basterà applicare il combinato disposto degli articoli 112 4° comma e 9° comma e art.115 del D.Lgs 42/04 e smi al fine di pervenire con le comunità, “su base subregionale, in rapporto ad ambiti territoriali definiti per come recita il 4° comma dell’articolo 112, ad: 1) accordi di valorizzazione, 2) piani strategici di sviluppo culturale, 3) accordi per servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali, 4) accordi per forme consortili non imprenditoriali per la gestione di uffici comuni, 5) accordi di valorizzazione con le associazioni culturali o di volontariato.

Altrettanto vale a noma dell’art. 102 del D.Lgs 42/04 e smi per accordi di fruizione dei beni culturali con le comunità (“accordi nell’ambito e con le procedure dell’articolo 112”).

A tali accordi, o all’interno di “soggetti giuridici” (5 comma), potranno essere associati i privati possessori di beni di proprietà privata[lxiii], previo consenso degli stessi, e persone giuridiche private senza fine di lucro, anche quando non dispongano di beni culturali che siano oggetto della valorizzazione, a condizione che l’intervento in tale settore di attività sia per esse previsto dalla legge o dallo statuto (art.112 comma 8).

Le persone giuridiche private senza fine di lucro abbiamo visto sopra sono gli “organismi di diritto pubblico” quali i Gal. Pertanto, i Gal, anche quando non dispongano dei beni culturali che siano oggetto della valorizzazione, potranno procedere a tali accordi di valorizzazione a condizione che l’intervento in tale settore di attività sia per esse previsto dallo statuto.

Come detto sopra, oltre al richiamo fatto dall’articolo 112 comma 9 del D.Lgs 42/04, anche il Codice del Terzo Settore prevede simili accordi di valorizzazione per le associazioni del volontariato[lxiv] e gli altri enti del terzo settore[lxv]. Ultimo tassello che manca, oltre ai citati articolati del Codice dei Beni Culturali, su quale disposizione della contrattualistica pubblica potrebbero essere incardinati detti accordi di valorizzazione e fruizione? Serve forse che i Gal vincano un bando di concessione?

No, non serve alcun bando. Attesa la natura del Gal quale organismo di diritto pubblico, esso può procedere ad accordi diretti con il Ministero dei Beni Culturali e con le Regioni.

Tali accordi sono incardinati sul combinato disposto degli articoli 3 comma 1 d) e dell’articolo 30 comma 8 del Codice dei Contratti Pubblici nonché dell’art.15 comma 1 della L.241/90.

Ovvero, classificati i Gal come organismi di diritto pubblico, essi sono amministrazioni aggiudicatrici cui si applica il Codice Contratti. Quest’ultimo all’art. 30 comma 8 prevede che “per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241”.

Si applica, pertanto, l’art.15 della stessa legge 241/90 che consente ai Gal di procedere ai detti accordi con il Ministero dei Beni Culturali e con le Regioni. In questo senso le comunità/Gal, sia da un punto di vista civilistico quali persone giuridiche senza scopo di lucro, sia da un punto di vista pubblicistico, come organismi di diritto pubblico, sarebbero deputate alla gestione, fruizione e valorizzazione dei beni comuni culturali, oltre che di quelli privati[lxvi].

Si potrebbe, dunque, attesa la già presente massiccia disponibilità di patrimonio culturale di pregio in mano pubblica, procedere prototipalmente a testare un massiccio esperimento pilota in Italia di comunità locali (Gal) deputate alla gestione di attività di valorizzazione e fruizione di beni culturali e paesaggistici per conto del Ministero e delle Regioni.

Vista la già data ampia disponibilità di supporti normativi, quello che ora serve è solo la volontà di fare.

Conclusioni

La quantistica dimostra che le osservazioni scientifiche dipendono dall’osservatore umano e dal suo processo di acquisizione delle conoscenze: la realtà è, dunque, conseguenza di ciò che pensiamo[lxvii].

In forza di tale visione quantistica gli autori osservano: “l’ordine giuridico è il mezzo più potente[lxviii] attraverso il quale viene messa in atto e trasformata in agire sociale un’interpretazione del mondo[lxix]; ne deriva che il diritto creato dall’uomo si rivela l’agente tramite il quale possiamo rendere concrete nuove idee e nuovi valori[lxx]”.

Abbiamo tentato di dimostrare, e crediamo di esserci riusciti, che le sopra descritte proposte per l’imputazione ai Gal delle attività gestionali in senso comunitario sono giuridicamente fattibili e immediatamente concretizzabili. Altrettanto si può dire delle proposte per la gestione comunitaria dei beni culturali, attuabile con l’approccio place-based dei Gal.

Su tali modelli e sulla disseminazione che eventualmente ne nascerà si potrebbe fondare un nuova concezione ed interpretazione del diritto su base locale, e con i tempi di contaminazione necessari, anche su base globale.  Tale “vision” potrebbe, secondo noi, efficacemente concorrere a rivoluzionare il rapporto tra l’uomo e l’ambiente attorno ad esso, grazie ad un nuovo concetto dei beni comuni e del loro valore d’uso, non più valore di scambio.

Il modello di gestione integrato partenariale e partecipato, da anni sperimentato da parte dei Gal, potrebbe essere il contributo che l’Unione Europea offre al mondo per il cambiamento di paradigma giuridico-ecologico auspicato dagli autori.

Vorremmo fare un ultima considerazione. Alfred North Whitehead affermò: “The safest general characterization of the European philosophical tradition is that it consists of a series of footnotes to Plato[lxxi]”. La grande autorevolezza degli autori in commento ha fatto sì che così, come “note a margine”, abbiamo voluto, con spregiudicatezza, intitolare questo scritto. Perciò vi porremo fine, cosa del resto che è ormai tempo di fare, non fosse che per discrezione.

[i]           BENACCI E. Compendio di diritto dell’ambiente 2016 Simone pag. 176

[ii]              Sui servizi pubblici vedi “il sistema del diritto amministrativo” CARINGELLA F., Dike, 2018, pag. 1 e ss.

[iii]             BENACCI E. Compendio di diritto dell’ambiente 2016 Simone pag. 140 e ancora CROSETTI A., FERRARA R., FRACCHIA F., OLIVETTI RASON N. “Introduzione al diritto dell’ambiente”, Laterza, 2018, pag. 341

[iv]             BENACCI E. Compendio di diritto dell’ambiente 2016 Simone pag. 176 e ancora CROSETTI A., FERRARA R., FRACCHIA F., OLIVETTI RASON N. “Introduzione al diritto dell’ambiente”, Laterza, 2018, pag. 351

[v]              Le autorità di bacino distrettuale di cui all’art.51 della L.221/15 vedi BENACCI E. Compendio di diritto dell’ambiente 2016 Simone pag. 136

[vi]             Si veda Competizione e aggregazioni nel TPL di BOTTANI A. – RAMELLA F. Università Cattolica Milano 2017

[vii]            Si veda l’Azienda Sanitaria Locale: struttura e funzioni di ANTONELLI V. su www.amministrazioneincammino.luiss.it

[viii]           Sul tema si veda “Sviluppo sostenibile e sistemi turistici locali. Spunti di riflessione dall’Europa” GEMMITI R. www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/rapp_atripaldi.pdf e “Distretti turistici tra sviluppo locale e cooperazione interregionale” DALLARI F.in Bencardino F., Prezioso M. (a cura), Geografia del turismo, Milano: McGraw-Hill, 2007, pp.194-218.

[ix]              Si veda sul tema tra gli altri, “La valorizzazione dei beni culturali tramite accordi” http://www.archiparma.it/wp-content/uploads/2016/09/24; BATTELLI E.“I soggetti privati e la valorizzazione del patrimonio culturale”; ROSSI P. “Partenariato pubblico-privato e valorizzazione economica dei beni culturali nella riforma del codice degli appalti”, in Federalismi.it del 17 gennaio 2018; BRUNO A. “Profili applicativi del d.lgs 228/11 e obblighi di conservazione/tutela nel settore culturale”, www.ildirittoamministrativo.it

[x]              Sulla pianificazione territoriale comunale e provinciale vedi “il sistema del diritto amministrativo” CARINGELLA F., Dike, 2018, pag. 25 e ss.

[xi]             Sulla pianificazione paesaggistica vedi CROSETTI A., FERRARA R., FRACCHIA F., OLIVETTI RASON N. “Introduzione al diritto dell’ambiente”, Laterza, 2018, pag. 271 e ss. Per la definizione normativa del paesaggio si veda CARPENTIERI P. “La nozione giuridica di paesaggio” in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico 2004, pag-636, e ss ; e ancora dello stesso autore “Salvaguardia dei valori del paesaggio” in LEONE G. TARASCO A.L. (a cura di) “Commentario al Codice dei Bemi Culturali e del Paesaggio”, Padova 2006, pagg.841 e ss.. CROSETTI “Paesaggio”in Digesto delle discipline pubblicistiche. Aggiornamento, Torino 2008; CARTEI G.F. “Paesaggio” in CASSESE S. (a cura di) Dizionario di diritto pubblico,Milano 2006, Vol.V, pagg.4063 e ss..; ANGIULI A. “Beni paesistici e codificazione”, in ANGIULI, CAPUTI JAMBRENGHI (a cura di) Commentario al Codice  dei Beni Culturali e del Paesaggio”, Torino, 2005, pagg.325 e ss; AMOROSINO S. “Art.143” in M. CAMMELLI (a cura di) “Il Codice   dei Beni Culturali e del Paesaggio”, Bologna, 2007, pag.576 e ss, etc.. Importante evidenziare anche una importante giurisprudenza della CORTE COSTITUZIONALE sul paesaggio: con sentenza 21 dicembre 2985 n. 359 la Corte aveva sancito la primarietà del paesaggio. Da ultimo la sentenza 14 novembre 2007 n. 367 della CORTE COSTITUZIONALE  ha evidenziato nel paesaggio “un valore primario e assoluto”. Anche i Piani paesaggistici sono ripartiti per ambiti (art. 135, co. 2, CBCP). Il piano svolge quattro funzioni fondamentali: conoscenza sistematica dell‟intero territorio regionale, salvaguardia, pianificazione e gestione degli elementi paesaggistici relativi ad esso. (art. 135, co. 1, CBCP). Tali funzioni si specificano nei seguenti aspetti: – accertare gli “aspetti e i caratteri peculiari” del territorio considerato e delimitare i “relativi ambiti” (art. 135, co. 2, CBCP);- predisporre per ciascun ambito una specifica normativa d‟uso, fissando al contempo adeguati obiettivi di qualità (art. 135, co. 3, CBCP);- stabilire, sempre per ciascun ambito, le prescrizioni di salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche e di riqualificazione delle aree degradate; – individuare le linee di sviluppo (indirizzi) per lo sviluppo urbanistico ed edilizio (art. 153, co. 4, CBCP). Riguardo ai beni paesaggistici, il piano provvede alla ricognizione degli immobili sottoposti a vincolo per atto amministrativo o ex lege, recependo le prescrizioni d‟uso esistenti o in mancanza determinandole, e può individuare ulteriori beni paesaggistici rientranti nei tipi previsti dall‟art. 136 (art. 140, co. 2, e art. 143, co. 1, lett. b-d, CBCP), cfr. “Il Paesaggio Report Annuale – 2011” – Italia (Ottobre 2011) SCIULLO G. su ius-publicum.com

[xii]            BENACCI E. Compendio di diritto dell’ambiente 2016 Simone pag. 182

[xiii]            BRUNO A.– ANGELINI A. ibidem pag. 161-164

[xiv]            “Community cultural planning e place making: dalla co-creazione alla condivisione dell’identità territoriale con il nuovo viaggiatore” di TAVERI E. pag. 293 e ss  in Impresa Cultura 13 rapporto annuale Federculture, Gangemi, 2017

[xv]             Barca nel succitato Rapporto aveva previsto nel 2009 le grandi masse migratorie e le conseguenti reazioni sovraniste in Europa. Da qui la proposta dell’antidoto rappresentato dalle politiche Place-Based, rimedio poi sottaciuto dalla Commissione Europea presieduta da Juncker (F.BARCA, An agenda for a reformed cohesion policy. A place-based approach to meeting European Union challenges and expectations, Independent Report, https://ec.europa.eu/migrant-integration/librarydoc/an- agenda-for-a-reformed-cohesion-policy-a-place-based-approach-to- meeting-european-union-challenges-and-expectations-barca-report)

[xvi]            Per le normative e le tecniche per l’identificazione dei territori e delle strategie vedi BRUNO A.– ANGELINI,A. ibidem pag.65 e ss.

[xvii]            “T-Mobile Ad Shows How Wireless Communication Works” su youtube.com

[xviii]         “Un collegamento senza fili lungo 304 km batte il record delle trasmissioni wireless. È successo in Italia e a mettere a punto il sistema ci hanno pensato due ricercatori italiani. Ermanno Pietrosemoli e Marco Zennaro, ricercatori dell’International Centre for Theoretical Physics (ICTP) di Trieste, hanno stabilito un collegamento tra il Monte Amiata e il Monte Limbara, attraversando il Mar Tirreno. Le due montagne si trovano infatti rispettivamente in Toscana e in Sardegna. Tra le due coste italiane sono stati scambiati 354 megabit per secondo, 176 Mbps in una direzione e 179 Mbps nell’altra, usando solo 5 Ghz di spettro. Il record precedente, realizzato nell’ambito del progetto ACCESS , aveva raggiunto velocità superiori (750 Mbps), ma i dati erano stati trasmessi in proporzione a una frequenza di gran lunga maggiore, pari a 71-76 Ghz”. Inoltre la distanza massima alla quale era stato possibile trasferire i dati non superava i 37 Km, la distanza tra Cologna e Wachtberg in Germania. L’esperimento italiano ha anche un ulteriore vantaggio che è molto importante. La frequenza a 5 GHz è gratuita e utilizzabile senza alcuna autorizzazione, al contrario di quella utilizzata nell’esperimento tedesco”. “A livello commerciale infatti la trasmissione wireless su lunghe distanza è già un servizio offerto pure in Italia per zone isolate o montagnose, dove la fibra tarda ad arrivare”. “Guardando oltre le cifre, il record raggiunto rappresenta un nuovo avanzamento tecnico in grado di aumentare significativamente la capacità di una rete senza richiedere grandi investimenti economici. La tecnologia wireless infatti è meno costosa di una connessione cablata e, con l’ottimizzazione sulle lunghe distanze si potrebbero raggiungere anche zone remote della Terra” si veda “Wi-Fi da record: l’Italia raggiunge la più lunga distanza di connessione wireless” di G.ANNOVI su www.wired.it 08.08.2016

[xix]            “Zuckerberg, cosa rimane delle due audizioni al Congresso”, 12.04.2018 di S.COSINI su www.wired.it

[xx]             “Privacy e sicurezza delle reti wireless” di T.PERFETTI, in www.diritto.it, pag.11

[xxi]            Sul concetto di “segretezza” delle informazioni aziendali, cfr. l’art. 99 del D.Lgs. 30/2005 e smi (c.d.“Codice della proprietà industriale” aggiornato con D.Lgs 63/2018), laddove viene offerta una tutela civilistica (oltre a quella già prevista nel codice penale), con particolare riferimento all’art. 2598 c.c. (concorrenza sleale), sempre che la violazione o lo scorretto e/o illecito comportamento sia stato posto in essere da un altro imprenditore. Le informazioni aziendali sono oggetto di tutela ai sensi dell’art. 99 cit., in quanto esse siano: segrete, cioè ignote o non facilmente accessibili agli esperti ed operatori del settore; suscettibili di valutazione in termini economici; siano sottoposte a misure di protezione adeguate.

[xxii]            P.SCOGNAMIGLIO, “Criminalità informatica (Commento organico alla Legge 18 marzo 2008, n. 48)”, Edizioni Giuridiche Simone, 2008, p. 64.

[xxiii]           Il progetto civile (Explorer Edition) Prototipo dei Google Glass è stato reso disponibile per gli sviluppatori di Google I/O, negli Stati Uniti, a inizio 2013. Nel Gennaio 2016 Google chiude definitivamente il progetto per fini civili. Venne lanciato sul mercato nel 2017 il prodotto con il programma “Glass at Work”si veda “Addio Google Glass, cancellati anche gli account sui social network” – Wired, in Wired, 26 gennaio 2016

[xxiv]           “Nuovi percorsi di sviluppo locale. Il programma leader e la sua applicazione” di S.SIVINI Rubettino, 2003, pag.70

[xxv]            Concertazione partenariale da sempre chiamata quale metodo bottom-up: “The bottom-up, locally led approach LEADER has proven to be an effective means to local capacity building and to promoting social inclusion, poverty reduction and job creation in the local economy. There is a need for better synergy and coordination with municipal authorities and local agencies to fully mobilise rural potential” (Communication from the Commission to the European Parliament, he Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions The Future of Food and Farming”, Brussels, 29.11.2017 COM(2017) 713 final, pag. 21.

[xxvi]           BRUNO A.– ANGELINI A. ibidem pag. 90

[xxvii]         L’art. 49 del Regolamento (UE) n. 1303/2013 specifica le funzioni del Comitato di Sorveglianza, mentre la sua composizione è conforme a quanto stabilito all’art. 48, paragrafo 1.

[xxviii]        EGGERS W.D., O’LEARY J., If we can put a man on the moon: getting big things done in government, 2009.

[xxix]          CAPRA in “La rete della vita” del 1996 a pag.327-334 tratta dell’analogia tra comunità umane comunità viventi, della partnesrship come caratteristica essenziale delle comunità sostenibili ed uno dei marchi della vita. Nelle comunità umane la partnership, dice Capra, significa democrazia e sviluppo delle potenzialità individuali, dato che ogni membro ha un ruolo importante. (…) l’economia incoraggia la competizione, l’espansione e la dominazione cooperazione: l’ecologia incoraggia la cooperazione, la conservazione e la partnership”.

[xxx]           Con lo sviluppo locale partecipativo si rende possibile la co-produzione di scelte pubbliche attraverso pratiche sociali, e non più solo politiche, che conferiscono ad esse una qualità certamente diversa, arricchita com’è di elementi cognitivi e motivazionali. Vedi DONOLO C., Il distretto sostenibile. Governare i beni comuni per lo sviluppo, 2003, REGONINI G., Paradossi della democrazia deliberativa, 2005. Viene spontaneo fare riferimento ad un nuovo concetto che si è diffuso nella letteratura sull’argomento (principalmente nelle social sciences) ovvero il concetto di empowerment con il quale si fa più spesso riferimento al modo attraverso il quale il soggetto si attiva sul mercato del lavoro per reinserirsi nella vita attiva. Vedi BARBIER J.C., Attivazione, 2005, PACI M., a cura, Welfare locale e democrazia partecipativa, 2008.

[xxxi]          Circa la sostenibilità nelle politiche dell’ Europa e in Italia (processo di Lisbona e governance europea) si veda LA CAMERA F. “Sviluppo sostenibile” Ed.Riuniti, 2005, pagg.295-412

[xxxii]         EVANS P., Government Action, Social Capital and Development: Reviewing the Evidence on Synergy, 1996 TRIGILIA C., Sviluppo locale. Un progetto per l’Italia, 2005

[xxxiii]        Cfr., EUROPEAN COMMISSION, Open Innovation 2.0., 2014.

[xxxiv]        BOBBIO L. “Dilemmi della democrazia partecipativa”, in Democrazia e diritto, 2006, v.44, n.4, pp.11-26;  ALLEGRETTI U. “Basi giuridiche della democrazia partecipativa in Italia: alcuni orientamenti”, in Democrazia e diritto, 2006, n.3, pp.151-166.

[xxxv]         Badia Francesco (2012), Monitoraggio e controllo della gestione dei siti UNESCO. Il piano di gestione come opportunità mancata?, in Tafter Journal, n.52

[xxxvi]        L’approccio dello ‘sviluppo condiviso’ va oltre la tradizionale contrapposizione fra lo sviluppo ‘endogeno’ e quello ‘esogeno’ – come si evince dalla colonna finale della tabella che segue – e “si fonda primariamente sulla concertazione, che peraltro, non riguarda solo l’allocazione delle risorse, ma anche e soprattutto la definizione degli assi prioritari dello sviluppo del territorio; si tratta inoltre di un processo di tipo incrementale che si autoperpetua, giacchè le risorse che lo alimentano – in particolare risorse di natura fiduciaria – hanno la prerogativa di accrescersi quanto più vengono impiegate”. Vedi ZANFRINI L., Lo sviluppo locale in una prospettiva sociologica, in CICIOTTI E., RIZZI P. (2005), Politiche per lo sviluppo territoriale, Carocci, Roma. Tale approccio, infatti, consente di rafforzare sia il senso di ownership degli stakeholders, sia la dotazione locale di “fiducia”.

[xxxvii]       “Dialogue Café uses state of the art video conferencing (TelePresence) to link up citizens from all around the world. A person can go to a Dialogue Café in London, for example, and have a cup of tea with one friend sitting in a Dialogue Café in Lisbon and another in New York at the same time. This network of cafés will be opened up to non-profit organisations to host and organise events and meetings. Proof of concept cafés have been established in London, Istanbul and New York and the first five cafés (in London, Doha, Lisbon, Shang- hai and Sao Paolo) will be operational in 2010”. Open Book of Social Innovation di MURRAYR., CAULIER-GRICE J. E MULGAN G, The Young Foundation 2010, p. 45 punto 74.

[xxxviii]      Territorialised social agenda, vedi, An agenda for a reformed cohesion policy. A place-based approach to meeting European Union challenges and expectations Independent Report, BARCA F., p. XIII. Sul tema dell’entrata delle politiche sociali nelle politiche dei fondi strutturali si veda Menabò di Etica ed Economia Le politiche sociali nell’Unequal Europe e le proposte dei Friends of Europe: un commento, Categories: Diritti e politiche sociali Tagged as: Menabò n. 25, GABRIELE S., 7 luglio 2015, per la stessa collana La lunga ricerca di una dimensione sociale per le politiche comunitarie, n. 25, TANGORRA R., 2 luglio 2015, ivi, Open book. Sul tema BRUNO -ANGELINI, cit. pag. 51-53

[xxxix]        ERCOLE E. “Governance, partecipazione e inclusione nei piani di gestione dei siti della world heritage list dell’Unesco”, Annali del Turismo, VI, 2017, pag. 186, Edizioni Geoprogress

[xl]              CROSETTI A., FERRARA R., FRACCHIA F., OLIVETTI RASON N. “Introduzione al diritto dell’ambiente”, Laterza, 2018, pag.7

[xli]            Convenzione di Faro Consiglio d’Europa – Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la Società (CETS no. 199) 18/03/08 Faro, 27.X.2005

[xlii]           L’articolo 144 2 comma prevede che le regioni dovranno disciplinare mediante apposite norme di legge i procedimenti di pianificazione paesaggistica, anche in riferimento ad ulteriori forme di partecipazione, informazione e comunicazione, cfr.AMOROSINO S., Commento agli artt. 135, 143 – 144 e 145 in AA. VV. Il codice dei beni culturali e del paesaggio ,a cura di CAMMELLI M., IIa ed., Bologna 2007  “Il Paesaggio Report Annuale – 2011” – Italia (Ottobre 2011) SCIULLO G. su ius-publicum.com pag.6

[xliii]          UNESCO, (2005), Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention, WHC. 05/2, 2 February, Paris, World Heritage Centre. Al paragrafo 108 delle Guidelines, si afferma che “each nominated property should have an appropriate management plan or other documented management system which must specify how the outstanding universal value of a property should be preserved, preferably through participatory means”. Tra gli elementi chiave del management plan indicati al paragrafo 111: d) “the involvement of partners and stakeholders”. Cfr. SIBILIO PARRI B. “Uno strumento di gestione del patrimonio culturale: il caso dei siti UNESCO”, in Economia e diritto del terziario, 2011, v.23, n.2, pp.307-333, PETTENATI G. “Uno sguardo geografico sulla World Heritage List. La territorializzazione della candidatura”, in Annali del turismo, 2012, n.1, pp.165-179 e GARZIA G. “Tutela e valorizzazione dei beni culturali nel sistema dei piani di gestione dei siti UNESCO”, 2014, Aedon, n.2 <http://www.rivisteweb.it/download/article/10.7390/78028. Un caso di gestione partecipata del sito è quella del Centro Storico di Firenze ove è stata attuata una multi-stakeholder strategy, si veda FRANCINI C. “La Maratona dell’Ascolto per il Centro Storico di Firenze Patrimonio Mondiale UNESCO”, in Siti, rivista dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale UNESCO, n.10, 2017

[xliv]          Citati nel corso di questo studio

[xlv]           Estensivamente sul tema dei rischi e delle posizioni Eurostat si veda V.VECCHI – V.LEONE “Partnership pubblico privato”, Bocconi , 2016 e ancora di recente in “Partenariato pubblico-privato e project finance” di M.NICOLAI e W.TORTORELLA, Maggioli, 2017 il saggio “La contabilizzazione dei partenariati pubblico-privati nei bilanci pubblici”, di L.BISIO e D.VALERIO, da pag. 217 a pag. 268 

[xlvi]            CARPENTIERI P., “Il Partenariato pubblico-privato nel campo dei beni culturali”, in Impresa e Cultura 13° rapporto annuale Federculture, Gangemi 2017, pag. 99

[xlvii]           BRUNO A.“Public private partnership e indicazioni soft-law di Eurostat” su www.diritto.it del 10 ottobre 2017 pag.41-77

[xlviii]        Articoli 89 comma 17 e 71 comma 3 del Dlgs 117/17. Cfr. BRUNO A. in “P.P.P. e beni culturali : ragioni di un cambio di rotta legislativo e conseguenze sull’impianto ordinamentale” in  www.ildirittoamministrativo.it, 4 dicembre 2017, pag.16

[xlix]          Si veda BRUNO A.“Confutazioni e soluzioni per l’applicazione del dlgs 228/11 al settore dei beni culturali: messa a sistema dei servizi pubblici culturali quali livelli essenziali delle prestazioni”, in www.diritto.it, 27/06/2018, pag. 20 e ss.

[l]               S.CAVALIERE “i livelli essenziali delle prestazioni e i nuovi “diritti culturali” in Rivista AIC Associazione Italiana Costituzionalisti n.3/2017

[li]              BRUNO A.“Confutazioni…”, ibidem  pag.34 e ss.

[lii]              Sul tema della gestione dei beni comuni si veda ARENA G, IAIONE C. (a cura di) L’età della condivisione. La collaborazione tra cittadini e amministrazione per i beni comuni” Carocci 2015; BOMBARDELLI M. (a cura di) “Prendersi cura dei beni comuni per uscire dalla crisi . Nuove risorse e nuovi modelli di amministrazione”, Editoriale Scientifica 2016; AA.VV. “La cooperazione di comunità. Azioni politiche per consolidare le pratiche e sbloccare il potenziale di imprenditoria comunitaria”, Trento, Libro Bianco a cura di EURICSE, www.euricse.eu

[liii]             Tra le pratiche eco-giuridiche Capra e Mattei pongono l’esperienza del Teatro Valle “bene comune” a Roma, quale esempio di gestione comunitaria ed innovativa di un bene culturale vedi CAPRA, MATTEI, ibidem, pag. 197 e 227

[liv]             Artt. 31 comma 2, 33 e 34 del D.Lgs 42/04 e smi

[lv]              “Al museo archeologico di Caltanissetta troviamo 21 custodi in servizio che sono costati alla Regione 630.000 euro nel 2010 mentre l’incasso è stato di appena 1437 euro. Per no dire di quello di Marianopoli che ha incassato 201 euro ma ne ha spesi 402.000 per 14 custodi”, si veda STELLA G.A. – RIZZO S.“Licenziare i padroni: l’Italia tradita dalla casta”, Rizzoli, 2011

[lvi]            Sul tema si veda BRUNO A., Beni Culturali e Paesaggistici: dalla Programmazione 2000- 2006 a quella 2007-2013, 2008. La Sicilia è la Regione ove l’autore ha svolto per anni funzione di consulente all’Assessorato Regionale ai Beni Culturali.

[lvii]            Si veda MOTRIS Mappatura dell’offerta turistica in Sicilia ARCES 2006

[lviii]            In USA si studia il caso dei Patti di Collaborazione tra cittadinanza e amministrazione comunale a Bologna. A seguire il legislatore ha previsto nel Codice dei Contratti Pubblici, D.Lgs 50/16 e smi, gli articoli 189 e 190, in particolare, relativi ai partenariati sociali per la condivisione di progetti di rigenerazione e ristrutturazione urbana (anche nel settore culturale) tra comunità di cittadini e amministrazioni. Sul punto si veda BRUNO A. in “P.P.P. e beni culturali : ragioni di un cambio di rotta legislativo e conseguenze sull’impianto ordinamentale” in  www.ildirittoamministrativo.it, 4 dicembre 2017, pag.11

[lix]             Sullo stato della pianificazione paesaggistica in Italia, rispetto alla convenzione Europea del Paesaggio di Firenze 2000 e rispetto alla Carta di Gubbio (1960) sui centri storici  si veda “Piani paesaggistici e pianificazione territoriale” di VIVIANI S. pag.187 e ss in Impresa Cultura 13 rapporto annuale Federculture, Gangemi, 2017

[lx]              Il federalismo demaniale è disciplinato dal d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85, e rientra nel più vasto processo del federalismo fiscale. Quest’ultimo è previsto in Italia dall’articolo 119 della Costituzione ed è in corso di attuazione ad opera della legge 5 maggio 2009, n. 42. Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e l’Agenzia del Demanio, nell’ambito delle rispettive competenze, hanno definito a livello nazionale le procedure operative (Circolare 6 e 18 del 2011) a cui gli organi periferici di devono attenere nell’attuazione delle previsioni di cui all’articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, in materia di trasferimento agli Enti territoriali di beni immobili appartenenti al patrimonio culturale dello Stato, tramite specifici accordi di valorizzazione e dei conseguenti programmi e piani strategici di sviluppo culturale.

[lxi]             Ancorché la Costituzione preveda all’art.117 terzo comma la competenza per la valorizzazione dei beni culturali in capo alle Regioni. Sul tema della confusione tra obblighi di tutela e obblighi di fruzione/valorizzazione trattata  dall’autore in “Confutazioni e soluzioni per l’applicazione del dlgs 228/11 al settore dei beni culturali: messa a sistema dei servizi pubblici culturali quali livelli essenziali delle prestazioni”, in www.diritto.it, 27/06/2018, pag.20 e ss., si veda anche  M. DUGATO, Fruizione e valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e servizio privato di utilità pubblica, in www.aedon.ilmulino.it, n. 1/2007, par. 4., C. CARMOSINO, Le modalità e i luoghi della fruizione, in L. CASINI (a cura di), La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, 2010, 207 e 208, L. DEGRASSI, La “fruizione” dei beni culturali nell’ordinamento italiano e comunitario  in EA (a cura di), Cultura e Istituzioni. La valorizzazione dei beni culturali negli ordinamenti giuridici, Milano, 2008, 146, ss., P. CARPENTIERI in “Fruizione, valorizzazione, gestione dei beni culturali Relazione tenuta al convegno “Il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio. Prospettive applicative” su AvvocatiAmministrativisti.it e A.ACCADIA, L.ALFIDI, G.PANASSIDI I beni culturali e paesaggistici 2006 Sole 24 Ore, pag. 43

[lxii]           “By active cultural participation, we mean a situation in which individuals do not limit themselves to absorb passively cultural stimuli, but are motivated to make use of their skills to contribute to the process: Not simply hearing music, but playing; not simply reading texts, but writing, and so on. By doing so, individuals challenge themselves to expand their capacity of expression, to re-negotiate their expectations and beliefs, to reshape their own social identity” in “Culture 3.0. Cultural participation as a source of new forms of economic and social value creation: A European perspective P. L.SACCO, G. FERILLI, G. TAVANO BLESSI, pag. 29

[lxiii]          Sull’imprenditoria culturale si veda P.PIETRAIOLA – D.LA MARCA “per un imprenditoria qualificata nella gestione di beni e servizi culturali” pag. 67-79 Impresa Cultura 13 rapporto annuale Federculture, Gangemi, 2017

[lxiv]            Uno studio interessante è quello svolto da MANNINO F. “Imprese non profit e partecipazione culturale. In Italia ci cittadini prendono parte così”, pag. 131 Impresa Cultura 13 rapporto annuale Federculture, Gangemi, 2017

[lxv]           A norma dell’art. 89 comma 17 del Dlgs 117/17, in attuazione dell’articolo 115 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 per la valorizzazione a gestione indiretta dei luoghi della cultura, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, le regioni, gli enti locali e gli altri enti pubblici possono attivare forme speciali di partenariato con enti del Terzo settore che svolgono dette attività. Tali enti del terzo settore sono individuati attraverso le procedure semplificate dei contratti di sponsorizzazione.  Ancora l’art. 71 comma 3 dello stesso Decreto Delegato prevede che i beni culturali immobili di proprietà dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici, per l’uso dei quali attualmente non é corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro, possono essere dati in concessione a enti del terzo settore, con pagamento di un canone agevolato, determinato dalle amministrazioni interessate, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione a spese del concessionario, anche con l’introduzione di nuove destinazioni d’uso finalizzate allo svolgimento delle attività culturali.

[lxvi]          Una piccola nota a margine: atteso il fatto che le comunità come i GAL, come vedremo, possono fungere da “organismo intermedio”, oltre che da beneficiari diretti, preposti alla gestione ed assegnazione a privati ed enti pubblici di risorse finanziare per la cultura, l’ambiente, etc., al di là degli accordi di valorizzazione con le comunità, non si giustifica il ruolo ultroneo che ricoprono le Regioni. Ruolo che anche a livello europeo comincia ad essere sempre meno riconosciuto in favore di politiche “place-based”. Ragioniamo, comunque, in termini di diritto positivo attuale (iure condito) e non iure condendo. Si veda A.BRUNO “Confutazioni e soluzioni…” ibidem pag. 20 e ss.

[lxvii]     Sul tema si ci consenta rimandare al bel libro “The holographic universe” di TALBOT M., Harper Collins, 1991, al classico “Psiche e natura” di PAULI W., Adelphi, 2006 ed ovviamente a “Il Tao della Fisica”, Adelphi, 1982, di CAPRA F.

[lxviii]          “Quando non è subordinato al potere o alla violenza, il diritto è come la lingua, la cultura o l’arte: diviene una modalità di comunicazione e autodeterminazione di una comunità”, CAPRA F.– MATTEI U. ibidem, pag. 172

[lxix]            Citiamo un suggestivo passaggio di Ferrara “la natura e “i suoi diritti” impongono un nuovo approccio verso un’etica rinnovata che finisce coll’essere messa a centro di ogni possibile percorso, di ogni praticata e praticabile lettura della modernità” da FERRARA R.”Ambiente”, in Il diritto. Enciclopedia Giuridica del  Sole 24 Ore”, Vol.1 Milano, 2007 . 

[lxx]            CAPRA F.– MATTEI U. ibidem, pag. 39 e ancora MATTEI U- QUARTA A., ibidem, pag.28

[lxxi]           WHITEHEAD A.N. “Process and Reality”, p. 39, Free Press, 1979

Precede Parte I 

Prof. Avv. Bruno Aurelio

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