Suprema Corte di Cassazione, sezione I Civile, sentenza 3 luglio – 27 settembre 2013, n. 22215

Redazione 18/12/13
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(Presidente ********* – Relatore Di *****) –.L.R. ***- **** (rapp.ti e difesi da AVV. *************)- Contro Curatore di A.B.(Avv. E.L.) – Tutore di ROMA -****** – (Cassa con rinvio la sentenza della Corte di Appello di Roma, Sez. Minorenni del 27.07.2012). P.M. conforme.

In tema di adottabilità il persistere della mancanza dell’assistenza morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi da parte dei genitori o dei parenti entro il quarto grado laddove il genitore sia in stato di restrizione carceraria deve esse valutato anche attraverso i parametri degli artt. 1-4 della legge n. 62/2011 in base alle possibilità concretamente offerte dalla situazione, ed in particolare modo laddove una madre detenuta si sia attivata presso la competente Magistratura di Sorveglianza per ottenere il sostegno dello Stato al fine di superare la tossicodipendenza e pervenire ad una situazione nella quale, con il sostegno di una Comunità terapeutica, sia possibile occuparsi della figlia e ciò per rendere ragionevole la previsione di recupero della capacità genitoriali. A tal riguardo, l’ordinamento considera preminente, per l’interesse del minore, la sua crescita nella famiglia d’origine contemplando l’adottabilità come rimedio all’abbandono e non quale strumento per assicurare migliori condizioni di vita. E, pertanto, il superamento dello stato di abbandono va valutato in sé e per sé, indipendentemente da ogni comparazione tra le condizioni di vita del minore presso gli affidatari e quelle che attenderebbero il minore al rientro della famiglia.

 

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27 luglio 2012 la Corte di appello di Roma rigettava l’appello proposto dai coniugi L.R.M.G. e B.A. , genitori di A..B. (n. il (omissis) ), avverso la sentenza in data 11 novembre 2011 con cui il Tribunale per i minorenni di Roma aveva dichiarato lo stato di adottabilità della predetta minore. In particolare e per quanto ancora interessa, la Corte di appello osservava che: 1) come risultava dalla relazione clinica dell’ospedale (omissis) , A..B. , nata prematura, presentava conseguenze fisiche neonatali per la condizione di tossicodipendenza della madre, che aveva dichiarato di avere assunto eroina sino alla sera prima del parto. Il padre della bambina risultava detenuto per reati legati allo spaccio di stupefacenti con fine pena al settembre 2013; 2) i servizi territoriali in data 11 febbraio 2010 collocavano la bambina presso una casa famiglia ove erano previste visite programmate della madre, che tuttavia non si presentava con regolarità e, secondo la relazione in data 31 maggio 2010 della psicologa del servizio UOSDTSMREE, non sembrava “proporre un tipo di attaccamento equilibrato con capacità di comprensione dei bisogni della piccola”; 3) dopo l’avvio di un progetto per l’inserimento in una struttura disposta ad ospitarla con la figlia, M.G..L.R. aveva comunicato ai servizi sociali di essere in attesa dell’esecuzione di una condanna penale a quasi tre anni di reclusione; 4) in data (omissis) M.G..L.R. veniva arrestata per tentata rapina aggravata; 5) dopo il provvedimento di cumulo con cui la Procura della Repubblica di Roma stabiliva la pena detentiva in anni 4 e mesi 2 di reclusione, con fine pena al 31 marzo 2015, il Tribunale di sorveglianza della stessa città, con provvedimento del 10 maggio 2012, accoglieva l’istanza di L.R.M.G. di affidamento in prova al servizio sociale per esigenze terapeutiche; tale provvedimento era fondato su una prognosi favorevole circa la rieducazione sotto il profilo della condotta delinquenziale, ma tale prognosi non poteva essere automaticamente estesa al recupero delle responsabilità e capacità genitoriali, estranee al contenuto del provvedimento della sorveglianza; 6) la comunità terapeutica Cast Assisi con nota del 13 aprile 2012 si era dichiarata disponibile ad accogliere la mamma e la minore; 7) in tale situazione, considerata sia l’aleatorietà del percorso di recupero di L.R. , sia l’assoluta mancanza di elementi tali da garantire il recupero delle capacità genitoriali, doveva ritenersi sussistente un attuale pregiudizio per una sana crescita della minore; 7) il padre, detenuto alla nascita della bambina, non aveva instaurato alcun legame affettivo con la figlia, che aveva visto una sola volta e non aveva mai chiesto di incontrare, limitandosi ad aderire alle richieste della moglie; inoltre, all’esame psicopatologico aveva mostrato caratteri della personalità non compatibili con la capacità genitoriale ed all’udienza del 10 luglio 2012 aveva dichiarato di essere stato colpito da provvedimento di espulsione dal territorio nazionale; 7) quanto ai nonni, tra di loro non conviventi perché divorziati da tempo, M..D. , anche per ragioni anagrafiche, in quanto nata il (OMISSIS) , doveva ritenersi inidonea a gestire contemporaneamente le problematiche della figlia e della nipote e, comunque, aveva atteggiamenti di giustificazione della figlia significativi della mancanza di senso critico e dell’incapacità di valutare oggettivamente le carenze comportamentali e le condotte criminose della stessa. G..L.R. , nato il (OMISSIS) e dichiaratosi disponibile a prendersi cura della nipote, non aveva dato segni tangibili di effettiva volontà di essere coinvolto nell’affidamento della minore, che aveva chiesto di visitare soltanto una volta e con la quale, pertanto, non aveva costituito rapporti significativi.

M.G..L.R. e A..B. propongono ricorso per cassazione, deducendo dieci motivi illustrati anche con memoria.

Il curatore speciale della minore resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo si denuncia la mancata considerazione: a) del provvedimento in data 8 maggio 2012, con cui il Tribunale di sorveglianza disponeva l’affidamento in prova della ricorrente L.R. al servizio sociale, nella parte in cui dava atto che la stessa “ha mostrato in carcere volontà di disintossicazione e progettualità futura, con desiderio di recupero degli affetti familiari (specialmente la figlia minore A. …)”; b) le relazioni del Ministero della giustizia in data 14 novembre 2011 e in data 21 marzo 2012 dalle quali risultava che i servizi sociali del Municipio IX di Roma non avevano collaborato con gli assistenti sociali del carcere e soprattutto che L.R. aveva partecipato ad “incontri sulla maternità” con cadenza settimanale, aveva espresso durante i colloqui un “forte desiderio a cambiare stile di vita per garantire a sé ed alla sua bambina… un futuro stabile”, si era adoperata per trovare una comunità che l’accogliesse insieme alla figlia ed aveva avuto colloqui regolari con la propria madre.

Con il secondo motivo si deduce la violazione del principio di certezza che, ai sensi della convenzione di Strasburgo del 24 aprile 1967, resa esecutiva con legge n. 357/1974, deve accompagnare ogni decisione di adozione e che nella specie avrebbe reso necessario, come richiesto in appello, procedere a consulenza tecnica sulle capacità genitoriali degli appellanti e dei nonni nonché alla acquisizione delle relazioni degli psicologi che avevano avuto colloqui in carcere con i genitori della bambina.

Con il terzo motivo si deduce che la Corte di appello, in violazione dell’art. 8 della legge n. 184/1983, aveva effettuato la verifica dello stato di abbandono sulla base di una valutazione prognostica astratta, senza considerare gli elementi risultanti dai già citati documenti (provvedimento del Tribunale di sorveglianza e relazioni del Ministero della giustizia).

Con il quarto motivo si deduce, sotto lo stesso profilo considerato nel terzo motivo, la mancata considerazione del percorso di recupero intrapreso in carcere dalla ricorrente e della volontà dalla stessa manifestata di affrancarsi dalla droga.

Con il quinto motivo si deduce la violazione dei principi accolti dagli artt. 1-4 della legge n. 62/2011, in tema di protezione dei minori figli di condannati, nonché dalla legge n. 184/1983, in quanto la Corte di appello aveva affermato l’incompatibilità dei tempi di recupero della madre condannata e dedita alla droga proprio nel momento in cui la stessa aveva dimostrato “volontà di disintossicazione e progettualità futura” e lo Stato aveva messo in moto la doverosa macchina di sostegno al recupero del genitore.

Con il sesto motivo si deduce l’omessa valutazione della conclusione del piano terapeutico SERT al quale la ricorrente si era sottoposta in carcere.

Con il settimo motivo si deduce il vizio di motivazione nella valutazione della idoneità dei nonni a prendersi cura della minore; in particolare, nella valutazione della idoneità della nonna la Corte di appello non aveva considerato che il nonno L.R.G. , benché divorziato, si era dichiarato disponibile a collaborare. Inoltre, la Corte aveva dato rilievo alla mancanza di rapporti significativi senza tenere conto del fatto che tali rapporti erano stati preclusi dalla istituzionalizzazione della bambina, mentre non aveva considerato che la ricorrente L.R. sin da prima della nascita della bambina era andata a vivere dalla madre.

Con l’ottavo motivo si deduce che la Corte di appello aveva ritenuto l’inidoneità della nonna ad occuparsi della bambina, assumendo che la stessa si ponesse quale elemento sostitutivo e non di supporto della figlia, mentre dagli atti risultava che la D. aveva ben chiare le difficoltà della figlia legate all’uso di stupefacenti e la necessità che la stessa effettuasse un percorso di recupero psico-fisico e del ruolo genitoriale.

Con il nono motivo si deduce il vizio di motivazione, lamentando che lo stato di abbandono era stato dichiarato malgrado la nonna si fosse sempre dichiarata disponibile ad occuparsi della bambina.

Con il decimo motivo si deduce il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello aveva erroneamente affermato che il padre della bambina, detenuto sin dal momento della sua nascita, non aveva mai fatto richiesta di vedere la figlia, senza considerare la disponibilità dichiarata ad occuparsene appena uscito dal carcere e senza considerare le richieste di autorizzazione ad incontrare la bambina formulate il 28 giugno 2011 ed il 9 marzo 2010.

2. Il curatore speciale della minore ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per la mancanza del requisito della sommaria esposizione dei fatti di causa, in quanto i ricorrenti si sarebbero limitati ad una pedissequa riproduzione degli atti processuali, effettuata con la tecnica dell’assemblaggio.

L’eccezione è infondata. Infatti, sebbene il ricorso sia inutilmente appesantito dalla integrale e ripetuta riproduzione di diversi atti processuali, nella specie, avendo riguardo alle parti di raccordo tra le riproduzioni, non può dirsi mancante l’esposizione dei fatti di causa.

Tanto premesso, i motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi dall’unitario addebito alla Corte di appello del vizio di motivazione per non avere preso in considerazione il percorso di recupero intrapreso da ******** con il sostegno dei suoi familiari e con il manifestato desiderio di riconquistare gli affetti familiari e soprattutto il rapporto con la figlia A. .

I motivi sono fondati. Dagli artt. 8 e 15 della legge n. 184/2003 risulta che lo stato di adottabilità viene dichiarato quando concorrono “il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi”, da parte dei genitori o dei parenti entro il quarto grado. In proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito che la formula della “non disponibilità ad ovviarvi”, in luogo della “impossibilità di ovviarvi” già prevista dall’art. 311, quarto comma n. 2, cod. civ., seppur ispirata dall’intento di attribuire rilievo alla indisponibilità soggettiva, anziché soltanto alla impossibilità oggettiva, non può tuttavia essere intesa come indiscriminata attribuzione di rilevanza alla mera affermazione di disponibilità, da parte del soggetto tenuto all’assistenza, che non sia anche accompagnata da elementi oggettivi o comunque giudizialmente controllabili, che rendano in concreto affidabile tale enunciazione di proposito (Cass. 27 gennaio 1986, n. 512; Cass. 4 luglio 1986, n. 4394; Cass. 22 marzo 1990, n. 2397; Cass. 20 dicembre 2003, n. 19585). La Corte di appello avrebbe dovuto, pertanto, verificare se la disponibilità della ricorrente L.R. ad ovviare alla mancanza di assistenza morale e materiale della piccola A. fosse soltanto una “buona intenzione” ovvero fosse un progetto di vita serio, affidabile e realizzabile perché accompagnato da elementi oggettivi di riscontro.

Quando, come nella specie, il genitore versa in una condizione di tossicodipendenza e di restrizione in carcere, la serietà ed affidabilità della sua disponibilità ad ovviare allo stato di abbandono del figlio non possono che essere valutate alla stregua delle possibilità concretamente offerte dalla situazione, ferma restando la necessità di una concorrente valutazione della idoneità oggettiva di tali possibilità a consentire di prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di uno stabile contesto familiare (Cass. 26 gennaio 2011, n. 1837). Pertanto, la serietà ed affidabilità della intenzione di M.G..L.R. di ovviare allo stato di abbandono della figlia A. , del quale per il passato non può discutersi, devono essere valutate tenendo conto di quanto la predetta ha eventualmente fatto, attivando il sostegno dello Stato, per superare la tossicodipendenza, per pervenire ad una situazione nella quale con il sostegno di una comunità terapeutica fosse possibile occuparsi della figlia e per rendere ragionevole la previsione di un recupero delle capacità genitoriale in tempi compatibili con le necessità della bambina. Al riguardo, si deve anche ricordare che l’ordinamento considera preminente, per l’interesse del minore, la sua crescita nella famiglia di origine, contemplando l’adottabilità come rimedio all’abbandono e non quale strumento per assicurare condizioni di vita migliori; pertanto, il superamento dello stato di abbandono va valutato in sé e per sé, indipendentemente da ogni comparazione tra le condizioni di vita del minore presso gli affidatari e quelle che attenderebbero il minore al rientro nella famiglia d’origine (Cass. 23 novembre 2003, n. 19862; Cass. 11 novembre 1996, n. 9861).

In tale prospettiva, si deve rilevare che la Corte di appello non ha motivato adeguatamente sulla serietà ed affidabilità dei propositi di M.G..L.R. , limitandosi ad affermare apoditticamente l’aleatorietà del suo percorso di recupero e trascurando di considerare, benché sottoposti al suo esame, i seguenti elementi: a) il provvedimento del Tribunale di sorveglianza in data 8 maggio 2012, nella parte in cui da dato atto che M.G..L.R. “ha mostrato in carcere volontà di disintossicazione e progettualità futura, con desiderio di recupero degli affetti familiari (specialmente la figlia minore A. …) in ambiente terapeutico adeguatamente controllato e protetto”; b) le relazioni del Ministero della giustizia in data 14 novembre 2011 e in data 21 marzo 2012 dalle quali risulta che L.R. nel corso della detenzione ha partecipato ad “incontri sulla maternità” con cadenza settimanale, ha espresso durante i colloqui un “forte desiderio a cambiare stile di vita per garantire a sé ed alla sua bambina… un futuro stabile”, si è adoperata per trovare una comunità che l’accogliesse insieme alla figlia ed ha avuto colloqui regolari con la propria madre; c) la positiva conclusione del piano terapeutico SERT al quale la ricorrente si è sottoposta in carcere (come da certificato in atti della ASL XXXXXX in data 13 novembre 2011); d) l’affidamento in prova di L.R. alla comunità CAST, individuata dalla stessa L.R. proprio per la disponibilità della predetta comunità ad accogliere in futuro anche la figlia A. ; e) la prima positiva relazione in data 7 giugno 2012 sul positivo inserimento della ricorrente L.R. nel programma della comunità CAST; f) la rinnovata solidarietà familiare, manifestata a M.G..L.R. dagli anziani genitori e dal fratello (come risultata dalla relazione del Ministero della giustizia in data 14 novembre 2011), nel cui contesto si inseriscono i propositi di cambiamento di vita.

La considerazione di tali elementi, singolarmente e ancora di più nel loro complesso, è decisiva per apprezzare serietà ed affidabilità della disponibilità, manifestata da M.G..L.R. e dai suoi genitori, di ovviare allo stato di abbandono della minore B.A. .

La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma per nuovo giudizio, nel quale dovranno essere considerati gli elementi sopra indicati, unitamente a quelli eventualmente sopravvenuti.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione. Ai sensi del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Redazione

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