Sul controllo della temperatura corporea in caso di Coronavirus

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In questi giorni si è avuto modo di discutere di questioni inerenti i rischi da contagio da Coronavirus sotto l’aspetto e le problematiche della tutela antinfortunistica.

In primo piano: EMERGENZA CORONAVIRUS

Di qui, dal concetto di rischio generico o specifico, si potrebbero prendere le mosse per parlare di un aspetto in qualche modo ricollegato: il controllo della temperatura corporea. Innanzitutto, come ben comprensibile, appare evidente come si tratti di un qualcosa che muove le mosse dal disposto di cui all’articoo 2087 cod. civ. e cioè nel fatto che vanno, appunto, garantite le condizioni affinchè i lavoratori lavorino in sicurezza all’interno dell’azienda. Quale, il diritto, però, nel caso specifico in cui un ipotetico datore, in questo periodo, decidesse di sottoporre i propri dipendenti al controllo della temperatura corporea? Quali le relative problematiche? Andiamo innanzitutto a quelli che sono aspetti di disciplina sostanziale, vedendo sia gli aspetti, relativi agli accertamenti sanitari, elemento più strettamente legato alla disciplina giuslavoristica in senso stretto, sia quelli in tema di privacy. Il divieto di accertamenti sanitari diretti.

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Com’è noto,lo Statuto dei Lavoratori, all’articolo 5, vieta gli accertamenti da parte del datore di lavoro,sia sull’idoneità al lavoro, sia sul’infermità per malattia o infortunio. Per malattia si intende qualsiasi alterazione psico fisica tale da rendere la prestazione lavorativa incompatibile con le esigenze dei salvaguardia dello stato di salute del prestatore di lavoro (C.f.r: Zaccardi, Manuale di diritto del lavoro, ed. Nel Diritto). Come risulta subito evidente, sebbene la nozione sia differente rispetto a quella antinfortunistica, quale processo morboso evolutivo in atto (Cinelli, Mastrangeli, Celi) emerge subito una prima, importantissima questione. Come noto, il virus del Covid 19 è, ad oggi, ancora in parte sconosciuto alla scienza, tanto che i suoi sintomi, sovente, possono essere confusi con altro stato febbrile. Come altrove commentato, un controllo, una tutela, in questi casi dovrebbe essere dunque generica e dunque, sotto questo aspetto, forse al limite della legalità, come anche previsto dallo stesso Statuto dei Lavoratori. E’ dunque sotto l’aspetto più strettamente legato alla Privacy che, forse, bisognerebbe, anche alla luce delle recenti disposizioni, come lo stesso protocollo a difesa dei lavoratori, cristallizzato peraltro nel dpcm 22 marzo 2020, oltre che al comunicato del Garante Privacy, trovare una ragione giustificativa di condotte tese a controllare i lavoratori. E andiamo alla normativa di interesse.

Com’è noto, l’articolo 8 dello Statuto dei Lavoratori vieta al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, di effettuare indagini, oltre che sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore,anche sui fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore. La dottrina ha posto in luce come l’articolo 8 ponga, rispetto alla normativa generale sulla privacy, di cui al Dlgs 196/2003, una tutela da un lato più radicale, ponendo, ove i dati non sono necessari alla gestione del rapporto di lavoro, un divieto assoluto, dall’altro più limitata, perchè, ove al contrario sussista tale necessità, il lavoratore non è tutelato dalla disposizione in esame (Amoroso, Di Cerbo, Maresca) (C.f.r: Zaccardi, cit., pag. 204). Quindi, anche in questo caso, emerge un principio di sussidiarietà delle fonti secondo cui è la fonte, la normativa che tutela di più quella che trova più diretta applicazione. Alla luce pertanto dei problemi peraltro sopra esposti, dunque, qui si colloca altresì il discorso relativo ai recenti provvedimenti emanati, primo fra tutti il protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid 19 negli ambienti di lavoro,siglato il 14 marzo 2020 e interamente recepito nel Dpcm 22 marzo 2020. Nello stesso, viene espressamente stabilito che “il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro, potrà essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Se tale temperatura risulterà superiore ai 37,5°C l’ingresso ai luoghi di lavoro non sarà consentito”.

La misurazione della temperatura

La nota esplicativa ivi riportata, peraltro, stabilisce espressamente che “la rilevazione in tempo reale della temperatura corporea costituisce un trattamento dei dati personali e, pertanto, deve avvenire ai sensi della disciplina privacy vigente”, con ulteriori suggerimenti per la registrazione di detti dati (C.f.r nota al protocollo citato). Il suggerimento di cui alla nota,peraltro, recepisce un provvedimento del Garante Privacy del 02 marzo 2020, nel quale viene espressamente stabilito e raccomandato di evitare controlli della temperatura indiscriminati e quindi, se del caso, di dare espressa chiara comunicazione circa i provvedimenti da adottare. Ecco dunque che qui entra, come rimarcato anche da alcuni autori (Marini, altelex.com) che,a questo punto un ruolo chiave viene sicuramente svolto dalle informative privacy. D’altro canto, diversamente a dirsi, le problematiche di controllo e, anche sotto altro punto di vista di invasività permangono nei confronti dei lavoratori, visto peraltro che, a prescindere o meno dall’epidemia, diversamente a dirsi si tratterebbe, in primo lugo, di un rischio perlopiù generico e che comunque, stante le attuali conoscenze scientifiche, ben potrebbe essere attuato anche per una semplice influenza. Quindi, giustamente, bene che si faccia attenzione al trattamento dei dati, stante in ogni caso la normativa dello Statuto dei Lavoratori.

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