Stepchild adoption: sì in casi particolari, dice la Cassazione

Redazione 23/06/16
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La Cassazione ha detto sì alla “stepchild adoption” in casi particolari. 

Con la sentenza 12962/16, la prima sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata sul tema della stepchild adoption – il riconoscimento del genitore non biologico nelle coppie dello stesso sesso – confermando la sentenza della Corte di Appello di Roma, che aveva accolto la domanda di adozione di una minore proposta dalla partner della madre, primo caso di adozione cogenitoriale in Italia.

La sentenza dell’agosto 2014, che aveva fatto scuola, garantiva alla madre non biologica di una coppia lesbica la possibilità di adottare la bimba della sua compagna – anche se in forma limitata. Riaffermata dalla Corte d’Appello nel dicembre scorso, la decisione dei giudici aveva visto l’opposizione della Procura di Roma, che si era espressa con argomentazioni molto dure.

Ora la Cassazione ha definitivamente respinto quel ricorso contrario, stabilendo che quest’adozione “non determina in astratto un conflitto d’interessi tra il genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l’eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice”.

Ancora, per la Suprema Corte l’adozione “prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempre che, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore”.

Frattanto, almeno 10 adozioni cogenitoriali sono state riconosciute dal Tribunale di Roma. La stessa cosa ha fatto la Corte d’appello di Torino a fine maggio in un caso di un’adozione incrociata, concedendo alle madri non biologiche di due coppie lesbiche la stepchild adoption dei bambini partoriti dalle rispettive partner.

Il ragionamento giuridico alla base della sentenza

La nascita della bimba, scrivono i giudici nella sentenza, «è frutto di un progetto genitoriale maturato e realizzato con la propria compagna di vita; la decisione di scegliere la più giovane ai fini della gravidanza è stata dettata dalle maggiori probabilità di successo delle procedure di procreazione medicalmente assistite.» Inoltre, la bimba «ha vissuto sin dalla nascita con lei e la sua compagna, in un contesto familiare e di relazioni scolastiche e sociali analogo a quello delle altre bambine della sua età, nel quale sono presenti anche i nonni e alcuni familiari della ricorrente».

L’idea perciò che questo progetto di «bigenitorialità» sia in conflitto di per sé con gli interessi della minore, come invece sosteneva la Procura di Roma, è esclusa dai magistrati, che spiegano: «l’unica ragione posta a sostegno della denunciata incompatibilità di interessi è stata individuata nell’interesse della madre della minore al consolidamento giuridico del proprio progetto di vita relazionale e genitoriale

Ne consegue che l’accettazione di una tale ragione significherebbe «che sia proprio la relazione sottostante (coppia omoaffettiva) ad essere potenzialmente contrastante, in re ipsa, con l’interesse del minore, incorrendo però in una inammissibile valutazione negativa fondata esclusivamente sull’orientamento sessuale della madre della minore e della richiedente l’adozione, di natura discriminatoria e comunque priva di qualsiasi allegazione e fondamento probatorio specifico. »

Più volte la Corte di Cassazione ha sottolineato come l’interesse del minore sia preminente rispetto a qualsiasi altro interesse dello Stato. E quindi, in questo caso, tale interesse consiste nell’avere un legame giuridico a tutela del legame affettivo che lo lega dalla nascita con il secondo genitore sociale.

L’adozione in casi particolari

L’articolo 44, comma 1, lettera d della legge n. 184 del 1983 e successive modifiche, che regola l’adozione in casi particolari, è stato applicato dai giudici. Si tratta dello stesso istituto che, eliminato dalla legge Cirinnà sulle unioni civili, veniva tuttavia già garantito dai tribunali.

Secondo l’interpretazione prevalente, l’adozione in casi particolari limita moltissimo i diritti e i doveri dei genitori e dei bambini perché, con questo tipo di adozione, il bambino non acquista la parentela da parte del secondo genitore.  

Ovvero, pur diventando figlio del genitore sociale, non entra nella linea familiare e quindi non ha riconosciuto né i fratelli, né i nonni, né gli zii, né eventuali cugini dalla parte del genitore sociale. E ha in ogni caso meno diritti di un bambino nato da una coppia eterosessuale.

Redazione

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