Spetta all’imputato fornire la prova dei fatti che escludono la sua punibilità

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(Annullamento senza rinvio)

Il fatto

La Corte d’appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale di Salerno, appellata dal D’A. e dall’A., dichiarava gli stessi non punibili per particolare tenuità del fatto in relazione ai reati edilizi e paesaggistici loro contestati limitatamente ai fatti contestati al capo a), b) e d), quanto alla realizzazione delle opere descritte ai punti 1, 4 e 5 del capo a), e al reato di cui I capo f).

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Contro la sentenza gli imputati avevano proposto congiunto ricorso per cassazione a mezzo del comune difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando tre motivi di ricorso così formulati: 1) violazione di legge, sotto il profilo dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza in relazione all’omessa notifica all’imputato d’A. G. del decreto di citazione per il giudizio di appello posto che, a causa dell’omessa notifica all’imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello, costui non era stato presente all’udienza celebratosi presso la Corte di Appello di Salerno dal momento che il D’A. non era mai stato domiciliato presso il difensore di fiducia e presso quest’ultimo non era stato notificato il decreto; la difesa, di conseguenza, stimava come si fosse venuta a verificare una nullità assoluta e insanabile che aveva inficiato l’intero giudizio di appello; pertanto, secondo la difesa, esisteva una nullità insanabile dal momento che l’imputato non aveva mai avuto notizia del giudizio di secondo grado e quindi si era avuta un’irregolare costituzione del contraddittorio lesiva del diritto di difesa anche perché la Corte territoriale sul punto non aveva disposto neppure un rinvio per la rinnovazione della notifica e comunque, anche se vi fosse stata conoscenza da parte dell’imputato della data dell’udienza, questa non avrebbe avuto efficacia sanante dell’omessa notifica formale dal momento che essa non è compresa tra le tassative possibilità di sanatoria ex articolo 184 c.p.p.; 2) violazione di legge in relazione all’articolo 181 comma 1-quinquies d.lgs. 42/2004 e correlato vizio di mancanza ed illogicità della motivazione in quanto, secondo il difensore, la Corte di appello, nel motivare la particolare tenuità del fatto, aveva dato atto dell’intervenuto immediato ripristino dei luoghi e, pertanto, avrebbe dovuto dichiarare estinta la contravvenzione paesaggistica ex articolo 181 comma 1-quinquies d.lgs. 42/2004 tenuto contro altresì del fatto che tale pronuncia sarebbe stata più favorevole rispetto alla pronuncia di non punibilità per particolare tenuità del fatto che ha efficacia di giudicato quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illeceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, è iscritta nel casellario giudiziale e può ostare alla futura applicazione della medesima causa di non punibilità (in tal senso anche Cass., Sez. III, n. 55347/2018); 3) violazione di legge in relazione all’articolo 181 comma 1-ter d.lgs. 42/2004 e correlato vizio di mancanza ed illogicità della motivazione giacchè, sempre secondo il legale, la Corte di appello non avrebbe motivato rispetto al mancato riconoscimento di tale causa di non punibilità ed aveva meramente asserto che di essa non vi sarebbe prova certa mentre, invece, a seguito della legge n. 308/2004, l’autorizzazione paesaggistica può essere rilasciata in sanatoria dopo la realizzazione anche parziale degli interventi in caso di interventi minori che non determinano la creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento degli stessi o di interventi di mera manutenzione visto che, se è stata prevista la possibilità di una valutazione postuma all’esito della quale non si applica il reato contravvenzionale, dal momento che gli interventi non incidono o non sono idonei ad incidere sull’integrità del bene ambiente (in questo senso: Cass., Sez. III, n. 7216/2011), la difesa aveva sul punto depositato un’ampia documentazione ed, in particolare, il provvedimento denominato autorizzazione n. 31/2014 di rilascio da parte del Dirigente Servizio Trasformazioni Urbanistiche del Comune di S. dell’autorizzazione paesaggistica per i lavori già eseguiti sulla base di un parere favorevole emesso in data 9 aprile 2014; oltre a ciò, si rilevava come la sentenza, del resto, sarebbe stata contraddittoria nella misura in cui riconosceva l’insussistenza dell’impatto ambientale ai fini dell’applicabilità dell’articolo 131 bis c.p. ma riteneva che tale circostanza non fosse adeguatamente supportata per il riconoscimento della causa estintiva del reato nonostante fossero insussistenti gli aumenti di superfici o volumi e non ci fossero opere incidenti sulla realtà paesaggistica.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il Supremo Consesso riteneva come il ricorso dell’A. dovesse essere dichiarato inammissibile mentre, quanto alla posizione del D’A., veniva reputato fondato il primo motivo.

Si osservava prima di tutto che, la notificazione era stata effettuata a mezzo di ufficiale giudiziario in data 8 novembre 2018 ed in data 13 novembre 2018 mentre il plico non era stato consegnato al domicilio dichiarato per irreperibilità del destinatario dal momento che risultava inesistente l’indirizzo.

Orbene, a fronte di ciò, si evidenziava che, se in tema di notificazioni, una volta che l’imputato abbia eletto o dichiarato il domicilio, se in tale luogo la notifica non risulti possibile, essa è validamente eseguita mediante consegna al difensore mentre la validità di tale notificazione non risulta inficiata dal fatto che successivamente sia stato, viceversa, possibile eseguire notifica di altro atto al domicilio eletto o dichiarato (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7586 del 06/05/1999), nel caso di specie, la notifica al difensore era stata effettuata tramite posta certificata in data 2 novembre 2018 ossia una data che risultava però antecedente alla notifica fatta al domicilio dichiarato mentre non era emerso che, successivamente alla mancata notifica al domicilio dichiarato, fosse stata eseguita una notifica al difensore ex art. 161, comma 4, c.p.p. e, dunque, l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di citazione per l’udienza d’appello costituiva una nullità assoluta ed insanabile che, pertanto, travolgeva la sentenza impugnata.

Pur tuttavia, ostava all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata l’intervenuto decorso del termine di prescrizione massima dei reati contestati, maturata in data 8.02.2019-VI termine di prescrizione massima atteso che, tenuto conto della data di accertamento del 7.06.2013, sarebbe infatti maturate alla data del 7.06.2018  tenuto altresì conto della sospensione del corso del termine di prescrizione per gg. 246 (ossia gg. 196, dal 10.03 al 22.09.2016 a seguito di istanza di rinvio del difensore, nonchè ulteriori gg. 50, dal 22.03 all’11.05.2017, a seguito di rinvio per adesione del difensore all’estensione collettiva proclamata dalla categoria professionale di appartenenza).

L’intervenuto decorso del termine di prescrizione massima alla data dell’8.02.2019, ad avviso della Corte, imponeva pertanto l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, pur in presenza dell’accertata nullità di ordine generale ed assoluta, trovando applicazione il principio affermato dalle Sezioni Unite secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 – dep. 15/09/2009).

Ciò posto, venendo ad esaminare i residui motivi di ricorso relativi al ricorrente A., gli stessi erano dichiarati tutti inammissibili.

Quanto al secondo motivo, si rilevava che, secondo una costante giurisprudenza di legittimità, la causa di estinzione del reato che estingue la punibilità in astratto, rappresentata dall’art. 181, comma 1-quinquies, d. Igs. n. 42 del 2004, non può operare nel caso di condanna anche non irrevocabile ed invero la sua applicazione è subordinata al fatto che la rimessione in pristino da parte dell’autore dell’abuso sia spontanea e non eseguita coattivamente su impulso dell’autorità amministrativa (in questo senso: Sez. 3, n. 35412 del 14/04/2016; Sez. 3, n. 37140 del 10/04/2013; Sez. 3, n. 3064 del 05/12/2007).

Orbene, tenuto conto di tale approdo ermeneutico, gli ermellini mettevano in risalto il fatto che, nel caso di specie, correttamente i giudici di merito, seguendo il costante orientamento giurisprudenziale, avevano ritenuto non operante la causa di estinzione del reato perché la demolizione non era intervenuta prima della ordinanza amministrativa che aveva disposto la demolizione, né prima della condanna.

Quanto al terzo ed ultimo motivo, una volta preso atto che la difesa censurava l’illogicità della motivazione nella parte in cui riteneva le opere di limitato impatto ambientale per l’applicazione della causa di particolare tenuità del fatto e non ai fini dell’applicazione di suddetta causa di non punibilità di cui all’art. 181, comma 1-ter, d. Igs. n. 42 del 2004, si notava come, in realtà, ai fini della concessione di essa, fosse necessario non solo un accertamento della compatibilità paesaggistica che deve essere rilasciato dalla sovrintendenza ma anche un accertamento da parte del giudice dell’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto per la concessione della sanatoria dato che il rilascio della valutazione di compatibilità paesaggistica, all’esito della procedura prescritta dall’art. 181 del Digs. 22 gennaio 2004, n. 42, non determina automaticamente la non punibilità del reato paesaggistico in quanto è obbligo del giudice accertare la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti la sanatoria paesaggistica (Sez. 3, sentenza n. 889 del 29/11/2011).

Chiarito ciò, si osservava come nel caso di specie il giudice di primo grado avesse sottolineato che la difesa non aveva fornito prova certa delle opere comprese nell’autorizzazione conseguita dagli imputati e, in sede di appello, la difesa si era limitata a censurare il fatto che il giudice avrebbe dovuto attivare i suoi poteri istruttori per verificare quali opere fossero ricomprese in detta autorizzazione mentre non aveva fornito le allegazioni necessarie.

Pertanto, ad avviso della Corte, del tutto correttamente, trattandosi di una motivazione non meritevole di censura, il Collegio aveva ritenuto di non avere agli atti alcuna prova certa a sostegno della tesi difensiva non essendo peraltro tenuto il primo giudice ad attivare poteri istruttori ufficiosi al fine di accertare quali opere fossero da ritenere comprese nell’autorizzazione conseguita dato che l’art. 181, comma 1-ter, d. Igs. n. 42 del 2004, prevede che “Ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo 167, qualora l’autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380″.

Oltre a ciò, in relazione all’ulteriore censura difensiva secondo la quale sarebbe illogica la sentenza per aver affermato i giudici che la predetta causa estintiva non fosse configurabile non essendovi alcuna prova certa in atti della sussistenza della stessa, nè essendosi la difesa attivata, come era suo onere, con alcuna produzione documentale a sostegno della propria tesi rilevandosi in particolare modo che i giudici di appello, nel respingere la richiesta difensiva di applicazione della predetta causa di non punibilità, si erano richiamati alla doglianza sollevata nell’atto di appello secondo cui il primo giudice avrebbe dovuto attivare i propri poteri istruttori ex officio qualora avesse avuto la necessità di verificare esattamente quali opere fossero comprese nell’autorizzazione conseguita dagli imputati, acquisendo le istanze citate nel predetto provvedimento, si faceva per contro presente che tale motivazione non presentasse il vizio denunciato atteso che la circostanza di avere i giudici ritenuto il fatto “non grave” (essendosi trattato di opere facilmente amovibili, di scarsa ampiezza o volume, non incidenti in realtà sul paesaggio, essendovi stata assoluzione per il reato di cui all’art. 734, c.p., essendo state peraltro immediatamente demolite senza alcun grave vulnus ai beni giuridici protetti dalle norme violate), al punto tale da giustificare l’applicazione dell’art. 131-bis, c.p., fosse valutazione diversa da quella attinente l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 181, co. 1-ter, d. Igs. n. 42 del 2004  (introdotta con la L. n. 308 del 2004, art. 1, comma 36) che prevede la non punibilità per fatti ritenuti dal Legislatore meno lesivi dell’interesse protetto, a condizione che venga accertata la compatibilità paesaggistica dei lavori eseguiti; difatti, osservava sempre la Corte, tale norma prevede la inapplicabilità delle sanzioni penali non per premiare un comportamento fattivo del richiedente la procedura (come avviene nella ipotesi del comma quinto ove la punibilità è esclusa in casi di tempestivo ripristino del bene) ma in considerazione della non lesività della condotta in rapporto agli interventi eseguiti fermo restando come sia tuttavia necessario che il giudice di merito sia posto nelle condizioni di poter accertare la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti la sanatoria paesaggistica posto che il rilascio della valutazione paesaggistica, all’esito della predetta procedura, non determina automaticamente la non punibilità del reato paesaggistico in quanto compete sempre al giudice l’accertamento dei presupposti di fatto e giuridici legittimanti l’applicazione della stessa (Sez. 3, n. 27750 del 27/05/2008 – dep. 08/07/2008; Sez. 3, n. 889 del 29/11/2011 – dep. 13/01/2012; Sez. 3, n. 13730 del 12/01/2016 – dep. 06/04/2016).

Di conseguenza, una volta dedotto di come si trattasse di una causa di non punibilità, i giudici di piazza Cavour evidenziavano come l’onere di allegazione degli elementi necessari all’accertamento di quei fatti e circostanze ignote, idonee, ove riscontrate, a volgere il giudizio in suo favore, gravasse sull’imputato posto che se deve certamente negarsi, nel nostro ordinamento processuale penale, un onere probatorio a carico dell’imputato modellato sui principi propri del processo civile, non altrettanto è da dirsi per il cosiddetto onere di allegazione in virtù del quale l’imputato, coerentemente al proprio interesse, è tenuto a fornire all’ufficio, in attuazione del dovere civico di collaborazione alla ricerca della verità materiale, le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove accertati, a volgere il giudizio in suo favore fermo restando che, fra tali fatti e circostanze, oltre a quelli che, pur attenendo alla intrinseca struttura oggettiva e soggettiva del reato, rivestano carattere di eccezionalità ed atipicità rispetto al normale svolgersi delle vicende umane, escludendo la punibilità dell’agente, devono altresì farsi rientrare quelli che escludono la punibilità di un fatto realizzante, in tutti i suoi elementi positivi, una fattispecie criminosa, quali possono essere le cause di giustificazione, le cause di non punibilità generali previste dal codice penale quali il caso fortuito, la forza maggiore, il costringimento fisico e l’errore di fatto nonché le cause di non punibilità speciali, previste dalle leggi penali extracodicistiche (Sez. 4, n. 12099 del 12/12/2018 – dep. 19/03/2019).

In altri termini, e conclusivamente, secondo il Supremo Consesso, il principio dispositivo – per cui la ricerca del materiale probatorio necessario per la decisione è riservata alle parti tra le quali si distribuisce in base all’onere della prova – è temperato dai poteri istruttori del giudice del merito il quale, ove la documentazione prodotta si rilevi insufficiente, ben può procedere ad integrarla anche di ufficio senza tuttavia surrogarsi all’inerzia ed agli oneri di prospettazione, di impulso probatorio o di allegazione della parte che ha interesse a fornire al giudice le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore.

Tal che se ne faceva conseguire che il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità rendendo quindi del tutto immune da vizi la motivazione dell’impugnata sentenza che aveva negato l’applicazione della causa di non punibilità in questione implicitamente richiamando il mancato assolvimento da parte degli imputati dell’onere di allegazione documentale necessario all’accertamento della sussistenza delle condizioni e dei presupposti per l’applicazione dell’art. 181, comma 1-ter, d. Igs. n. 42 del 2004.

Conclusioni

La sentenza in oggetto, oltre che nella parte in cui si postula che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva, è assai interessante pure ove si affronta il tema degli oneri probatori in materia di causa di esclusione della punibilità.

La Corte di Cassazione, invero, in tale pronuncia, afferma come sia tenuto a tale onere probatorio l’imputato spettando a costui di fornire le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove accertati, a volgere il giudizio in suo favore dovendosi intendere per tali “fatti e circostanze” non solo quelli che, pur attenendo alla intrinseca struttura oggettiva e soggettiva del reato, rivestano carattere di eccezionalità ed atipicità rispetto al normale svolgersi delle vicende umane, ma anche tutto ciò che esclude la punibilità di un fatto realizzante, in tutti i suoi elementi positivi, una fattispecie criminosa, quali possono essere le cause di giustificazione, le cause di non punibilità generali previste dal codice penale quali il caso fortuito, la forza maggiore, il costringimento fisico e l’errore di fatto nonché le cause di non punibilità speciali previste dalle leggi penali extracodicistiche.

Il giudice, dal canto suo, ove la documentazione prodotta si rilevi insufficiente, ben può procedere ad integrarla anche di ufficio ma ciò non vuole significare che questi possa surrogarsi all’inerzia ed agli oneri di prospettazione, di impulso probatorio o di allegazione della parte che ne abbia interesse.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, dunque, proprio perché la chiarificazione prospettata in tali termini su tale questione giuridica, non può che essere positivo.

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