Lucia Nacciarone
Ad avviso dei giudici di legittimità, che con la sentenza n. 25843 del 18 novembre 2013 hanno negato alla donna l’assegno di 2000 euro di cui precedentemente godeva, tale turba psichica non esclude l’imputabilità e, di conseguenza, la responsabilità per la violazione dei doveri matrimoniali ex art. 143 del codice civile.
Perciò nonostante la malattia, alla donna può essere addebitata la separazione.
Infatti, come sottolinea la Cassazione, pesano sulla valutazione il fatto che il comportamento dell’ex moglie abbia avuto gravi ripercussioni sul bilancio familiare e che la donna, pur essendone consapevole (sia del disturbo che delle sue conseguenze), abbia sempre rifiutato di curarsi.
La sindrome da shopping compulsivo, proseguono i giudici, come emerge anche dalle considerazioni della CTU, è un disturbo della personalità per il quale chi ne è affetto spesso e volentieri ruba al fine di ‘placare’ il proprio istinto irrefrenabile di comprare vestiti, monili o altro.
La tensione crescente agli acquisti si calma solo quando vengono effettuati, anche in dispregio delle esigenze economiche familiari altrui. Il disturbo, tuttavia, sentenziano i giudici, non esclude l’imputabilità della signora ai fini dell’intollerabilità della convivenza anche perché ella ha piene facoltà mentali e nessun problema a relazionarsi col prossimo e ad orientarsi nel tempo e nello spazio: anzi, risulta adeguata nel comportamento oltre che ricercata nel vestire.
Per questo la Corte le ha negato l’assegno di mantenimento.
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