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Indice
- 1. Il fatto
- 2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione: la disciplina della sospensione della prescrizione
- 3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite
- 4. Conclusioni: la sospensione della prescrizione prevista dall’art. 159 c.p., come modificato dalla legge n. 103/2017, si applica ai reati commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019
1. Il fatto
Il Tribunale di Bari aveva giudicato l’imputato, accusato di avere commesso il reato di cui all’art. 4 legge 18 aprile 1975, n. 110, per l’ingiustificato porto fuori dall’abitazione di un coltello a serramanico, dichiarandolo responsabile del reato ascrittogli e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di mesi quattro di arresto ed Euro 750,00 di ammenda.
Ciò posto, il difensore proponeva appello avverso questa decisione, censurata per la mancata rilevazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. e, in ogni caso, per l’omesso riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità del fatto di cui all’art. 4, terzo comma, legge n. 110 del 1975.
Dal canto suo, la Corte di Appello di Bari, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava non doversi procedere per essersi il reato estinto per la sopravvenuta prescrizione.
In particolare, la Corte territoriale aveva osservato che il termine massimo di prescrizione per la contravvenzione oggetto di imputazione, pari a cinque anni, era spirato nel 2022, dovendo escludersi l’evenienza di una situazione di fatto legittimante il pieno proscioglimento dell’imputato, precisando al contempo che la prescrizione non avrebbe potuto ritenersi maturata se si fosse ritenuta applicabile la fattispecie estintiva prevista, a decorrere dal 3 agosto 2017, dall’art. 159, secondo comma, cod. pen., come novellato dall’art. 1 legge 23 giugno 2017, n. 103, a mente del quale si determina la sospensione del termine prescrizionale dopo la sentenza di condanna emessa in primo grado fino alla definizione del grado successivo, per un tempo non superiore a un anno e sei mesi.
Orbene, i giudici di seconde cure avevano reputato come tale norma non risultasse applicabile per le ragioni spiegate anche nell’orientamento di legittimità, da loro richiamato, in base a cui la disposizione deve considerarsi non più applicabile a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 2, comma 1, lett. a), legge 27 settembre 2021, n. 134, vigente dal 19 ottobre 2021, evidenziandosi contestualmente che tale norma ha espressamente abrogato il secondo, oltre che il quarto, comma dell’art. 159 cod. pen. cancellando dall’ordinamento le ipotesi di sospensione ivi previste, con conseguente applicazione del regime della prescrizione antecedente all’entrata in vigore della legge n. 103 del 2017.
Oltre a ciò, i giudici distrettuali avevano altresì ritenuto che la legge n. 134 del 2021 non abbia abrogato soltanto l’art. 1, comma 1, legge 9 gennaio 2019, n. 3, che aveva proceduto a novellare la citata parte dell’art. 159 cod. pen., ma abbia abrogato in toto quest’ultima disposizione, così travolgendo le modifiche intermedie e privandola della possibilità di dispiegare qualsiasi effetto giuridico: senza l’intervento di una disposizione transitoria, non si giustificherebbe la persistente operatività del regime introdotto dalla legge n. 103 del 2017, in violazione del principio, sancito dall’art. 2 cod. pen., di retroattività della legge più favorevole, data la natura sostanziale dell’istituto della prescrizione.
Ebbene, a sua volta, siffatta sentenza di secondo grado era impugnata dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Bari, che ne aveva chiesto l’annullamento adducendo un unico, articolato motivo con cui ha denunciato la violazione degli artt. 2, quarto comma, 157, 159 e 161 cod. pen..
Nel dettaglio, il ricorrente lamentava che i giudici di appello avrebbero trascurato le argomentazioni poste alla base del diverso indirizzo di legittimità, orientato in senso contrario all’abrogazione della disciplina di cui all’art. 159 cod. pen. introdotta dalla legge n. 103 del 2017, a valere per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, sostenendosi che l’esatta successione normativa ha contemplato la modifica dell’art. 159 cod. pen. da parte della legge n. 103 del 2017 con la previsione, per i reati commessi dal 3 agosto 2017, della duplice sospensione del termine prescrizionale: per il massimo di anni uno, mesi sei, dal termine di deposito della sentenza di condanna di primo grado e dal termine di deposito della sentenza di condanna di secondo grado mentre, successivamente, è intervenuta la modifica dell’art. 159 cit., ad opera della legge n. 3 del 2019, per i reati commessi dall’1 gennaio 2020 dal momento che essa contempla la sospensione della prescrizione dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna sino alla data della corrispondente definitività. Infine, si è avuta la modifica dello stesso art. 159 cod. pen., determinata dalla legge n. 134 del 2021, che ha abrogato il secondo comma della disposizione e ha contestualmente introdotto l’art. 161 -bis cod. pen., in base al quale il corso della prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, così come parallelamente è stato introdotto, solo per i reati commessi dall’1 gennaio 2020, l’istituto dell’improcedibilità di cui all’art. 344-bis cod. proc. pen.
Ciò posto, in base alle indicazioni provenienti dalle pronunce di legittimità che hanno esaminato questo snodo ermeneutico, il Procuratore generale territoriale aveva, quindi, osservato come il regime introdotto dalla legge n. 134 del 2021 abbia realizzato la successione di leggi nel tempo relativa ai reati commessi a far data dall’1 gennaio 2020, in ordine ai quali si applica la sospensione dei termini prescrizionali dal momento dell’emissione della sentenza di primo grado; per converso, per i corrispondenti procedimenti opera la disciplina dell’improcedibilità di cui all’art. 344-bis cod. proc. pen., non avendo tale assetto inciso sulla disciplina della prescrizione per i reati commessi in tempo antecedente, compreso l’art. 159 cod. pen., come modificato dalla legge n. 103 del 2017, per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon
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2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione: la disciplina della sospensione della prescrizione
La Sezione assegnataria del ricorso, vale a dire la Prima Sezione penale, riteneva necessario l’intervento delle Sezioni unite per risolvere la seguente questione: “Se la disciplina della sospensione della prescrizione di cui all’art. 159, commi secondo, terzo e quarto, cod. pen., nel testo introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, sia stata totalmente abrogata dall’art. 2, comma 1, lett. a), legge n. 134 del 2021, oppure se essa sia vigente e continui a operare per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019”.
In particolare, per siffatta Sezione, le tesi prospettate, rispettivamente, dalla Corte di Appello di Bari e dal Procuratore generale territoriale riflettevano opposti orientamenti esegetici, a loro volta già fatti propri da decisioni di legittimità, fra loro difformi, tali quindi da giustificare l’intervento delle Sezioni unite.
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3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite
Le Sezioni unite, dopo avere delimitato la questione sottoposta al loro vaglio giudiziale (ossia: se “la disciplina della sospensione della prescrizione di cui all’art. 159, commi secondo, terzo e quarto, cod. pen., nel testo introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, sia stata totalmente abrogata dall’art. 2, comma 1, lett. a), legge n. 134 del 2021, oppure se essa sia vigente e continui a operare per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019”) e dopo avere riepilogata la vicenda normativa che ha interessato l’istituto della prescrizione, con precipuo riferimento al profilo della sospensione dei relativi termini, nel tempo susseguente all’entrata in vigore del vigente codice penale – evidenziavano come la giurisprudenza nomofilattica avesse manifestato, nell’ambito di questa materia giuridica, divergenti orientamenti.
Nel dettaglio, quanto alla posizione emersa come maggioritaria, siffatte Sezioni osservavano come i passaggi logico-giuridici, connotanti la tesi della persistente vigenza del regime prescrizionale introdotto dalla legge n. 103 del 2017, siano stati espressi, fra le altre, da Sez. 1, n. 2629 del 29/09/2023, nel senso che “la cessazione del corso della prescrizione del reato prevista dall’art. 161-bis cod. pen., introdotto dall’art. 2 legge 27 settembre 2021, n. 134, trova applicazione nei procedimenti relativi ai reati commessi a far data dal 1 gennaio 2020”, notandosi al contempo che la motivazione di questa sentenza, dopo l’analitica considerazione degli orientamenti in tema di prescrizione e successione delle leggi nel tempo, impernia la giustificazione dell’approdo succitato ponendo anzitutto l’accento sul rilievo che la data dell’1 gennaio 2020 individua il dies a quo di applicabilità dell’istituto della cessazione del corso della prescrizione, introdotto all’art. 161-bis, primo periodo, cod. pen., da considerarsi in rapporto di continuità normativa con l’omologa causa di sospensione legata alla sola pronuncia della sentenza di primo grado, prevista dall’art. 159, secondo comma, cod. pen., secondo la disposizione recata dalla legge n. 3 del 2019, a far data dall’1 gennaio 2020.
Nel dettaglio, la decisione citata ha evidenziato il punto che entrambi questi istituti hanno contemplato una causa di blocco tendenzialmente definitivo del decorso del tempo rilevante ai fini della prescrizione del reato: attesa, quindi, l’assimilazione strutturale fra i due istituti, si è reputato coerente ritenere che la cessazione del corso della prescrizione, introdotta dall’art. 161 -bis cod. pen., debba trovare applicazione, non dalla data di entrata in vigore della legge in commento, bensì – al pari dell’omologa causa di sospensione – in relazione ai reati commessi dall’1 gennaio 2020, tenuto conto che l’esito del ragionamento così richiamato è nel senso che la disciplina della sospensione della prescrizione dei reati prevista dalla legge n. 103 del 2017 -entrata in vigore in data 3 agosto 2017, successivamente abrogata dalla legge n. 3 del 2019, in vigore dall’1 gennaio 2020, a sua volta incisa dalla legge n. 134 del 2021, il cui dies a quo è da fissarsi egualmente alla data dell’1 gennaio 2020 – ha sostanziato il secondo comma dell’art. 159 cod. pen., con vigenza intercorsa dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019: essa costituisce una norma certamente più favorevole di quelle successive che l’hanno abrogata, perché prevede un allungamento dei termini di prescrizione a fronte, però, di una sua definitiva cessazione alla data della sentenza di primo grado, con conseguente applicazione ai reati commessi nell’indicato periodo.
Orbene, per la Corte di legittimità, questa conclusione viene considerata non contraddetta dal rilievo della sfera di applicazione del sopravvenuto e collegato istituto dell’improcedibilità di cui all’art. 344-bis cod. proc. pen., bensì collocata in logica consecutio con esso, non essendo state poche le decisioni che, prima e dopo Sez. 1, n. 2629 del 2023, sono orientati nella medesima direzione, aderendo al suo schema argomentativo, ricordandosi all’uopo, fra le altre, Sez. 7, 33770 del 10/07/2024; Sez. 4, n. 35719 del 13/06/2024; Sez. 4, n. 30816 del 12/06/2024; Sez. 4, n. 30815 del 04/06/2024; Sez. 1, n. 35446 del 29/05/2024; Sez. 1, n. 35255 del 16/05/2024; Sez. 3, n. 31950 del 15/05/2025; Sez. 7, n. 24231 del 14/05/2024; Sez. 1, n. 33605 del 09/05/2024; Sez. 1, n. 25525 del 09/02/2024; Sez. 1, n. 22998 del 24/01/2024; Sez. 1, n. 23526 del 20/02/2024.
Oltre a ciò, la Suprema Corte reputava altresì opportuno segnalare le ulteriori puntualizzazioni argomentative che si rinvengono in altre pronunce, giunte alla medesima conclusione.
Nel dettaglio, la Sez. 4, nella decisione n. 39170 del 28/06/2023, ha affermato che, tra la legge n. 103 del 2017 e la legge n. 3 del 2019, non si profila il fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo, disciplinato dall’art. 2 cod. pen., in quanto le due leggi si sono succedute con la previsione della loro applicabilità ai reati commessi a decorrere da una certa data mentre, al contrario, la successione di leggi penali nel tempo si è verificata con riferimento all’abrogazione, da parte della legge n. 134 del 2021, dell’art. 159, secondo comma, cod. pen. e alla speculare introduzione dell’art. 161-bis cod. pen., norma finalizzata a far cessare definitivamente il corso della prescrizione con la pronuncia della sentenza di primo grado, fermo restando che tale indirizzo converge, in ogni caso, nel ritenere più favorevole la disciplina della legge n. 103 del 2017 che, comunque, prevede, anche dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e di appello, il decorso del termine di prescrizione, sia pure con periodi di sospensione.
I giudici di piazza Cavour notavano per di più che la linea ermeneutica in esame valorizza, al punto da definirla come “speculare introduzione”, il nesso esistente tra le diverse innovazioni introdotte dalla legge n. 134 del 2021 nella materia della prescrizione: per un verso, l’abrogazione del disposto di cui all’art. 159, secondo comma, cod. pen., in tema di sospensione dei termini; per altro verso, l’inserimento nel codice sostanziale dell’art. 161-bis, dedicato alla cessazione definitiva del corso del termine di prescrizione.
Ebbene, sulla base di tali rilievi, si è giunto a ritenere che coesistano diversi regimi di prescrizione, correlati alla data del commesso reato: per i reati commessi fino al 2 agosto 2017 si applica la disciplina della prescrizione dettata dagli artt. 157 e ss. cod. pen. cosi come riformulati dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251; per i reati commessi a far data dal 3 agosto 2017 e fino al 31 dicembre 2019, si applica la disciplina della prescrizione prevista dalla legge n. 103 del 2017, con i periodi di sospensione previsti dall’art. 159, secondo comma, cod. pen. nel testo introdotto da detta legge; per i reati commessi a far data dal 1 gennaio 2020 si applica in primo grado la disciplina della prescrizione dettata dagli artt. 157 e ss. cod. pen., senza la sospensione della prescrizione di cui all’art. 159 cit., sostituita con l’art. 161-bis cod. pen., ma con la contestuale evenienza nei gradi successivi della disciplina della improcedibilità, considerato oltre tutto che, in questo alveo, sono emerse successive e, quanto all’approdo, consonanti pronunce rese dalla medesima Sezione.
In particolare, oltre a diverse decisioni non massimate (si ricordavano all’uopo, fra le altre ed esemplificativamente: Sez. 4, n. 23570 del 14/05/2024; Sez. 4, n. 16862 del 07/03/2024; Sez. 4, n. 10483 del 29/02/2024; Sez. 4, n. 48770 del 24/10/2023; Sez. 4, n. 42864 del 23/06/2023), si richiamava anche quanto statuito dalla Sez. 4, nella decisione n. 26294 del 12/06/2024, avendo questa pronuncia affermato il seguente principio: “In tema di prescrizione, trova applicazione la disciplina di cui alla legge 23 giugno 2017, n. 103 (ed. riforma Orlando), relativamente ai reati commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019, ivi compresa quella afferente ai periodi di sospensione ex art. 159, comma secondo, cod. pen., nel testo introdotto dall’art. (1, comma) 11, lett. b), legge cit.”. Nella corrispondente motivazione si è precisato che quello indicato costituisce il regime più favorevole, sia rispetto a quello previsto dall’art. 1, comma 1, lett. e), n. 1, della legge n. 3 del 2019, che, vigente dal 1 gennaio 2020, ha riformulato l’art. 159, secondo comma, cod. pen., prevedendo la sospensione del corso della prescrizione dalla pronunzia della sentenza di primo grado o dal decreto penale di condanna fino all’esecutività della sentenza o all’irrevocabilità del decreto, sia rispetto a quello delineato dall’art. 2 della legge n. 134 del 2021, abrogativo dell’art. 159, secondo comma, cod. pen., che ha introdotto l’art. 161-bis, cod. pen. e l’art. 344-bis, cod. proc. pen., con gli effetti, rispettivamente sostanziali e processuali, già esposti.
Ancora, Sez. 4, n. 28474 del 10/7/2024, ha affermato che, in ” tema di prescrizione, ai reati commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019 si applica la disciplina prevista dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 (ed. riforma Orlando), posto che il criterio della legge più favorevole stabilito all’art. 2, comma 4, cod. pen. assume come termini di raffronto la sospensione del decorso della prescrizione di cui all’art. 159, comma secondo, cod. pen., nel testo previsto dall’art. (1, comma) 11, lett. b), legge cit. e l’art. 161-b/s cod. pen., introdotto dalla legge 27 settembre 2021, n. 134″, notandosi al contempo che, al di là del riferito principio, questa decisione ha rimarcato che l’art. 159, secondo comma, cod. pen., abrogato dalla legge n. 134 del 2021, non è la corrispondente disposizione introdotta con la legge n. 103 del 2017, la quale era stata già sostituita dalla legge n. 3 del 2019, ma (appunto) la disposizione che l’aveva modificata, introdotta con la legge del 2019 ora citata e in vigore dall’1 gennaio 2020.
Ciò posto, si evidenziava che ulteriori apporti, nel senso fatto proprio dalla tesi suindicata, si rinvengono in altre decisioni, fra le quali si ricordavano le susseguenti: Sez. 4, n. 24579 del 21/05/2024, confermativa dell’indicazione esplicitata da Sez. 4, n. 39170 del 28/06/2023, nel senso che, in ordine alla diversa disciplina della prescrizione dettata, prima, dalla legge n. 103 del 2017 e, poi, dalla legge n. 3 del 2019, non si è verificata successione delle leggi penali nel tempo, regolata dall’art. 2 cod. pen., rinvenendosi nella corrispondente disciplina la previsione della loro applicabilità ai reati commessi a decorrere da una certa data; Sez. 1, n. 36067 del 10/05/2024, che è pervenuta alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, ma facendo applicazione dell’art. 159 cod. pen. nel testo modificato dalla legge n. 103 del 2017; Sez. 1, n. 11918 del 11/01/2024, che ha sottolineato la portata in ogni caso deteriore per la posizione dell’imputato del complesso di norme regolatrici della prescrizione entrate in vigore in tempo successivo alla legge n. 103 del 2017.
Terminato di esaminare tale approdo ermeneutico, si evidenziava invece come il contrapposto indirizzo esegetico rinvenga nella novità ordinamentale costituita dall’introduzione dell’art. 344-bis nel codice di rito un determinante elemento di cesura con la disciplina previgente, essendo stato tale indirizzo esposto con chiarezza nella sentenza resa da Sez. 3, n. 18873 del 27/02/2024, così massimata: “In tema di prescrizione, ai reati commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019 si applica, per il principio di retroattività della norma penale più favorevole, la disciplina prevista dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, che non prevedeva la causa di sospensione del corso della prescrizione durante il tempo di celebrazione del giudizio di appello e di cassazione, introdotta all’art. 159, comma secondo, cod. pen. dal disposto di cui all’art. 1, comma 11, lett. b), legge 23 giugno 2017, n. 103 e, poi, esplicitamente abrogata dall’art. 2, comma 1, lett. a), legge 27 settembre 2021, n. 134, con conseguente “reviviscenza” del regime prescrizionale antecedente”.
In particolare, secondo questa impostazione, i periodi di sospensione per i giudizi di appello e cassazione previsti dalla legge n. 103 del 2017 non devono (più) trovare applicazione per i reati commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019, in quanto, in virtù del principio di retroattività della ex mitior, si è determinata la conseguenza normativa dell’applicazione per tali reati del regime introdotto dalla legge n. 251 del 2005, norma più favorevole ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen., con sua conseguente “reviviscenza”, a cagione dell’abrogazione della disciplina successiva, fermo restando che, alla base del tessuto argomentativo che ha condotto la Corte di legittimità all’indicata conclusione, si è posta la constatazione che la legge n. 103 del 2017 ha introdotto, per i reati commessi nell’intervallo suindicato, una peculiare causa di sospensione del corso del termine di prescrizione, ancorata alla pronuncia della sentenza di condanna di primo e di secondo grado, prevista per il periodo massimo di un anno e mezzo per il giudizio di appello e per un ulteriore periodo massimo di pari durata per il giudizio di cassazione, e si è collegato alla stessa il rilievo che la predetta sospensione è stata eliminata dalla legge n. 134 del 2021, mediante l’abrogazione dello stesso art. 159, secondo comma, cod. pen..
Poste tali premesse, si è tratto il corollario che la disciplina più favorevole, da applicare ai reati commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019, una volta ritenuta del tutto abrogata quella disciplinante la sospensione introdotta dalla legge n. 103 del 2017, non può essere che quella instaurata, in precedenza, dalla legge n. 251 del 2005, la quale aveva integralmente riscritto l’art. 159 cod. pen. non prevedendo alcuna sospensione del termine di prescrizione legata alla pronuncia della sentenza e garantendo, pertanto, l’adozione di un termine massimo prescrizionale inferiore a quello contemplato da qualsiasi normativa succedutasi nel corso del tempo, a decorrere dall’agosto 2017, considerato del reato che, in questa direzione si è sostenuto che non potrebbe considerarsi applicabile la norma costituita dall’art. 159, secondo comma, cod. pen., come modificata dall’art. 1 comma 11, lett. b), legge n. 103, che ha introdotto la suddetta, ulteriore causa di sospensione del corso della prescrizione, in quanto l’art. 2, comma 1, lett. a), legge n. 134 del 2021 “ha espressamente abrogato i commi 2 e 4 dell’art. 159 cod. pen. che prevedevano una causa di sospensione del corso della prescrizione che era stata introdotta con la legge Orlando per i reati commessi dal 3 agosto 2017. Tali commi sono stati pertanto oggetto di abrogazione esplicita (e non tacita)”.
Secondo l’impostazione privilegiata da Sez. 3, n. 18873 del 27/02/2024, il predetto art. 2 legge n. 134 del 2021, avendo esplicitamente abrogato la causa di sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 159, secondo comma, cod. pen., si risolve in effetti in “una norma posteriore più favorevole e si applica a tutti i processi in corso per reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019”, con l’effetto che, nella comparazione fra le due discipline -quella vigente al momento della commissione del fatto e quella successiva, come conseguente all’abrogazione dell’art. 159, secondo comma, cod. pen. -l’applicazione nei suddetti sensi della norma più favorevole al fatto commesso sotto la vigenza della causa di sospensione di cui all’art. 159, secondo comma, cod. pen., come introdotta dalla legge n. 103 del 2017, disposizione ritenuta espressamente abrogata, determina l’eliminazione del segmento temporale di sospensione del corso della prescrizione inserito dalla legge n. 103 del 2017.
Così argomentando, la Corte di legittimità è dunque pervenuta alla conclusione che, in virtù dell’art. 2, quarto comma, cod. pen., la disciplina della prescrizione oggi applicabile – risultante dall’espressa abrogazione della causa di sospensione della prescrizione della legge n. 103 del 2017 – va individuata in quella antecedente, più favorevole rispetto a quella in vigore al momento del fatto.
Secondo questa linea esegetica, l’enunciata conclusione non rinviene quindi un elemento di contrasto logico-giuridico nel rilievo dell’introduzione della causa di improcedibilità per superamento dei termini massimi di durata del processo, in virtù del comma 2, lett. a), dell’art. 2 legge n. 134 del 2021, che ha inserito nel codice di procedura penale l’art. 344-bis cod. proc. pen. per i reati commessi dopo l’1 gennaio 2020, in quanto, se è vero che con l’art. 344-bis cod. proc. pen. è stato introdotto il rimedio processuale dell’improcedibilità per i soli reati commessi dopo l’1 gennaio 2020 ed è stata disposta la cessazione del corso della prescrizione del reato con la pronuncia della sentenza di primo grado (con l’introduzione dell’art. 161-bis cod. pen.), è del pari vero che la riforma del 2021, allo stesso tempo, ha espressamente abrogato la causa di sospensione della prescrizione introdotta dalla legge n. 103 del 2017, che aveva inciso sul regime della prescrizione di cui alla legge n. 251 del 2005: e la norma abrogante, proprio perché inserita in una disposizione specifica al comma 1 dell’art. 2, è da ritenersi applicabile a tutti i reati, ivi compresi quelli commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019.
In definitiva, l’improcedibilità viene considerata, nella prospettiva accolta dall’orientamento espresso da Sez. 3, n. 18873 del 27/02/2024, come dato normativo sintomatico della radicale abrogazione dell’istituto della sospensione della prescrizione riconnessa all’emissione della decisione, fermo restando che questo orientamento è stato successivamente seguito da un’altra pronuncia della stessa Sezione e, dunque, la Sez. 3, nella pronuncia n. 33156 del 08/05/2024, che ha addotto i medesimi argomenti a sostegno della soluzione interpretativa propugnata, e poi ancora da Sez. 5, n. 39725 del 10/09/2024, che ha del pari aderito motivatamente alla corrispondente linea interpretativa.
L’indirizzo che si presenta minoritario fra le pronunce di legittimità concretizza, peraltro, osservavano sempre le Sezioni unite nella sentenza qui in commento, l’esito di uno snodo ermeneutico fatto proprio da tangibili orientamenti, più o meno strutturati, della giurisprudenza di merito (non pochi procedimenti risultando definiti mediante l’applicazione, implicita ma univoca, dei termini prescrizionali dettati dalla disciplina determinata dalla legge n. 251 del 2005) e trova sostegno in posizioni della dottrina che, in sintonia con gli argomenti suindicati, ne hanno corroborato l’approdo.
Chiarito ciò, dopo avere compiuto ulteriori approfondimenti di ordine prevalentemente giurisprudenziale, la Suprema Corte giungeva alla conclusione secondo la quale si deve privilegiare la tesi, sviluppatasi nell’ambito dell’orientamento rilevato come maggioritario, secondo la quale il rapporto tra la disciplina della sospensione della prescrizione dettata dalla legge n. 103 del 2017 e quella di cui alle due susseguenti fonti costituite dalla legge n. 3 del 2019 e dalla legge n. 134 del 2021 non si è risolto nel mero fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo, regolato dall’art. 2 cod. pen., il che avveniva alla stregua delle seguenti considerazioni: “Invero, le due leggi succedutesi a quella del 2017 si caratterizzano per la previsione della loro applicabilità soltanto ai reati commessi a decorrere da una certa data, ossia dall’1 gennaio 2020. È indubbio che l’espressione adoperata dall’art. 1, comma 2, legge n. 3 del 2019 (“Le disposizioni di cui al comma 1, lettere d), e) e f), entrano in vigore il 1 gennaio 2020”) pare riferirsi al solo momento di individuazione della cessazione del regime di vacatio rispetto a quello normativamente previsto in via ordinaria, mentre le locuzioni utilizzate, sempre sullo stesso tema, dall’art. 1, comma 15, legge n. 103 del 2017 (“Le disposizioni di cui ai commi da 10 a 14 si applicano ai fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della presente legge”) e, in tema di improcedibilità, dall’art. 2, comma 3, legge n. 134 del 2021 (“Le disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo si applicano ai soli procedimenti di impugnazione che hanno a oggetto reati commessi a far data dal 1 gennaio 2020”) fanno preciso riferimento alla sfera dei reati a cui accede la corrispondente disciplina. Tuttavia, l’impianto della complessiva modificazione dell’istituto della prescrizione introdotta con la legge n. 3 del 2019 orienta nel senso che questa normativa è stata direttamente dettata per disciplinare i reati commessi dall’1 gennaio 2020 in poi. (…) Tale legge – è significativo evidenziarlo – ha introdotto norme di natura sostanziale ulteriori rispetto all’ambito della sospensione della prescrizione, incidendo anche sulla stessa individuazione del dies a quo del termine di prescrizione, come si trae dall’esame dell’art. 158, primo comma, cod. pen. (come riscritto dall’art. 1, comma 1, lett. d), della legge stessa): e ciò ha costituito solida ragione per la quale ampi settori della dottrina hanno dato per assodata l’operatività con riguardo ai soli reati commessi dall’1 gennaio 2020 in poi del complesso delle modificazioni dalla stessa apportate. In questa direzione, pure se la locuzione adottata nel testo della legge è letteralmente riferita alla semplice “entrata in vigore”, è da ritenere che il legislatore del 2019 abbia inteso stabilire che tutte le nuove disposizioni in materia di prescrizione (prima tra tutte la sospensione sine die del termine di prescrizione con la pronuncia della sentenza di primo grado inserita nell’art. 159 cod. pen. da quella riforma) debbano trovare applicazione solo in relazione ai reati commessi dall’1 gennaio 2020. È in tale prospettiva che si individua la ragione della forte divaricazione temporale – non di molto inferiore alla durata di un anno (durata sensibilmente più ampia rispetto alla vacatio ordinaria di cui agli art. 73 Cost. e 10 preleggi) -tra l’epoca di approvazione, promulgazione e pubblicazione della legge e quella di inizio di produzione dei suoi effetti: essa ha segnato una cesura con la pregressa disciplina, del tutto svincolata da reali esigenze di conoscibilità del dettato normativo, così da sfociare in un vero e proprio regime transitorio, preclusivo del raffronto fra la disciplina con essa introdotta e quelle pregresse. Osservando il dipanarsi di queste modificazioni normative, si può ragionevolmente evincere che l’obiettivo perseguito dal legislatore non è identificabile con quello (proprio della vacatio legis) di assicurare la conoscibilità della legge, bensì con quello di procrastinarne nel tempo gli effetti, al fine, del resto non sottaciuto, di adottare in quell’intervallo le opportune riforme necessarie per velocizzare il processo penale, in guisa da evitare, dopo l’introduzione della sospensione sine die della prescrizione del reato all’esito della sentenza di primo grado (e, si sottolinea, qualunque sia l’esito da tale pronuncia sancito), l’ordinaria evenienza di un giudizio di cognizione suscettibile di durata indefinita nei gradi successivi. (…) Il passaggio da un regime che contempla l’operatività della prescrizione del reato in ogni stato e grado del processo a un regime radicalmente diverso, disciplinante il blocco tendenzialmente definitivo della prescrizione con la sentenza di primo grado, con la conseguente impossibilità di dichiarare estinto il reato per decorso del tempo nei giudizi di impugnazione, ha così determinato l’introduzione di una disciplina considerata ab origine inapplicabile retroattivamente, in quanto totalmente innovativa del regime sospensivo del decorso del termine prescrizionale, oltre che deteriore rispetto a qualsiasi altra regolamentazione della materia avvicendatasi in precedenza. A quest’ultimo proposito si segnala – incidentalmente e al solo fine di prendere le distanze dalla diversa impostazione proposta nelle pronunce dell’orientamento indicato come minoritario – che, ove si operasse la valutazione comparativa finalizzata a stabilire la disciplina più favorevole all’imputato, non potrebbero estrarsi frazioni della pregressa disciplina della prescrizione senza considerare la contemporanea introduzione della sospensione sine die del relativo termine dopo l’emissione della sentenza di primo grado. È, infatti, principio assodato quello secondo il quale, in tema di prescrizione, non è consentita l’applicazione simultanea di disposizioni in parte introdotte da una legge e in altra parte frutto di un intervento normativo successivo, secondo il criterio della maggior convenienza per l’imputato, occorrendo invece applicare integralmente l’una o l’altra disciplina (per tutte, con riferimento al rapporto fra il contenuto della legge n. 251 del 2005 e il disposto delle leggi precedenti, Sez. 5, n. 26801 del 17/04/2014, omissis, Rv. 260228 – 01; con riferimento specifico al susseguirsi delle leggi rilevanti in questo procedimento, Sez. 4, n. 33127 del 10/07/2024, omissis, non mass.). Tornando al rilievo dell’inapplicabilità della disciplina della sospensione della prescrizione prevista dalla legge n. 3 del 2019 per i reati commessi in tempo antecedente all’1 gennaio 2020, il Collegio osserva che essa rinviene il suo coerente sviluppo nella disciplina dall’art. 2, comma 3, legge n. 134 del 2021, chiaramente coordinato con le innovazioni apportate dalla legge del 2019, con particolare riferimento all’introduzione dell’istituto dell’improcedibilità riguardante gli stessi reati per i quali la legge del 2019 aveva previsto la sospensione indeterminata della prescrizione con la sentenza di primo grado. Ebbene, come si è già osservato, la suddetta norma ha fatto espresso riferimento ai reati commessi a far data dall’1 gennaio 2020, così manifestando la chiara volontà di limitare gli effetti a ritroso dell’improcedibilità ai soli reati commessi a partire da tale data. Risulta così esplicitato lo spartiacque, fissato ratione temporis, fra reati commessi fino al 31 dicembre 2019 e reati commessi dall’1 gennaio 2020, spartiacque ragionevolmente concepibile soltanto muovendo dal presupposto che la data dell’1 gennaio 2020 ha identificato già, in materia di prescrizione, la soluzione netta della continuità rispetto al passato. A questa data si è, d’altro canto, sincronizzata l’efficacia temporale di operatività degli istituti dell’improcedibilità e della sospensione sine die del termine di prescrizione del reato con la pronuncia della sentenza di primo grado, istituto – quest’ultimo – riposizionato dalla legge n. 134 del 2021 nell’art. 161-bis cod. pen., con formula normativa non dissimile dalla precedente, sia pure con l’inserzione nella rubrica della disposizione del più forte riferimento al fenomeno della cessazione delle prescrizione, da un lato, e con l’elisione dalla norma del richiamo (oltre che della sentenza di primo grado, anche) del decreto di condanna, ricollocato, nell’art. 160 cod. pen., fra gli atti interruttivi del decorso del termine prescrizionale. Le considerazioni svolte, pertanto, inducono a ritenere che la legge n. 3 del 2019 abbia dettato nuove disposizioni in materia di prescrizione soltanto per i reati commessi a decorrere dall’1 gennaio 2020, essendosi estrinsecata la corrispondente voluntas legis nel senso che le nuove norme non producano alcun effetto in relazione ai reati commessi prima della suddetta data. Di conseguenza, per il periodo intercorso fra il 3 agosto 2017 (data di entrata in vigore della legge n. 103 del 2017) e il 31 dicembre 2019 il regime della sospensione della prescrizione dei reati continua ad essere regolato dalle norme dettate da quest’ultima fonte, così prefigurandosi il relativo regime transitorio, di per sé preclusivo della giuridica possibilità di dare attuazione al principio di retroattività della legge più favorevole: principio che, come si è visto, in questa materia opera soltanto in mancanza dell’esplicita presa di posizione del legislatore, declinata nel rispetto del canone della ragionevolezza, in ordine al regime intertemporale delle disposizioni introdotte. 6.3. In questa prospettiva non può essere condivisa la tesi, posta a base della tesi coltivata dall’indirizzo minoritario, secondo la quale la legge n. 134 del 2021 ha finito per abrogare in toto l’istituto della sospensione della prescrizione riconnesso alla pronuncia delle sentenze di merito (aventi contenuto condannatorio) introdotto con la legge n. 103 del 2017. È utile, per vero, ribadire che la legge n. 134 del 2021 non è intervenuta sulle disposizioni codicistiche come modificate dalla legge n. 103 del 2017, applicabili ai reati antecedenti all’1 gennaio 2020, bensì sul tessuto normativo già modificato dalla legge n. 3 del 2019, da applicarsi esclusivamente dall’1 gennaio 2020, sicché anche sotto tale aspetto non appare calibrato con la reale portata degli interventi normativi così susseguitisi annettere alla legge del 2021 portata abrogatrice della disciplina del 2017. L’analisi testuale delle modifiche introdotte dalla legge n. 134 del 2021 depone nel senso che tale fonte, in materia di prescrizione, non è intervenuta direttamente sull’articolato della legge n. 3 del 2019, bensì sulle disposizioni del codice penale che erano state in precedenza novellate da questa legge, come per escludere la volontà di eradicare dal sistema la riforma del 2019 e, al contrario, di raccordare alla stessa – evidentemente in relazione ai reati rientranti ratione temporis nel suo ambito di applicazione – le modificazioni introdotte, specie quella riferita all’improcedibilità di cui all’art. 344-biscod. proc. pen. L’esame delle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, legge n. 134 del 2021 al tessuto codicistico conferma tale assunto: la lett. a) del citato comma statuisce che “all’articolo 159, il secondo e il quarto comma sono abrogati”. Le disposizioni abrogate dal legislatore del 2021 non sono, quindi, quelle introdotte dalla legge n. 103 del 2017, già sottoposto all’intervento abrogante statuito dalla legge n. 3 del 2019, bensì il secondo e il quarto comma sortiti all’esito dell’intervento normativo del 2019. Le disposizioni abrogate dalla legge del 2021 sono le seguenti. Il secondo comma: “Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna”. Il quarto comma: “Nel caso di sospensione del procedimento ai sensi dell’articolo 420-quater del codice di procedura penale, la durata della sospensione della prescrizione del reato non può superare i termini previsti dal secondo comma dell’articolo 161 del presente codice”. Viceversa, i tre commi dell’art. 159 cod. pen., fra loro strettamente connessi, introdotti dalla legge n. 103 del 2017, erano già stati elisi in precedenza dall’art. 1, comma 1, lett. e), legge n. 3 del 2019, il quale aveva riscritto il secondo comma della norma e abrogato i successivi commi terzo e quarto: era stato questo – quindi – l’intervento normativo che aveva inciso sulla fattispecie della sospensione della prescrizione oggetto del presente esame, definendo, in coincidenza con l’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, il limite temporale di operatività della disciplina che l’aveva introdotta. In corrispondenza, la legge n. 134 del 2021 ha perpetuato, specificandola, la disciplina della sospensione – definita poi cessazione – della prescrizione a far data dalla sentenza di primo grado introdotta dalla legge n. 3 del 2019, in tal senso avendo disposto il medesimo art. 2, comma 1, lett. b) e c), legge n. 134 del 2021. Il dettato dell’art. 2, comma 1, lett. b), in particolare, è intervenuto sull’art. 160, primo comma, cod. pen., come riscritto dalla legge n. 3 del 2019, reinserendo il decreto di condanna fra le cause di interruzione del termine prescrizionale, corrispondentemente espunto dalle cause di sospensione dei termini di prescrizione di cui all’art. 159, secondo comma, cod. pen.: si è così ripristinata per il decreto di condanna la disciplina vigente prima della legge n. 3 del 2019, che, per i reati commessi dall’1 gennaio 2020, aveva depennato sia la sentenza di condanna sia il decreto di condanna dalle cause di interruzione della prescrizione, attraverso l’abrogazione del primo comma dell’art. 160 cod. pen., per annoverarle fra le cause di sospensione. Poi, il dettato di cui all’art. 2, comma 1, lett. c), ha introdotto nel codice penale l’art. 161-bis, rubricandolo “Cessazione del corso della prescrizione” e stabilendo, con esso, che il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente con la pronunzia della sentenza di primo grado, ma, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento. In tal modo, la legge del 2021 ha confermato l’individuazione della sentenza di primo grado come causa di sospensione sine die del decorso dei termini di prescrizione, da un lato, definendo l’evento come causa di cessazione definitiva del corso ma, dall’altro, puntualizzando l’evenienza della ripresa del corso stesso nell’indicata ipotesi di regressione del procedimento; ciò, sempre con effetti a decorrere dall’1 gennaio 2020. (…) Emerge, pertanto, limpido il nesso fra la conferma dell’individuazione della sentenza di primo grado come momento di tendenziale cessazione del corso della prescrizione del reato e la contemporanea introduzione dell’istituto (per vero, non sedimentato nella tradizione giuridica) dell’improcedibilità, espressamente riservato ai reati commessi dall’1 gennaio 2020. La legge del 2021 ha, con l’art. 161 -bis cod. pen., confermato, precisandone gli effetti, il blocco del corso del corso della prescrizione del reato in concomitanza con la pronuncia della sentenza di primo grado e ha, in pari tempo, con l’art. 344-bis cod. proc. pen, introdotto l’improcedibilità per i conseguenti giudizi di impugnazione. La consapevolezza, da parte del legislatore del 2021, di operare su disposizioni già aventi efficacia dall’1 gennaio 2020, secondo quanto risultante a seguito della legge n. 3 del 2019, spiega, dunque, la ragione per la quale ha specificato per la sola disposizione che ha introdotto l’istituto dell’improcedibilità la sua applicazione ai reati commessi a far data dall’ 1gennaio 2020. In questa prospettiva, le modificazioni normative attinenti alla sospensione del termine di prescrizione apportate dalla legge del 2021, innestandosi su quelle introdotte con la legge del 2019, si sono saldate con esse, intervenendo sulla medesima sfera di applicazione temporale e, così, ancorando cronologicamente i propri effetti a quell’ambito, in consonanza con gli effetti determinati dall’istituto dell’improcedibilità, per modo che entrambi gli alvei ne sono risultati definiti con riferimento ai reati commessi dalla data dell’1 gennaio 2020. Come conferma anche l’analisi dei corrispondenti lavori preparatori, la scelta della data di operatività della riforma del 2021 in materia di improcedibilità, dunque, non è stata casuale, ma pienamente consentanea ad agganciare l’introduzione del nuovo istituto processuale alla pregressa legge del 2019, facendone coincidere gli effetti determinati dalle novità introdotte in materia di prescrizione con la legge del 2019. Tenuto conto di ciò, l’obiettivo disallineamento rilevabile fra l’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019 e quella della legge n. 134 del 2021 (che è maturata il 19 ottobre 2021) non si profila determinare tangibili distonie: l’individuato raccordo fra la sfera di reati a cui si applica la complessiva disciplina sortita dalla prima riforma, come emendata dalla seconda, già è dirimente al riguardo. In ogni caso, pur ove volesse istituirsi una comparazione fra le norme dettate dalle due indicate fonti, dovrebbe considerarsi che, agli effetti penali, le regole inerenti alla sospensione o, per adottare la terminologia espressa nella relativa fonte, alla cessazione della prescrizione, dettate dalla legge n. 134 del 2021, non paiono meno favorevoli per l’imputato rispetto a quelle dettate dalla legge n. 3 del 2019. In coordinata sintesi, quindi, occorre concludere che: la disciplina della sospensione della prescrizione introdotta dalla legge n. 3 del 2019 non possiede efficacia retroattiva e si applica ai soli reati commessi dall’1 gennaio 2020; la legge n. 134 del 2021 è intervenuta a modificare, nella stessa materia, le sole norme dettate dalla legge n. 3 del 2019, non quelle dettate dalla legge n. 103 del 2017; di conseguenza, la legge n. 134 del 2021, nella medesima materia, a sua volta, non dispiega efficacia retroattiva, applicandosi ai soli reati commessi dall’1 gennaio 2020. Pertanto, le disposizioni dettate dalla legge n. 3 del 2019 in materia di prescrizione, ivi inclusa la sospensione del decorso del relativo termine, hanno assunto efficacia dall’1 gennaio 2020. Esse hanno continuato a dispiegare la medesima efficacia anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 134 del 2021 (l’art. 158, primo comma, cod. pen. perché non interessato dalla nuova legge, e gli artt. 159 e 160 cod. pen. perché, pur modificati nel testo, non hanno visto espressamente mutata dal legislatore la sfera di applicazione, non estesa ai reati commessi prima dell’1 gennaio 2020)”.
Esposte le considerazioni che avevano indotto la Corte di legittimità ad addivenire alla suesposta conclusione giuridica, tale organo giudicante giungeva inoltre ad affermare che il sistema così delineato non appariva nemmeno prestare il fianco a concrete censure di illegittimità costituzionale, rilevandosi a tal riguardo che la limitata sfera di applicazione prevista per l’istituto dell’improcedibilità risulta aver ricevuto positivo vaglio in merito alla sua conformità a Costituzione dato che, più volte, è stata affermata la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in ordine alla limitazione temporale di operatività dell’istituto, proprio in ragione dell’inscindibile collegamento esistente tra l’improcedibilità introdotta dalla legge n. 134 del 2021 e il regime prescrizionale delineato dalla legge n. 3 del 2019, in quanto ritenuti entrambi applicabili ai soli reati commessi dall’1 gennaio 2020, osservandosi in proposito che “la limitazione cronologica dell’applicazione di tale causa di improcedibilità, cui consegue la non punibilità delle condotte, è frutto di una scelta discrezionale del legislatore, giustificata dalla diversità delle situazioni, e risulta coerente con la riforma introdotta dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia di sospensione del termine di prescrizione nei giudizi di impugnazione, egualmente applicabile ai soli reati commessi a decorrere dalla suddetta data, essendo ragionevole la graduale introduzione dell’istituto per consentire un’adeguata organizzazione degli uffici giudiziari” (Sez. 5, n. 43624 del 06/07/2022; Sez. 3, n. 1567 del 14/12/2021; Sez. 7, n. 43883 del 19/11/2021), così come, nella medesima direzione, si è, in tempo ancora antecedente, considerata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 344-bis cod. proc. pen., in relazione agli artt. 3 e 117 Cost., nella parte in cui limita l’applicazione della causa di improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione ai soli reati commessi dall’1 gennaio 2020, in ragione della natura processuale della disposizione, come tale non suscettibile di applicazione retroattiva, e, anche in tal caso, considerata conforme a ragionevolezza, attesa la sua finalità riequilibratrice rispetto alla disciplina introdotta dalla legge n. 3 del 2019 in tema di sospensione del termine di prescrizione, ritenuta afferente alla medesima limitazione temporale (Sez. 5, n. 334 del 05/11/2021).
D’altronde, più in generale, muovendo dalla natura essenzialmente processuale dell’improcedibilità, in correlazione con la sua finalità, esplicitamente perseguita, di pervenire alla celere definizione dei processi di impugnazione, in ossequio al principio costituzionale della loro ragionevole durata, nonché con la sua collocazione nel codice di rito e con le modalità operative del meccanismo estintivo previsto dall’art. 344-bis cod. proc. pen. (per il quale il superamento del limite temporale prestabilito incide – non sull’esistenza del reato, bensì – sulla possibilità di proseguire l’azione penale), l’elaborazione recepita in sede di legittimità ha ribadito che, anche a considerare i risvolti sostanziali dell’istituto in termini di punibilità, il principio di retroattività della legge più favorevole non rinviene, in questo caso, copertura costituzionale nel principio di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., ma esclusivamente nell’ambito del principio di uguaglianza e di ragionevolezza dettato dall’art. 3 Cost. (per tutte, Sez. 3, n. 37234 del 05/06/2024; Sez. 5, n. 34208 del 09/05/2024; Sez. 6, n. 47127 del 18/10/2023; Sez. 2, n. 44819 del 06/10/2023; Sez. 1, n. 41343 del 25/05/2023).
Di conseguenza, per la Cassazione, l’ipotizzabilità di un profilo di illegittimità costituzionale dell’istituto potrebbe coltivarsi soltanto se si individuasse la violazione dell’art. 3 Cost. in dipendenza dell’irragionevole disparità di trattamento tra gli autori di reati commessi prima o dopo la data di applicazione dell’art. 344-bis cod. proc. pen. in materia di improcedibilità e ciò, tuttavia, sempre ad avviso della Corte, pare doversi escludere, proprio perché tale disciplina si inserisce in un sistema processuale e sostanziale profondamente mutato, coordinato – sul piano normativo – con il nuovo, circoscritto (ex art. 161-bis cod. pen.) regime della prescrizione, senza il suo innesto nel previgente regime governato dalla sola prescrizione, e – sul piano strutturale – con l’adozione di corrispondenti misure organizzative da parte degli uffici giudiziari.
Chiarito ciò, a questo punto della disamina, i giudici di legittimità ordinaria notavano oltre tutto che l’assunto, espresso da questo corposo orientamento con primario riferimento all’istituto dell’improcedibilità, ne considera inevitabilmente anche i risvolti sostanziali, in virtù del collegamento con la corrispondente disciplina in materia di prescrizione.
Sull’argomento, quindi, fermo il rilievo della natura primariamente processuale dell’improcedibilità, ma non obliterata l’ineliminabile evenienza di alcuni suoi aspetti aventi riflessi di natura peculiare (si ricordava al riguardo la sua rinunciabilità da parte dell’imputato e la sua inapplicabilità ai reati puniti con la pena dell’ergastolo), occorre ribadire che l’emerso legame fra l’introduzione dell’improcedibilità e la fissazione del corrispondente regime prescrizionale, per il Supremo Consesso, fa sì che l’insieme della relativa disciplina, caratterizzata anche da sicuri aspetti di natura sostanziale, esige, in ogni caso, che l’assetto che ne è derivato in punto di sospensione del corso della prescrizione sia analizzato alla stregua del principio di retroattività della ex mitior, temperato dalla specificazione che in questa materia tale principio non riceve la tutela privilegiata di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., confermandosi pertanto che le eventuali deroghe al principio stesso, in relazione alla verifica del rispetto del principio promanante dall’art. 3 Cost., sono da ritenersi, anche nell’ambito qui rilevante, ammesse, sempre che le medesime, stabilite dalla legge ordinaria, siano sorrette da una sufficiente ragione giustificativa, consistente nella tutela di interessi di analogo rilievo, quali devono considerarsi, nello stesso alveo, quelli dell’efficienza del processo, della salvaguardia dei diritti dei soggetti destinatari della funzione giurisdizionale e quelli coinvolgenti esigenze dell’intera collettività nazionale connesse a valori costituzionali di rango primario.
Ora, pur tenendo conto delle connotazioni proprie di ciascuno degli istituti in esame, il rilevato coordinamento normativo fra la prescrizione e l’improcedibilità, per gli Ermellini, contribuisce senz’altro a orientare nel senso che la limitazione imposta alla retroattività delle norme della legge n. 134 del 2021 soddisfa i requisiti di ragionevolezza necessari per giustificarla; ciò, lasciando conseguentemente impregiudicata nel presente contesto la valutazione circa la possibilità di qualificare come l’ex mitior rispetto a quella previgente la disciplina della prescrizione scaturente dalla stessa legge, peraltro caratterizzata in modo ineludibile anche dalla sospensione sine die del corso del termine prescrizionale a far data dalla sentenza di primo grado, convergendo verso tale approdo: a) il netto mutamento di paradigma realizzato con il passaggio dalla sola prescrizione alla combinazione di prescrizione e improcedibilità; b) la correlativa necessità di garantire agli uffici giudiziari il tempo necessario per organizzare l’utile trattazione dei processi nel regime determinato da tale mutamento, in rapporto all’ovvio pericolo che, in assenza di un regime transitorio, moltissimi reati in corso di accertamento nei gradi successivi al primo si trovassero esposti al concreto rischio di innesco massivo del nuovo meccanismo estintivo; c) l’esigenza di tutelare l’interesse delle persone offese a non subire l’improvvisa riduzione dei termini di estinzione del reato o dell’azione penale, potenzialmente derivante dall’applicazione totalmente retroattiva delle nuove norme (considerata l’obiettiva impossibilità di esaurire nei tempi scanditi dalla disciplina i processi pendenti, soprattutto in grado di appello) tanto più se si considera che, nel medesimo senso, l’esigenza dell’applicazione progressiva, oltre che limitata ai reati commessi dalla suddetta data, dell’istituto dell’improcedibilità ha informato la previsione normativa di termini più marcati per la fase di avvio dato che l’art. 2, comma 5, della legge n. 134 del 2021 ha stabilito che, nei procedimenti in cui si applica l’improcedibilità nei quali l’impugnazione sia stata proposta entro la data del 31 dicembre 2024, i termini previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 344-bis cod. proc. pen. sono, rispettivamente, di tre anni per il giudizio di appello e di un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione, con disciplina estesa anche ai giudizi conseguenti all’annullamento con rinvio pronunciato prima del 31 dicembre 2024.
Tali considerazioni rendono dunque ragione, per le Sezioni unite, del fatto che, oltre alla volontà di prevedere un regime transitorio, anche la specifica individuazione da parte della legge n. 134 del 2021 della data dell’1 gennaio2020 quale data rilevante per il passaggio al nuovo regime risulta ragionevole, in quanto pienamente consentanea all’esigenza di raccordare gli effetti della propria disciplina a quelli della legge n. 3 del 2019, che prevedeva la sua applicabilità proprio a partire da detta data. Pertanto, per tutti i reati per i quali la legge n. 3 del 2019 aveva già introdotto la sospensione sine die della prescrizione con la sentenza di primo grado, la legge n. 134 del 2021, al di là della modifica della denominazione dell’effetto sul corso della prescrizione (da sospensione a cessazione definitiva), ha determinato l’affiancamento al meccanismo sospensivo dell’istituto dell’improcedibilità, con il dichiarato scopo di assicurare per la medesima platea di reati la ragionevole durata del processo anche nei giudizi di impugnazione mentre, ai reati commessi nel tempo antecedente all’1 gennaio 2020, invece, non è stata apportata modifica alcuna al regime precedente, che già non prevedeva né la sospensione sine die o, secondo il rinnovato lessico, la cessazione definitiva della prescrizione con la sentenza di primo grado, né – in corrispondenza – l’improcedibilità per i gradi di giudizio successivi al primo.
Sotto tali connessi profili, pertanto, per la Suprema Corte, si considera congrua la conclusione che il legislatore non ha dispiegato il potere discrezionale riconosciutogli in materia con modalità ed esiti normativi irragionevoli.
In definitiva, l’individuata limitazione ai reati commessi dall’1 gennaio 2020 dell’applicazione del coordinato regime di operatività della prescrizione, con suo blocco (tendenzialmente definitivo, salva la regressione del processo) coincidente con qualsiasi esito decisorio del primo grado, e di operatività dell’improcedibilità nei gradi successivi, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, per un verso, si rivela come la logica conseguenza del fatto che esso costituisce, nel suo unitario insieme, un nuovo sistema -complessivamente non contrastante con il principio costituzionale di ragionevole durata – regolatore degli effetti sul reato del decorso del tempo prima e durante il processo e, per altro verso, risulta giustificato dall’esigenza di assicurare agli uffici giudiziari un congruo lasso per conformare la durata dei processi, specie dei giudizi di impugnazione, alle disposizioni caratterizzanti il sistema stesso.
Il corollario, che determina la soluzione della questione sottoposta alle Sezioni unite nel caso di specie, a loro avviso, va, quindi, declinato nel seguente modo: “A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, la riscrittura parziale degli artt. 158,159 e 160 cod. pen., con effetti dall’1 gennaio 2020, ha determinato – per il tempo di interesse – la coesistenza di due differenti regimi: il primo, riveniente dall’introduzione della legge n. 103 del 2017, destinato a disciplinare tutti e soltanto i reati commessi dall’entrata in vigore di tale legge fino al 31 dicembre 2019; il secondo, scaturente dalle modificazioni introdotte dalla stessa legge n. 3 del 2019, destinato a disciplinare i reati commessi a decorrere dall’1 gennaio2020, senza possibilità di retroagire per espressa volontà del legislatore, regime su cui la legge n. 134 del 2021 è intervenuta, con le modificazioni indicate e soprattutto con l’affiancamento dell’istituto processuale dell’improcedibilità, senza però intaccare il testo degli artt. 158,159 e 160 cod. pen. esitato dalla legge n. 103 del 2017 e destinato a disciplinare i reati commessi fino al 31 dicembre 2019. Al quesito posto – se la disciplina della sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 159, commi secondo, terzo e quarto, cod. pen., nel testo introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 continui a essere applicabile, dopo l’introduzione dell’art. 2, comma 1, lett. a), della legge 27 novembre 2021, n. 134, in relazione ai reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019 – deve darsi, dunque, risposta affermativa”.
Le Sezioni unite, pertanto, alla stregua di quanto sin qui esposto, formulavano il seguente principio: il seguente principio di diritto: “La disciplina della sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 159 cod. pen., nel testo introdotto dalla legge n. 103 del 2017, si applica ai reati commessi nel tempo di vigenza della legge stessa, ovvero dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, non essendo stata abrogata con effetti retroattivi dalla legge n. 3 del 2019, prima, e dalla legge n. 134 del 2021, poi, mentre per i reati commessi dall’1 gennaio 2020 si applica la disciplina posta a sistema dalla legge n. 134 del 2021”.
4. Conclusioni: la sospensione della prescrizione prevista dall’art. 159 c.p., come modificato dalla legge n. 103/2017, si applica ai reati commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019
La decisione in esame desta un sicuro interesse, essendo ivi chiarita la portata applicativa, sotto il profilo temporale dell’art. 159 cod. pen., in relazione alle modifiche apportate a siffatto precetto normativo dalla legge n. 103 del 2017 (oltre alle novità introdotte dalla legge n. 134 del 2021 sempre in subiecta materia).
Come appena visto, difatti, nella pronuncia qui in commento, con una motivazione complessa e articolata, le Sezioni unite hanno affermato che la sospensione della prescrizione prevista dall’art. 159 c.p., così come introdotta dalla legge n. 103/2017, si applica ai reati commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019 mentre, per i reati successivi, ossia quelli commessi dal 1° gennaio 2020, vale la disciplina stabilita dalla legge n. 134/2021.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di comprendere in che termini la prescrizione del reato possa ritenersi sospesa a seconda di quale di queste due leggi debba essere presa in considerazione.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché fa chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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