La responsabilità per i danni causati al lavoratore conseguente all’esplicazione dell’attività del medico, ricade direttamente in capo alla società datrice di lavoro che se ne avvale

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Fatto

La vicenda che ha dato origine alla decisione oggetto del presente commento riguarda la richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali avanzata da tre dipendenti nei confronti del proprio datore di lavoro e del medico competente allo svolgimento della visita specialistica oftalmologica. Gli attori lamentavano, infatti, dei danni subiti all’apparato visivo causati da una cattiva manutenzione degli strumenti ottici e, nello specifico, una cheratite virale, la quale aveva portato a una invalidità, sia temporanea che assoluta.

Nel corso del giudizio, in questi termini instaurato, si costituivano i convenuti, la società e il medico, e veniva disposta ctu medica. Ciò nonostante, il Tribunale di primo grado disattendeva la valutazione operata dal consulente d’ufficio, e aderiva alle conclusioni dei consulenti di parte, condannando solo il medico convenuto al risarcimento del danno, e rigettando le medesime domande avanzate nei confronti del datore di lavoro.

Contro la decisione del Tribunale di primo grado veniva proposto appello da parte della società, per la decisione della compensazione delle spese processuali, e appello incidentale da parte dei tre dipendenti.

La Corte d’Appello accoglieva l’appello incidentale e, rigettando quello principale, condannava la società al pagamento della somma già riconosciuta a titolo risarcitorio nei confronti degli appellanti incidentali, oltre al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

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La decisione della Corte di Cassazione

Contro tale decisione, la società convenuta ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi – per quanto qui di interesse – a due motivi, nello specifico:

(i) Con il secondo motivo la società ha lamentato l’applicabilità dell’art. 2049 cod. civ. e dunque la configurazione di una responsabilità solidale della società ricorrente per le lesioni subite dagli attori. Secondo la società, infatti, l’obbligo dei dipendenti di sottoporsi periodicamente alla visita medica trova il proprio fondamento non in un rapporto contrattuale, bensì nella legge, di conseguenza non si può configurare una responsabilità ex art. 1218 cod. civ. né ex art. 2049 c.c., poiché l’attività medica viene espletata presso uno studio ambulatoriale sul quale il datore di lavoro non può esercitare controllo o vigilanza.

(ii) Con il terzo motivo, la società ricorrente ha sostenuto che vi sia stata una errata applicazione delle disposizioni del codice civile e di procedura civile circa il regolamento delle spese di lite. La Corte d’Appello, infatti, oltre a ritenere la ricorrente responsabile in solido con il medico, condannandola al pagamento del medesimo importo risarcitorio, avrebbe poi disposto una autonoma condanna della società al pagamento delle spese processuali di primo grado. Sulla base del principio secondo cui la solidarietà avrebbe dovuto riferirsi automaticamente anche alle voci accessorie come le spese processuali.

La Corte di Cassazione ha ritenuto il secondo motivo fatto valere dalla società ricorrente infondato, poiché gli elementi su cui si sviluppa il tentativo di dimostrare l’inapplicabilità delle ipotesi di responsabilità ex artt. 1218 e 2049 cod. civ. non escluderebbero comunque la responsabilità concorrente della società, in quanto soggetto tenuto a espletare la sorveglianza sanitaria nei confronti dei propri dipendenti.

Nel caso di specie, la Cassazione sostiene, sulla base di una importante e consolidata giurisprudenza in merito, che trovi applicazione la regola secondo cui la società che si avvale dell’opera di terzi, nel caso di specie del medico, nell’adempimento di un’obbligazione risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. La responsabilità dell’ausiliario prescinde dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la società obbligata e l’ausiliario di cui ella si avvale per eseguire la prestazione, essendo irrilevante la natura del rapporto che intercorre tra i medesimi: assume rilievo il solo fatto che il debitore si sia avvalso dell’opera del terzo nell’attuazione della propria obbligazione.

Dunque, secondo gli Ermellini, la responsabilità conseguente all’esplicazione dell’attività del terzo ricade direttamente in capo al soggetto che se ne avvale, e non è rilevante distinguere tra comportamento colposo e comportamento doloso del soggetto agente, essendo sufficiente la mera occasionalità necessaria.

Il datore di lavoro, quindi, è direttamente responsabile quando l’evento dannoso sia stato causato dalla condotta colposa posta in essere dal medico, della cui attività la società ricorrente si sia comunque avvalsa per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale, poiché il datore di lavoro risponde di tutte le ingerenze dannose consentite al terzo e quindi di tutti gli eventuali danni che quest’ ultimo ha causato al soggetto danneggiato nell’adempiere la obbligazione gravante sul datore di lavoro.

Nel caso di specie, secondo i giudici della Suprema Corte, i due soggetti individuati – cioè, da un lato la società ricorrente e dall’ altro lato il medico preposto all’adempimento dell’obbligazione gravante sulla società – rispondono per titoli distinti, ma solo uno di essi è l’autore del danno (cioè il soggetto che materialmente ha eseguito la prestazione). Per tale ragione, proseguono gli Ermellini, in un caso come quello oggetto di esame, non si verifica l’ipotesi del concorso nella produzione del fatto dannoso e la conseguente ripartizione dell’onere risarcitorio secondo quanto previsto dall’art. 2055 c.c. fra i due soggetti. Invece, ferma la responsabilità solidale di entrambi i soggetti nei confronti del danneggiato il preponente che si è avvalso dell’opera altrui per eseguire la propria obbligazione e che quindi è responsabile per fatto altrui, può agire in regresso contro l’effettivo autore del fatto per ottenere il rimborso dell’intero importo che ha dovuto corrispondere al terzo danneggiato e non soltanto “pro quota” (ciò in quanto detto preponente non ha posto in essere alcun fatto  che ha avuto un apporto causale nella verificazione del danno).

Nel proseguire la propria analisi la Corte di Cassazione ha accolto la doglianza avanzata nel terzo motivo, limitatamente al profilo della duplicazione della condanna al pagamento delle spese in favore degli originari attori, in quanto la Corte d’Appello, dopo aver ritenuto responsabile la società ricorrente in solido con il medico, aveva disposto una autonoma condanna nei confronti della società al pagamento delle spese processuali a favore degli attori originari, in aggiunta a quelle già liquidate dal Tribunale di primo grado.

Perciò la Corte di Cassazione, in relazione al motivo accolto, ha cassato la decisione di seconde cure e ha condannato la società al pagamento in solido con il medico delle sole spese processuali già liquidate dal Tribunale.

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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