Come può essere raggiunta la prova dell’elemento soggettivo ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 648)

Il fatto

La Corte di Appello di Firenze confermava una pronuncia emessa dal Tribunale di Firenze con la quale veniva condannato l’imputato alle pene di legge in quanto ritenuto responsabile del delitto di ricettazione di un telefono cellulare.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi: a) violazione dell’art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen. quanto alla valutazione delle prove poiché il giudice di appello aveva fondato l’affermazione di responsabilità sulla mancata allegazione da parte dell’imputata di fatti a sua discolpa senza però che il silenzio serbato sulle modalità di ricezione del bene potesse qualificarsi prova diretta della colpevolezza potendo anche rispondere ad una strategia difensiva con conseguente violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e comunque sussistendo un ragionevole dubbio; b) violazione dell’art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen. per inosservanza della legge penale a seguito della mancanza di motivazione sui motivi di appello proposti con i quali era stata evidenziata la difformità tra le richieste formulate dalla difesa all’udienza del 10 luglio 2014 di conclusioni del giudizio di primo grado e quanto riportato in epigrafe, con conseguente lesione del diritto di difesa; c) violazione dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen. per motivazione incompleta in ordine ai motivi di appello proposti e pretermessi.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

 

II ricorso veniva reputato proposto per motivi manifestamente infondati ovvero genericamente esposti ed era, pertanto, dichiarato inammissibile.

Si osservava a tal proposito, quanto al primo motivo, come la responsabilità per il delitto di ricettazione risultasse essere stata affermata tenuto conto dell’accertata, e mai convincentemente giustificata, disponibilità del telefonino di provenienza furtiva in oggetto (all’evidenza acquisita fuori dai canali ordinari e legittimi di circolazione).

Orbene, ad avviso del Supremo Consesso, operando in tal guisa, la Corte di appello si era correttamente conformata – quanto alla qualificazione giuridica del fatto accertato – al consolidato orientamento della Cassazione (per tutte, Sez. 2, n. 29198 del 25/05/ 2010, Rv. 248265) per il quale, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede tenuto conto altresì del fatto che (Sez. 2, n. 45256 del 22/11/2007) ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza.

Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente come non sia richiesto all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime assolvendo, non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Cass. pen., Sez. un., n. 35535 del 12/07/2007).

Orbene, nel caso di specie, osservava il Supremo Consesso citando un suo precedente, l’acquisto di un telefono cellulare fuori dai canali ufficiali di commercializzazione, è certamente sintomatico del dolo (quanto meno eventuale: Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009) di ricettazione.

Ciò posto, quanto al secondo e terzo motivo, si notava che, secondo il costante orientamento della Cassazione, l’omessa indicazione, in sentenza, delle conclusioni delle parti – requisito formalmente richiesto dall’art. 546 cod. proc. pen. – non ne determina la nullità non essendo quest’ultima prevista espressamente da alcuna norma di legge, né lede in alcun modo i diritti della difesa, sicché non può farsi rientrare neanche tra le nullità di ordine generale (Sez. 1, n. 39447 del 04/10/2007) e, dunque, l’applicazione del sopra esposto principio comportava, per la Suprema Corte, il fatto di dovere dichiarare la manifesta non fondatezza del motivo proposto poiché la sola difformità tra le conclusioni assunte dalla difesa all’udienza di discussione della causa in primo grado e quelle riportate nella pronuncia del tribunale di Firenze non determinava alcuna nullità nell’assenza evidente di qualsiasi disposizione che tale precisa sanzione stabilisca ed in virtù del generale principio di tassatività della nullità.

Palesemente generico appariva infine il terzo motivo poiché, ad avviso degli Ermellini, non veniva in alcun modo indicata quale precisa ragione di doglianza la Corte di Appello avrebbe dovuto esaminare né tanto meno quale decisività ai fini della decisione il motivo pretermesso avrebbe avuto.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante in quanto in essa si spiega come può essere raggiunta la prova dell’elemento soggettivo ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione.

Difatti, in tale pronuncia, richiamandosi un costante orientamento ermeneutico, viene postulato che, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede.

E’ dunque sconsigliabile praticare una linea difensiva che sostenga la carenza dell’elemento soggettivo inerente questo illecito penale sostenendosi, come avvenuto nel caso di specie, che il silenzio serbato dall’imputato sulle modalità di ricezione del bene non può qualificarsi prova diretta della colpevolezza.

Al contrario, come evidenziato in tale medesima sentenza, è onere dell’imputato, al fine di escludere la sussistenza di siffatto elemento psicologico, quello di allegare elementi atti a fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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