Immobile non divisibile

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In punto di diritto in materia di divisione giudiziale, la non comoda divisibilità di un immobile, integrando un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura, può ritenersi legittimamente praticabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dall’irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dall’impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessivi, tenuto conto dell’usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso.

Il principio di diritto è stato riaffermato dalla Corte di Cassazione, Sezione II Civile, con l’ordinanza del 23 aprile 2018, n. 9979, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso, nel caso de quo, dalla Corte d’appello di Messina.

La vicenda

La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che GAIA nel 2000 conveniva davanti al Tribunale di Patti il fratello, LIVIO, chiedendo la divisione giudiziale dei beni caduti nella successione del padre delle parti, Tizio e, in subordine, che a mezzo di C.T.U., si procedesse alla formazione e valutazione della massa ereditaria, accertando la non comoda divisibilità ex art. 720 c.c. del fabbricato sito nel Comune di Utopia in Sicilia, e, quindi, dividendo il patrimonio mediante la formazione di due lotti di pertinenza rispettivamente dell’attrice e del convenuto. Di conseguenza, assegnare ad ella Gaia la quota di sua spettanza ricomprendendo in essa il sopra citato fabbricato ed ordinare al convenuto il rilascio dell’immobile, dallo stesso illegittimamente posseduto.

Con sentenza n. 12X/2007, il Tribunale di Patti dichiarava lo scioglimento della comunione ereditaria tra Gaia e Livio, avente a oggetto i beni dell’eredità di Tizio, loro genitore, assegnava e attribuiva, ex art. 720 c.c. a Gaia l’immobile sito nel Comune di Utopia, con i mobili che lo arredavano e con l’obbligo di versare a Livio un conguaglio pari a euro 14.333,34.

Tale somma sarebbe stata rivalutata dalla data della stima effettuata dal C.T.U. (13.2.2004) alla data del deposito della sentenza e su di essa dovevano essere corrisposti gli interessi legali dalla decisione al soddisfo, nonché la somma di euro 1.066,66, oltre interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo. La sentenza assegnava e attribuiva a Livio l’intera proprietà dei terreni siti nel Comune di Utopia.

Con sentenza n. 7XX/2013, la Corte d’Appello di Messina rigettava l’appello proposto da Livio perché infondato e, per l’effetto, condannava l’appellante al rilascio, in favore dell’appellata e al passaggio in giudicato della sentenza, dell’immobile alla medesima assegnato e sito nel Comune di Utopia in Sicilia. Per la cassazione della suddetta sentenza Livio ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 737 e ss. c.c. con riferimento alla violazione della normativa sulla collazione, nonché omessa e insufficiente motivazione su tale punto della controversia». Il ricorrente, sia in primo che in secondo grado, aveva eccepito che la divisione prospettata dal C.T.U. non fosse appropriata perché il C.T.U. non aveva operato la divisione sull’intero asse ereditario, ma solo la divisione degli immobili.

Afferma, al contrario, il ricorrente che gli atti allegati al proprio fascicolo dimostrano l’esistenza di beni mobili di cui si sarebbe impossessata la sorella Gaia e che nella comparsa conclusionale (di cui il Tribunale non ha voluto tenere conto) era stata richiesta la rideterminazione delle quote della divisione a seguito di opportuna collazione dei beni ereditari, mobili ed immobili. Invece il C.T.U. ha operato una ricognizione solo dei beni immobili per poi effettuare la divisione, nulla riferendo sui beni mobili.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 713 e 720 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su tale punto decisivo della controversia». Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno ritenuto che il fabbricato, sito in Piraino, Via S. Costantino 19 non sia divisibile.

La decisione

La Corte di cassazione, mediante la menzionata ordinanza n. 9979/2018, mediante la quale ha ritenuto i motivi non fondati ed ha rigettato il ricorso.

Sul primo punto controverso la Suprema Corte osserva che la doglianza non ha fondamento: il ricorrente si lamenta del fatto che il C.T.U. non avrebbe correttamente identificato la massa ereditaria, perché avrebbe omesso di cercare, individuare e valutare i beni mobili facenti parte di essa, con conseguente incidenza, oltre che sulla collazione, anche sulla quantificazione del conguaglio.

L’impugnata sentenza, invece, si fa doverosamente carico di siffatta contestazione, deducendo come «non potesse essere onere del C.T.U., oppure funzione e finalità della consulenza tecnica d’ufficio (che mezzo di prova non è), andare alla ricerca dei mobili e delle somme di cui l’allora attrice si sarebbe appropriata; oppure delle donazioni in vita da parte del genitore e di cui la figlia Gaia avrebbe beneficiate. L’an di queste circostanze andava provato dalla parte interessata.

La sentenza ha esattamente sottolineato (con giudizio di merito sottratto al sindacato di legittimità, in quanto congruamente motivato) che costituiva onere della parte indicare quali fossero i beni mobili facenti parte della massa ereditaria; e che detto onere non è stato assolto dall’odierno ricorrente.

Va comunque precisato che la Corte ha ripetutamente affermato che “la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze”.

Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Corte di Cassazione, n. 3130 del 2011; conf. Corte di Cassazione, n. 12990 del 2013).

Ed ancora, specificamente, ha sottolineato che, qualora in caso di C.T.U. disposta nell’ambito di un giudizio di divisione ereditaria, una delle parti deduca che il consulente avrebbe effettuato la consulenza stessa su beni estranei all’eredità, non è sufficiente che la stessa si limiti a contestare la coincidenza tra i beni ereditari e quelli periziati, ma deve anche provare tale circostanza (Corte di Cassazione, n. 23467 del 2004).

Quanto alla critica circa la non divisibilità del fabbricato, anch’essa infondata, la Corte concorda con la decisione di mantenere l’unitarietà del bene immobile, assegnato alla controricorrente. Infatti, la sentenza impugnata sottolinea che «la soluzione adottata risulta la più consona e conveniente alla luce della principale connotazione del fabbricato che pare essere la sua esigua dimensione, anche considerando la c.d. struttura precaria al piano primo.

Il modestissimo sviluppo in superficie delle due elevazioni, la distribuzione degli ambienti e la collocazione del manufatto in un contesto di confini che vede muri di altri fabbricati, comportano l’insufficiente utilizzo residenziale per la minor quota che vedrebbe neppure raggiungere una superficie di mq 40, nel contempo rendendo asfittica l’abitabilità della quota maggiore, anche per la necessità di svilupparsi su due elevazioni, così pregiudicando l’appena sufficiente abitabilità nelle condizioni di interezza».

La sentenza ha dunque puntualmente dato conto delle ragioni della affermata non divisibilità dell’immobile, desunta dalla sua esigua dimensione, dalla struttura precaria del primo piano, dal modestissimo sviluppo in superficie delle due elevazioni, dalla distribuzione degli ambienti e dalla collocazione del manufatto.

Costituiscono principi costantemente affermati, ai quali nel caso in esame la Corte del merito si è uniformata, quelli secondo cui, “in materia di divisione giudiziale, la non comoda divisibilità di un immobile, integrando un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura, può ritenersi legittimamente praticabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dall’irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dall’impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessivi, tenuto conto dell’usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso” (Corte di Cassazione, n. 16918 del 2015; Corte di Cassazione, n. 14577 del 2012; Corte di Cassazione, n. 12406 del 2007).

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Avv. Mancusi Amilcare

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