Se la questione è opinabile il professionista non è responsabile per la consulenza sbagliata

Redazione 25/10/11
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Se il quadro normativo di riferimento è confuso il professionista non è responsabile è della consulenza sbagliata. È quanto affermato dalla Cassazione civile che, con la sentenza del 20 ottobre 2011, n. 21700, ha confermato la decisione della Corte di Appello di Roma che aveva assolto dall’obbligo del risarcimento dei danni un consulente del lavoro il quale, sulla base di norme poco chiare, aveva mal consigliato un cliente notaio, inducendolo a versare contributi ridotti per alcuni suoi dipendenti.

In particolare, il consulente interpellato aveva consigliato al notaio di versare i contributi previdenziali relativi ad alcuni giovani assunti con contratto di formazione e lavoro in misura fissa, analogamente a quanto previsto per i giovani assunti con contratto di apprendistato. Tale inquadramento, tuttavia, era stato ritenuto non corretto dall’INPS sulla base di una interpretazione della L. 407/1990 (art. 8) che escludeva gli studi professionali dalla categoria delle «imprese» ammesse a tali agevolazioni.

Nel rigettare il ricorso, la Corte esclude la responsabilità del consulente ribadendo un principio di diritto civilistico, in base al quale il professionista non risponde dei danni al cliente se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, se non in caso di dolo o di colpa grave (art. 2236 c.c.). Nel caso sottoposto alla sua attenzione, la scelta operata dal consulente non poteva essere considerata né abnorme né azzardata, in quanto frutto di una legittima interpretazione del confuso quadro normativo, apparendo peraltro in linea con la nozione di «impresa» assunta nel diritto comunitario, che ricomprende in essa anche l’attività svolta dagli esercenti le professioni intellettuali.

Per gli Ermellini la decisione impugnata dal ricorrente si pone assolutamente in linea con la stessa giurisprudenza di legittimità che in più occasioni ha ribadito come, nell’ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzioni di questioni opinabili, debba ritenersi esclusa la responsabilità del professionista, salvo che risulti che abbia agito con dolo o colpa grave. Ponendo un punto sulla giurisprudenza controversa finora alternatasi sull’argomento, la Cassazione circoscrive pertanto la responsabilità professionale solo agli errori grossolani che il professionista può commettere, ponendolo al riparo da eventuali sbagliate interpretazioni di un quadro normativo che può essere considerato «confuso».

Nel caso di specie è stata esclusa la «colpa grave» del professionista, ossia l’errore inescusabile in ragione della sua grossolanità, o l’ignoranza incompatibile con la preparazione media esigibile dal professionista, o l’imprudenza, sintomatica di superficialità e disinteresse in relazione ai beni e agli interessi che il cliente ha affidato alla cura del professionista. Anzi, la scelta suggerita dal consulente rispondeva senza dubbio all’interesse pratico del cliente a non versare contributi aggiuntivi e difficilmente recuperabili in seguito.

Va dunque esclusa la responsabilità del consulente, anche per una presunta «compartecipazione» del cliente che ha eseguito personalmente l’attività esecutiva suggeritagli, dimostrando di condividere l’interpretazione delle norme controverse. Sotto altro profilo, nel caso in oggetto l’esenzione di responsabilità si giustifica in considerazione altresì del mancato raggiungimento della prova in ordine all’esistenza di un nesso eziologico tra il maggior esborso e l’azione (od omissione) del professionista interpellato. (Anna Costagliola)

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