Sanzioni penali per il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza?

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La quarta  sezione della Corte di Cassazione penale in una recente sentenza, la n.38914/2023 del 25 settembre ha confermato una condanna nei confronti di un Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, a titolo di “cooperazione nel delitto colposo” sottolineando l’importante funzione che l’RLS svolge in virtù dei dettami dell’art.50 del Testo Unico Sicurezza sul Lavoro / d.lgs. 81/2008.

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Indice

1. Cooperazione nel delitto colposo

Il lavoratore deceduto, assunto con mansioni e qualifica di impiegato tecnico-disegnatore, stava svolgendo funzioni di magazziniere senza aver ricevuto adeguata formazione e senza aver acquisito specifica formazione e addestramento, in particolare per l’uso del carrello elevatore e sulle modalità dello stoccaggio, come espressamente prescritto dall’art.71, comma 7, lett. a), del D.Lgs. n. 81 del 2008 e dall’accordo Stato Regioni in materia.
Durante le operazioni di stoccaggio di un carico di tubolari di acciaio, il lavoratore dopo aver trasportato il carico con un carrello elevatore, si arrampicava sullo scaffale per meglio sistemare il carico, e qui veniva investito e travolto dal carico di tubolari di acciaio che ne causavano la morte.
Venivano imputati e condannati il datore di lavoro e l’RLS, la sentenza emessa dal Tribunale di Trani veniva confermata dalla Corte di Appello di Bari e, poi dalla Corte di Cassazione.
La Corte, in relazione al caso di specie, preliminarmente, affermava che il comportamento sicuramente imprudente della vittima non vale ad elidere il nesso di causalità tra la condotta omissiva posta in essere dagli imputati e il sinistro mortale, atteso, in particolare, che il dipendente svolgeva attività diverse da quelle per le quali era stato assunto, proprio sotto la direttiva del responsabile dell’azienda, pur non avendo ricevuto alcuna specifica formazione in merito allo stoccaggio delle merci anche con l’utilizzo del carrello elevatore, e che proprio in ragione dell’omessa formazione del lavoratore lo stesso poneva in essere la scelta improvvida di tentare di sistemare a mano i pesanti tubolari che non era riuscito a collocare adeguatamente sullo scaffale con l’utilizzo del muletto”, dovendosi, altresì, considerare sicura concausa dell’evento mortale l’inadeguatezza della scaffalatura, inidonea ad evitare lo scivolamento dei tubolari.
Nel caso di specie, i tre gradi di giudizio confermavano la responsabilità dell’RLS, che all’interno della compagine sociale rivestiva anche il ruolo di consigliere di amministrazione, RLS che veniva ritenuto responsabile di aver cooperato, con la sua condotta omissiva, nel delitto di omicidio colposo ai danni di un lavoratore, la cui responsabilità veniva attribuita al datore di lavoro.
Tra l’altro è doveroso aggiungere che l’azienda aveva già avuto infortuni simili, e che in una circostanza era morto un socio dell’azienda e in un’altra era morto un altro lavoratore, dagli atti di indagine era emerso che alcuni lavoratori dell’azienda non erano neanche a conoscenza del ruolo ricoperto dall’RLS imputato, come riferito da un dipendente il quale si rendeva conto delle funzioni che avrebbe dovuto esercitare il predetto solo successivamente allo svolgimento di tutti i corsi di formazione organizzati per tutti i lavoratori dopo il sinistro mortale verificatosi in azienda e, che ancora, nel DVR era stato espressamente previsto il rischio di caduta dei tubi stoccati su scaffalature e, come fosse necessario assegnare l’impiego di carrello elevatore al solo personale esperto e adeguatamente formato.
È raccapricciante la situazione che dalle indagini eseguite sul cellulare della vittima emergeva che lo stesso continuamente fotografava situazioni di pericolo che avvenivano di giorno in giorno all’interno dell’azienda e, che, in data 25 marzo 2011 aveva fotografato lo stesso scaffale dove in data 1° luglio aveva trovato la morte.
Inoltre, le scaffalature erano state realizzate in modo non conforme ed erano prive di indicazioni di portata, come da verbale depositato agli atti di causa, tali circostanze deponevano a favore dell’assunto che quanto successo non poteva essere ricondotto a causa impreviste, imprevedibili e come tali inevitabili.
La responsabilità dell’RLS trovava la sua ragion d’essere nella circostanza a mente della quale, lo stesso “in qualità di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,” aveva posto in essere un comportamento omissivo caratterizzato da “colpa specifica correlata a violazioni di norme in materia di sicurezza sul lavoro, per aver concorso a cagionare l’infortunio mortale attraverso una serie di contegni omissivi, consistiti nell’aver omesso di:
i)               promuovere l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori;
ii)             sollecitare il datore di lavoro ad effettuare la formazione dei dipendenti (tra cui il lavoratore in questione) per l’uso dei mezzi di sollevamento;
iii)           informare i responsabili dell’azienda dei rischi connessi all’utilizzo, da parte del lavoratore, del carrello elevatore“
Pertanto, la questione su cui il Supremo Collegio andava a fondare ogni tipo di analisi decisoria appare, univocamente determinato, nel quesito relativo alla circostanza che vede la condotta dell’RLS idonea o meno a contribuire causalmente alla verificazione dell’evento ai sensi dell’art.113 c.p. e di conseguenza essere ritenuto responsabile o meno di concorso colposo con il datore di lavoro per l’evento occorso.
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FORMATO CARTACEO

Le Riforme della Giustizia penale

In questa stagione breve ma normativamente intensa sono state adottate diverse novità in materia di diritto e procedura penale. Non si è trattato di una riforma organica, come è stata, ad esempio, la riforma Cartabia, ma di un insieme di interventi che hanno interessato vari ambiti della disciplina penalistica, sia sostanziale, che procedurale.Obiettivo del presente volume è pertanto raccogliere e analizzare in un quadro unitario le diverse novità normative, dal decreto c.d. antirave alla legge per il contrasto della violenza sulle donne, passando in rassegna anche le prime valutazioni formulate dalla dottrina al fine di offrire una guida utile ai professionisti che si trovano ad affrontare le diverse problematiche in un quadro profondamente modificato.Completano la trattazione utili tabelle riepilogative per una più rapida consultazione delle novità.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB), giornalista pubblicista e cultore della materia in procedura penale. Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica Diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.

Antonio Di Tullio D’Elisiis | Maggioli Editore 2024

2. Gli artt. 2 e 50 D.lgs. 81 del 2008

Ad oggi, non risultano essere mai state emesse pronunce di condanna penale a carico di un RLS in virtù della funzione rivestita, altro caso, solo apparentemente simile, viene riportato nella Cass. pen. Sez. 4, 16 marzo 2015, n. 11135 laddove, è stato condannato per omicidio colposo un RLS titolare, altresì, della qualità di preposto, anch’esso destinatario, come il datore di lavoro, di obblighi in materia prevenzionistica ai sensi dell’art. 19 d.lgs. 81/08 “obblighi del preposto”.
Preliminarmente, va specificato che la Corte di Cassazione ha più volte precisato che le attribuzioni dell’RLS “sono analiticamente indicate nell’art. 50 comma 1 d.lgs. 81/08 da cui si evince che l’RLS è chiamato a svolgere, essenzialmente, una funzione di consultazione e di controllo circa le iniziative assunte dall’azienda nel settore della sicurezza.
Come, peraltro, confermato dalla stessa Corte, laddove riporta che,  “non a caso, con riguardo al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza la fonte normativa parla di “attribuzioni” mentre, in relazione alle condotte del datore di lavoro, si parla di “obblighi”.
Quanto sopra, si appalesa chiaro anche nel testo redatto dalla Suprema Curia, laddove, riporta che “viene in rilievo non se l’imputato/RLS, in tale sua veste, ricoprisse o meno una posizione di garanzia – intesa come titolarità di un dovere di protezione e di controllo finalizzati ad impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire (art. 40 cpv. cod. pen.) – ma se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente alla verificazione dell’evento ai sensi dell’art. 113 cod. pen.“
Entrando nel merito della funzione dell’RLS l’art. 2 del d.lgs. 81/08 definisce l’RLS quale “persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della -salute- e della sicurezza durante il lavoro”, mentre, l’art 50 del medesimo testo legislativo ne disciplina i compiti.
In siffatti compiti quelli che rilevano, per il caso di cui si tratta, vanno soprattutto sottolineati la lettera N) e la lettera O) rispettivamente :
–       Avverte i responsabili dell’azienda, o il proprio superiore diretto, dei rischi individuati nel corso della propria attività;
–       Può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.
Sulla base di quanto riportato la sentenza in esame osserva come “l’imputato non abbia in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per legge, consentendo che il lavoratore fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali, senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo l’adozione da parte del responsabile dell’azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori”.
In particolare, all’RLS  era stata contestata “la colpa specifica correlata a violazioni di norme in materia di sicurezza sul lavoro, per aver concorso a cagionare l’infortunio mortale attraverso una serie di contegni omissivi, consistiti nell’aver omesso di:
I)              promuovere l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori;
II)            sollecitare il datore di lavoro ad effettuare la formazione dei dipendenti (tra cui il lavoratore in questione) per l’uso dei mezzi di sollevamento;
III)          informare i responsabili dell’azienda dei rischi connessi all’utilizzo, da parte del lavoratore, del carrello elevatore“.
Il tutto, nonostante le sollecitazioni in tal senso formulate dal RSPP .
Appurato, ribadito e sottolineato che il D.lgs. 81/08 non prevede sanzioni per inadempienze dell’RLS derivanti da qualsivoglia omissione nel ruolo rivestito, come ad esempio, è previsto per il preposto, cerchiamo, adesso, di comprendere le ragioni giuridiche giustificatrici della condanna inflitta al medesimo soggetto, ragioni, che a mente del provvedimento in esame vengono fondate sull’art. 113 del Codice penale

3. Art. 113 c.p.: “Cooperazione colposa nel delitto doloso”

L’art. 113 del Codice penale prevede che “nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso”, quindi, per aversi cooperazione colposa è innanzitutto necessaria la coscienza e volontà di concorrere con altri alla condotta violatrice delle regole cautelari (nel nostro caso di sicurezza sul lavoro).
Il succitato normativo secondo l’insegnamento ermeneutico degli Ermellini romani renderebbe penalmente responsabile colui il quale “pur non rivestendo alcuna posizione di garanzia, contribuisca con la propria condotta cooperativa all’aggravamento del rischio, fornendo un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell’evento, ancorché la condotta del cooperante in sé considerata, appaia tale da non violare alcuna regola cautelare, essendo sufficiente l’adesione intenzionale all’altrui azione negligente, imprudente o inesperta ed assumendo così sulla sua azione il medesimo disvalore che, in origine, è caratteristico solo dell’altrui comportamento” (Cass. pen., Sez. IV, 18 ottobre 2013, n. 43083).
Sulla base di ciò, nel caso in esame, la Corte di Cassazione ha rilevato come il mancato esercizio da parte dell’RLS delle attribuzioni di cui all’art. 50 d.lgs. 81/08 abbia comunque contribuito, ai sensi dell’art. 113 c.p., a determinare la morte del lavoratore attraverso l’omessa condotta di “non aver sollecitato” il datore di lavoro a eliminare la situazione di rischio, in altre parole, agevolando il reato colposo del datore di lavoro.
Ciò, in perfetta coerenza con altre pronunce del medesimo tenore, in cui la Corte ha evidenziato che la cooperazione nel delitto colposo si verifica quando più persone realizzano “un’autonoma condotta, nella reciproca consapevolezza di contribuire, con l’azione od omissione altrui, alla produzione dell’evento non voluto”, ma prevedibile ( così Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 16978), fermo restando che la condotta cooperativa dell’agente deve, in ogni caso, fornire un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell’evento non voluto (così Cass. pen., sez. IV, 15 novembre 1986, Fadda, in Cass. pen., 1988, p. 1165; Cass. pen., sez. IV, 10 dicembre 2009, n. 6215, Pappadà e altri, in Riv. it. med. leg., 2011, 526, con nota di A. Simbari, Responsabilità professionale medica).
In altre parole, la giurisprudenza è concorde sul principio, secondo il quale, per ravvisare una cooperazione colposa ex art. 113 c.p., sia necessaria una colpa concorsuale particolarmente intensa.
Secondo tale impostazione, al fine di rilevare la colpa idonea ad integrare il concorso colposo sarebbero essenziali: la consapevolezza della convergenza della propria con l’altrui condotta, nonché la coscienza della violazione da parte di altri della regola cautelare.
Tuttavia, per ovviare al rischio di una eccessiva estensione dell’area del penalmente rilevante ai sensi dell’art. 113 c.p., più di recente la giurisprudenza ha sostenuto che sebbene la cooperazione colposa consista nella mera consapevolezza della convergenza della propria con l’altrui condotta, l’art. 113 c.p. è applicabile soltanto quando sia rinvenibile nell’ordinamento una “pretesa di interazione prudente” rinvenibile nel caso di situazioni di gestione collettiva del rischio. Occorrerebbe nello specifico, che il coinvolgimento integrato di più soggetti sia statuito dalla legge sulla base di esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o da una contingenza oggettiva. In questi casi si è affermato che l’ordinamento pretende che il cooperante tenga conto della condotta degli altri agenti e ponga rimedio ad eventuali carenze cautelari.” (Altalex Concorso di persone nei reati colposi a condotta vincolata estensore Deborah Quattrone).
Altro aspetto su cui la dottrina, ad oggi intervenuta sull’esame del provvedimento in questione, sembra farsi dimentica è quello relativo alla c.d. “pretesa d’interazione prudente”, principio divenuto oggi un punto di riferimento costante per la Suprema Curia in siffatte questioni.
Sul punto l’insegnamento di legittimità riporta costantemente, secondo cui, l’ulteriore criterio oltre quello soggettivo, per definire il fondamento e i limiti della colpa di cooperazione, è la c.d. pretesa d’interazione prudente, che si configura nelle situazioni di gestione collettiva del rischio.
In altre parole, occorre che “il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio, o almeno, sia contingenza oggettivamente definita senza incertezza e pienamente condivisa sul piano della consapevolezza” (In tal senso v. Cass. pen., sez. IV, 13 novembre 2014, n. 49735, Jimenez Vellejro, in Giur. it., 2015, p. 463, con nota di L. Risicato, Colpa e colpevolezza in un caso particolare di concorso in omicidio; Cass. pen., sez. IV, 18 settembre 2014, n. 14035, Grauso e altri, rv. 263208; cfr. anche Cass. pen., sez. IV, 19 marzo 2013, n. 26239, Gharby e altri, in Riv. pen., 3, 2014, p. 332; Cass. pen., sez. IV, 2 novembre 2011, n. 1428, Gallina, in Riv. pen., 10, 2013, p. 1064).
In tali situazioni il comune coinvolgimento nella gestione del rischio opera non solo sul piano dell’azione, ma anche sul regime cautelare, ponendo in capo a ciascun cooperante il dovere di attivarsi secondo le attribuzioni e i compiti previsti per legge (Cass. pen., sez. IV, 2 dicembre 2008, n. 1786, Tomaccio, in Cass. pen., 2010, p. 2219, con nota di C. Cantagalli, Il riconoscimento della funzione incriminatrice dell’art. 113 c.p. ed il concetto di «interazione prudente» quale fondamento e limite della colpa di cooperazione), divenendo così il contenuto della regola cautelare di riferimento per il soggetto che si trovi a operare nell’ambito di organizzazioni complesse.
A parere di chi scrive la condotta agevolatrice ben potrebbe ulteriormente essere supportata dalla accertata circostanza di non aver informato gli Organi di Vigilanza come prescritto dalla lettera O) dell’art. 50 citato.
La dottrina che dibatte sul punto, critica la condanna inflitta all’ RLS, traendo spunto dal ruolo puramente rappresentativo dell’RLS e, ponendo in risalto che, la sua eventuale inefficienza potrebbe essere “sanzionata” esclusivamente sul piano della sua legittimazione, mediante la revoca della fiducia da parte dei soggetti rappresentati, a favore della predetta teoria potremmo aggiungere che è altrettanto vero che in capo all’RLS non vi sia un obbligo di garanzia come riferito anche dalla Corte, obbligo che, invece, grava sul datore di lavoro e del preposto, ma è indubbio che principi a presidio del codice penale non possono e non devono essere ignorati.
Infatti, l’art 113 c.p., per giurisprudenza consolidata ritiene punibili anche condotte che semplicemente concorrono a incrementare il rischio della verificazione dell’evento, senza che queste condotte siano autonomamente punibili in quanto tipiche e senza che sia necessaria la violazione di una regola cautelare causalmente destinata a cagionare l’evento (c.d. causalità della colpa).

4. Conclusioni

Si ritiene concludere a chiarimento della presente disamina, con quanto riportato in sentenza dalla stessa Corte di legittimità in riferimento alla figura dell’RLS: “l’articolo 50 Decreto Legislativo n. 81 del 2008, che ne disciplina le funzioni e i compiti, attribuisce al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza un ruolo di primaria importanza quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ciò detto, è bene precisare che, nel caso di specie, viene in rilievo non se l’imputato, in tale sua veste, ricoprisse o meno una posizione di garanzia intesa come titolarità di un dovere di protezione e di controllo finalizzati ad impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire (articolo 40 cpv. c.p.) – ma se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente alla verificazione dell’evento ai sensi dell’articolo 113 c.p. E, sotto questo profilo, la sentenza impugnata ha illustrato adeguatamente i termini in cui si è realizzata la cooperazione colposa dello (OMISSIS) nel delitto di cui trattasi. Richiamati i compiti attribuiti dall’articolo 50 al Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza, ha osservato come l’imputato non abbia in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per legge, consentendo che il (OMISSIS) fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali, senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo l’adozione da parte del responsabile dell’azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori, nonostante le sollecitazioni in tal senso formulate dal RSPP”.
Pertanto, alla stregua di ciò non può non ribadirsi che, sebbene, il d.lgs. 81/08 non preveda sanzioni per le inottemperanze poste in essere dall’RLS nell’esercizio delle sue attribuzioni, questo non possa avere effetti di rilievo penalistici, nel caso in cui, tali omissioni possano favorire un evento di danno ai beni-interessi protetti dalla norma incriminatrice in tema di salute e sicurezza dei lavoratori.

Eugenio Salvatore

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