Nella sentenza 12/07/2016 n° 14188, i Giudici della Cassazione Civile (sez. I) si sono pronunciati sulla vexata quaestio della natura della responsabilità precontrattuale.
Com’è ben noto, s’intende per responsabilità precontrattuale quella lesione della libertà negoziale altrui che, cagionata nel corso delle trattative per la conclusione di un contratto, sia dovuta a una condotta dolosa o colposa, ovvero nella mancata osservanza del precetto della buona fede.
Una tale ipotesi di responsabilità, che vede negli art. 1337 c.c. e 1338 c.c. il suo fondamento normativo, pur collocandosi in una fase antecedente alla conclusione del contratto, coinvolge comunque soggetti che non è possibile ritenere estranei tra loro poiché sono dovuti per forza entrare in contatto nel corso delle trattative.
Le tre teorie sulla natura giuridica della responsabilità contrattuale
Proprio questa peculiarità è alla base della disputa sulla sua natura giuridica, che contrappone ben tre teorie.
La prima è quella della natura extracontrattuale, che parte dalla considerazione che, nella fase delle trattative, non è ancora sorto il vincolo contrattuale. Pertanto, non c’è ancora obbligo per i soggetti coinvolti a rispettare le obbligazioni contrattuali ma solo, indistintamente per tutti i consociati, il principio generale del neminem laedere, come stabilito dall’art. 2043 c.c.
La seconda teoria è detta della natura contrattuale, ossia quella che vede come determinante il legame che viene a instaurarsi tra quei soggetti entrarti in contatto nel corso delle trattative. Poiché, secondo tale linea di pensiero, i soggetti non possono considerarsi tra loro degli estranei già in tale fase e, conseguentemente, sono connessi da un rapporto equiparabile a quello contrattuale, nella sub specie del contatto sociale. Nelle obbligazioni che derivano dal contatto sociale, ciò che può essere definito “contrattuale” è solo il rapporto e non la fonte dello stesso. Per questo motivo, seppur non sia possibile applicare le regole sulla conclusione del contratto, quelle che disciplinano il contratto come “rapporto” – in particolar modo le regole sulla responsabilità – trovano ampia operatività.
Per quanto riguarda la teoria della natura autonoma, è stata accolta solo dalla dottrina. La tesi del tertium genus di responsabilità, infatti, è poco suggestiva visto che, non rispondendo in maniera esaustiva sulla disciplina applicabile all’ambito della responsabilità precontrattuale, si limita anzi a escluderne la genesi contrattuale o extracontrattuale.
Poiché dal riconoscimento della natura della responsabilità derivano importati conseguenze, principalmente con riferimento a prescrizione e onere della prova, l’accoglimento di una tesi rispetto a un’altra è tutt’altro che una questione meramente teorica.
L’orientamento tradizionale della Corte di Cassazione
Per lungo tempo, l’orientamento della Corte di Cassazione è stato ancorato alla tradizionale concezione della responsabilità precontrattuale come responsabilità extracontrattuale. Di conseguenza, la prova dell’esistenza e dell’ammontare del danno, così come quella del dolo o della colpa del danneggiante, erano a carico del danneggiato, con il termine quinquennale di prescrizione del diritto azionato (cfr. ex plurimis, 15040/2004; 16735/2011).
Ciononostante, i tempi siano maturi per discostarsi dall’orientamento classico, sostengono gli ermellini, visto che quest’ultimo “non ha consentito di dare il giusto rilievo, sul piano giuridico, alla peculiarità di talune situazioni non inquadrabili né nel torto né nel contratto, e – tuttavia – singolarmente assimilabili più alla seconda fattispecie, che non alla prima”.
Attraverso un excursus storico-giuridico, i giudici della Suprema Corte hanno sottolineato come, nel corso del ‘900, è venuta consolidandosi definitivamente la tesi di una forma di responsabilità che si situa “ai confini tra contratto e torto”, poiché legata a un “contatto sociale” tra le parti che, in quanto dà adito a un reciproco affidamento dei contraenti, è “qualificato” dall’obbligo di “buona fede” e dai correlati “obblighi d’informazione e di protezione”.
In tali circostanze, il rapporto obbligatorio si connota quindi non da obblighi di prestazione, come succede nelle obbligazioni che trovano la loro causa in un contratto, ma piuttosto dagli obblighi di protezione, egualmente riconducibili a una responsabilità diversa da quella aquiliana e prossima a quella contrattuale – sebbene manchi un atto negoziale.
Ampiamente recepite dalla giurisprudenza, come evidenziato dalla Corte, è a partire da queste considerazioni che consegue che “l’elemento qualificante di quella che può ormai denominarsi “culpa in contrahendo” solo di nome, non è più la colpa, bensì la violazione della buona fede che, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi di protezione reciproca tra le parti”.
Conseguentemente, la responsabilità per il danno cagionato da una parte all’altra nel corso delle trattative, avendo la sua derivazione nella violazione di obblighi specifici come la buona fede, la protezione e l’informazione, precedenti a quelli che deriveranno dal contratto – se e solo nel momento in cui verrà concluso – e non dal generico dovere del neminem laedere, non può che essere qualificata come responsabilità contrattuale, con ogni conseguenza in termine di termine prescrizionale e onere della prova
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