Quanto ci costa l’inadempimento del legislatore italiano? La condanna della Corte di giustizia dell’Unione europea per l’inesatta attuazione della c.d. direttiva rifiuti

Kabashi Emilio 31/08/15
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La Corte di giustizia dell’Unione europea (Corte), nel suo comunicato stampa del 16 luglio 2015, si pronunciata sulla lunga vicenda processuale che vede contrapposti la Commissione europea e la Repubblica italiana rea di aver applicato in maniera inesatta la direttiva 2006/12/CE, c.d. direttiva rifiuti.

I Paesi membri, attraverso il giusto recepimento della direttiva, avrebbero dovuto realizzare una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento in modo da poter garantire lo smaltimento dei rifiuti.

L’Italia in tutti questi anni non è riuscita a recepire correttamente la suddetta direttiva; in particolare a destare forti preoccupazioni, a livello nazionale ed europeo, è stato il caso della regione Campania. Il primo ricorso per inadempimento da parte della Commissione nei confronti dell’Italia fu nel 2007 e si trattava di una palese violazione degli obblighi imposti dalla direttiva. Vi erano tutti i presupposti per ritenere che in Campania non si fosse raggiunta l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti e soprattutto continuava a mancare un’adeguata rete di gestione dei rifiuti.

La Corte, con una sentenza del 4 marzo 2010 (C-297/08), riconobbe le colpe dell’Italia per non aver controllato la situazione in Campania e per non aver adottato tutte le misure necessarie ed indispensabili per assicurare il corretto smaltimento dei rifiuti. I timori espressi dalla Commissione e condivisi dalla Corte sono condivisibili perché in quella regione si temevano, e ancora oggi, un’emergenza sanitaria e i dei pregiudizi all’ambiente.

Tuttavia, la Commissione ha rilevato nel 2010 e nel 2011 una reiterazione da parte dell’Italia le cui azioni si erano rivelate incapaci di risolvere l’angosciante problema della raccolta dei rifiuti tossici in Campania; in estrema sintesi, l’Italia non aveva osservato né le prescrizioni della sentenza del 2010 né si era impegnata a ad attuare pienamente la c.d. direttiva rifiuti. Nel frattempo si assisteva a cumuli di rifiuti abbandonati a Napoli e in altre città della Campania e tutto grazie all’inerzia del legislatore che ancora una volta non interveniva con misure incisive. Basti pensare che secondo le stime della Commissione ci vorranno circa quindi anni per lo smaltimento di sei milioni di tonnellate di “ecoballe”.

Di fronte a questo ennesimo adempimento alla Commissione non restava altra scelta che proporre un nuovo ricorso per inadempimento contro l’Italia e chiedere alla Corte di constatare nuovamente il mancato rispetto della sentenza del 2010.

In data 16 luglio 2015 la Corte ha condiviso in toto le argomentazioni della Commissione in riferimento al problema relativo all’eliminazione delle “ecoballe” e all’insufficiente numero di impianti che non hanno la capacità per trattare i rifiuti urbani della regione Campania. Non solo. La Corte coglie l’occasione per esprimere tutta la sua preoccupazione per la carenza delle strutture a livello regionale e intravvede, con il passare del tempo, che questa situazione abbia delle ripercussioni anche a livello nazionale. In buona sostanza, vi è il rischio concreto che l’Italia non sia in grado di perseguire l’obiettivo dell’autosufficienza nazionale nello smaltimento dei rifiuti.

Giova anche ricordare che questa situazione deplorevole si protratta per più di cinque anni e per tale ragione la Corte decide di infliggere all’Italia una penalità giornaliera ed una somma forfettaria perché le sanzioni pecuniarie sono l’unico mezzo per garantire l’esecuzione integrale della prima sentenza.

Per quanto riguarda la penalità giornaliera, la Corte ha ritenuto congruo condannare l’Italia al pagamento di euro 120.000 per ciascun giorno di ritardo nell’attuazione della sentenza del 2010 e, in riferimento alla somma forfettaria, la condanna è stata di euro 20 milioni.

In conclusione, ad avviso di chi scrive, le sanzioni pecuniarie della Corte non possono assolutamente considerarsi sproporzionate; anzi i giudici di Lussemburgo hanno constatato che sono state riscontrate più di 20 cause portate dinanzi alla Corte in tema di inadempimento per lo smaltimento dei rifiuti. Si spera che il legislatore italiano sia in grado di adottare rapide e pronte soluzioni e si auspica il rispetto sia della prima che della seconda condanna.

La tutela dell’ambiente e la salvaguardia della salute dei cittadini europei sono due obiettivi principali per l’Unione europea e le continue infrazioni e reiterazioni da parte di uno Stato membro devono immediatamente cessare; per queste ragioni, le sanzioni pecuniarie sono l’unica misura dissuasiva a disposizione della Corte per garantire il pieno rispetto della direttiva 2006/12/CE.

Kabashi Emilio

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