Pubblico impiego, gli atti di inquadramento sono autoritativi e impugnabili entro termini perentori

Redazione 02/03/12
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Lilla Laperuta

Lo ha ribadito la quinta sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 1174 del 29 febbraio. In tale sede i giudici di legittimità hanno avuto modo di precisare che gli atti di inquadramento dei pubblici dipendenti hanno carattere provvedimentale sia quando implicano un apprezzamento delle mansioni svolte dall’interessato, sia quando si risolvono nel semplice confronto formale tra la precedente posizione e quella di nuova attribuzione, “trattandosi di atti autoritativi di inserimento del personale nell’organizzazione dei pubblici uffici, espressione del potere di supremazia speciale del datore di lavoro pubblico”.

Una volta riconfermata la natura di tali atti, ne consegue per il Collegio che essi devono essere tempestivamente impugnati, per gli effetti lesivi che da essi derivano sia sul piano giuridico che su quello economico, secondo lo schema tipico del giudizio impugnatorio. La posizione del dipendente, pertanto, non è quella di titolare di diritto soggettivo, ma di interesse legittimo che egli è legittimato a far valere sollevando tempestivamente, nel rispetto dei termini decadenziali, contro l’atto autoritativo che gli attribuisce una posizione di status e retributiva inferiore a quella che ritiene spettargli. E’ esclusa, pertanto, la possibilità di un autonomo giudizio di accertamento in funzione di disapplicazione dei provvedimenti dell’Amministrazione, atteso che l’azione di accertamento è esperibile a tutela di un diritto soggettivo.

In particolare, il termine decadenziale va individuato nel momento della piena percezione dei suoi contenuti essenziali (autorità emanante, contenuto del dispositivo ed effetto lesivo), senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione, la quale può eventualmente rilevare ai fini della proposizione di motivi aggiunti.

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