Professionisti ed Irap, i chiarimenti della Cassazione

Redazione 13/10/14
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Lilla Laperuta

Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, non sono soggetti all’imposta i proventi percepiti come compenso per le attività dei professionisti svolte all’interno di una struttura da altri organizzata. Senza discostarsi da questo principio la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21150 dell’8 ottobre 2014 si è espressa sull’applicazione dell’Irap qualora l’attività del professionista sia esercitata presso studio di terzi, mentre, con la sentenza n. 20907 del 3 ottobre 2014 si è pronunciata in riferimento  al caso in cui il professionista nell’esercizio della sua attività si avvalga di praticanti retribuiti .

In particolare, con  la prima sentenza  è stato esclusa l’applicabilità dell’Irap  nel caso di attività non autonomamente organizzate in quanto il presupposto impositivo ricorre qualora il contribuente:

1) sia, sotto qualsiasi forma il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
2) impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione.

Pertanto, ai fini della soggezione ad Irap dei proventi del professionista, non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia autonoma, cioè faccia capo al lavoratore stesso non solo ai fini operativi, bensì anche sotto i profili organizzativi.

 Invece, con la sentenza n. 20907/2014, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione e legittimo il prelievo dell’Irap sulla base di spese per prestazioni di lavoro dipendente per collaboratori e di compensi comunque elargiti a terzi, ritenuti tali da rappresentare un quid pluris rispetto all’attività professionale.

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