Prelazione agraria: la “denuntiatio” equivale ad una proposta irrevocabile

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La sentenza in commento ribadisce un importante principio valevole sia in materia di prelazione urbana che di prelazione agraria: la denuntiatio, in ambedue i casi, equivale ad una proposta irrevocabile.

Innanzitutto, si rammenta che con il diritto di prelazione il prelazionante (vale a dire colui che concede la prelazione) si obbliga verso il prelazionario a preferirlo, a parità di condizioni, come controparte in un determinato contratto, qualora il concedente decida di concluderlo.[1] La denuntiatio è la dichiarazione con cui il concedente (scilicet: prelazionante) comunica al prelazionario la propria volontà di concludere il negozio contrattuale[2]. A carico del concedente, infatti, grava un obbligo positivo di “denunzia”, inteso come dovere di comunicare al prelazionario la proposta che intenda rivolgere a terzi o, eventualmente, quella ricevuta da terzi[3].

Nel caso di specie, era stato notificato un preliminare di compravendita al prelazionario, il quale aveva esercitato il proprio diritto ma, prima della scadenza dei trenta giorni previsti, la prelazionante aveva risolto il preliminare non essendo più intenzionata ad alienare il fondo.

Orbene, il titolare del diritto di prelazione ha agito in giudizio per veder affermato il proprio diritto, considerando nulla la revoca, in quanto intervenuta durante la pendenza della proposta. In primo ed in secondo grado la domanda attorea è stata rigettata, mentre viene accolta in Cassazione.

Secondo la Suprema Corte, infatti, i giudici di merito avevano ritenuto erroneamente applicabile alla denuntiatio l’ordinaria disciplina in tema di proposta ed accettazione del contratto. Essi avevano considerato pacifiche la validità della revoca della proposta – stante la natura non recettizia dell’atto – e la sua efficacia sinché il contratto non viene concluso (art. 1328 c.c.)[4]. Per contro, l’attore aveva sostenuto che la denuntiatio fosse irrevocabile in pendenza del termine per l’esercizio della prelazione ai sensi dell’art. 1329 c.c. Tale assunto viene accolto dal giudice di legittimità che richiama la disciplina contenuta nell’art. 8 della legge 26 maggio 1965 n. 590 (in materia di prelazione agraria) e quella nell’art. 38 della legge 27 luglio 1978 n. 392 (in tema di prelazione urbana)[5], in entrambi i casi la Suprema Corte precisa che «la comunicazione del proprietario non è revocabile, in pendenza del termine entro il quale il conduttore può manifestare la volontà di rendersi acquirente»[6]. La ratio dell’irrevocabilità della denuntiatio va ravvisata nel fatto che il legislatore lasci al prelazionario un torno di tempo determinato per l’esercizio del suo diritto potestativo, pertanto, durante la pendenza di esso, il prelazionante rimane vincolato alla propria dichiarazione.

In conclusione, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso[7], cassa con rinvio ed elabora il seguente principio di diritto: «il diritto di prelazione agraria si esercita secondo lo schema normativo di cui agli artt. 1326 e 1329 c.c. e la denuntiatio non è revocabile durante il termine di trenta giorni previsto per l’accettazione della proposta».

Per completezza espositiva si ricorda che la prelazione agraria è concessa sia a favore dell’affittuario coltivatore diretto sia al coltivatore proprietario di fondi finitimi. Essa riguarda l’affitto di fondi rustici; questa tipologia di affitto rientra nel più ampio genus dei contratti agrari ed è una species del contratto di affitto[8] disciplinato dal codice civile; in particolare, l’affitto di fondo rustico è tale solo allorché il fondo sia concesso per l’esercizio dell’attività agricola. L’agricoltore (non proprietario) versa un corrispettivo per l’affitto del fondo al fine di coltivarlo e di ricavarne i frutti[9]. Il legislatore ha inteso così favorire l’affitto al coltivatore diretto[10] in virtù dell’art. 47 Cost. che tutela l’accesso alla proprietà della terra da parte di chi la coltiva direttamente[11].

Avv. Marcella Ferrari –  Avvocato del Foro di Savona

 


[1] Definizione tratta da V. ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica – Zatti, Milano, Giuffrè, 2001, 165 ss.

[2] Taluni considerano il patto di prelazione affine al preliminare unilaterale; nondimeno così non è. Infatti, obbligarsi a preferire un contraente non equivale ad obbligarsi a contrarre. Per un approfondimento vedasi C. M. BIANCA, Il contratto, 3, Milano, Giuffrè, 2000, 266 ss.

[3] Così C. M. BIANCA, Il contratto, cit.

[4] Per contro, la revoca dell’accettazione rappresenta un atto recettizio che per produrre effetti deve giungere a conoscenza del proponente prima dell’accettazione (art. 1328 c. 2 c.c.)

[5] La prelazione agraria ed urbana rappresentano due forme di prelazione legale. La prelazione, infatti, può essere volontaria (se è frutto di un accordo tra le parti) oppure legale (allorché sia stabilita ex lege); esempi tipici di quest’ultima sono: la prelazione dei collaboratori dell’impresa familiare (art. 230 bis c.c.); quella dei coeredi sulle quote degli altri coeredi (art. 732 c.c.); quella dell’affittuario coltivatore diretto sul fondo (art. 8 legge 26 maggio 1965 n. 590) e quella del conduttore sull’immobile urbano destinato ad uso non abitativo (art. 38 legge 27 luglio 1978 n. 392). In tutte le citate ipotesi, il prelazionario gode di una tutela reale, pertanto vanta un diritto di riscatto (retratto nel caso dei coeredi) che gli consente di recuperare eventualmente il bene contro il terzo acquirente. Per contro, nei casi di prelazione legale, la tutela è meramente obbligatoria.

 

[6] In tal senso vedasi Cass. S.U. 5359/1989

[7] La Corte accoglie solo un motivo di ricorso, vale a dire quello afferente alla temporanea irrevocabilità della “denuntiatio” per i trenta giorni previsti dalla legge; per contro, rigetta il motivo di ricorso secondo cui il diritto di prelazione era stato validamente esercitato, giacché l’accettazione era avvenuta in data anteriore alla revoca; i giudici di legittimità respingono tale ricostruzione, in quanto l’accettazione produce effetto solo nel momento in cui giunge a conoscenza del proponente (Cass. 1331/1997), trattandosi di un atto unilaterale recettizio.

[8] Si ricorda che il contratto di affitto diverge dalla locazione in quanto ha ad oggetto una cosa produttiva (art. 1615 c.c. ss.)

[9] Per un approfondimento vedasi A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè, 2014, 803 ss.

[10] Ai sensi dell’art. 6 della legge 3 maggio 1982 n. 203 il coltivatore diretto è colui il quale coltiva il fondo con il lavoro proprio o della propria famiglia, purché tale forza lavorativa rappresenti almeno 1/3 di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo.

[11] A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit.

Sentenza collegata

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