Per la configurazione del danno ambientale è richiesto un incremento dell’inquinamento rispetto alle condizioni originarie

Redazione 03/11/11
Scarica PDF Stampa

A deciderlo è stata la Corte di cassazione con la sentenza 36818/2011.

I giudici di legittimità sono stati interpellati dal socio e responsabile legale di una società autorizzata all’esercizio della discarica di rifiuti speciali non pericolosi, giudicato colpevole, in secondo grado, del reato di cui all’art. 51 del D.Lgs. 22/1997 (attività di gestione rifiuti non autorizzata) per aver violato le prescrizioni impartite nel provvedimento autorizzatorio, accettando che nel sito venissero recapitati rifiuti speciali tossici e nocivi, e per aver omesso di delimitare la zona adibita allo stoccaggio dei rifiuti contenenti amianto.

Imputato e responsabile civile erano stati inoltre condannati al pagamento di una provvisionale di 200.000 euro per risarcire la Provincia delle spese che aveva affrontato e che dovrà affrontare per la bonifica della discarica.

Fra gli altri motivi di impugnazione, la difesa faceva perno sull’inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 1, co. 3 del D.M. n. 141/1998 (Regolamento recante norme per lo smaltimento in discarica dei rifiuti e per la catalogazione dei rifiuti pericolosi smaltiti in discarica) per avere la Corte d’appello ritenuto che non fosse stato sufficiente effettuare un controllo di tipo solo visivo del rifiuto effettuato al momento del conferimento in discarica.

Ad avviso della difesa la previsione normativa è da intendersi nel senso appunto che debba essere esercitato un controllo unicamente di tipo visivo sul rifiuto, che era stato eseguito dai dipendenti della società al momento di accettare il rifiuto in discarica.

Ma, soprattutto, la difesa riteneva l’insussistenza del danno ambientale, perché la discarica è di per sé un luogo inquinato e perché non risultavano specifici danni a falde acquifere o ad altri fattori ambientali.

La Cassazione ha respinto i citati motivi di ricorso precisando che la norma di cui all’art. 1, co. 3 del D.M. 141/1998 («il gestore della discarica è tenuto ad accertare che i rifiuti siano accompagnati dal formulario di identificazione di cui al comma 1, nonché a verificare: a) che in base alle caratteristiche indicate nel formulario di identificazione il rifiuto può essere conferito in discarica; b) che le caratteristiche dei rifiuti conferiti corrispondono a quelle riportate nel formulario di identificazione») debba interpretarsi nel senso che non è sufficiente che il gestore della discarica svolga un mero controllo visivo di corrispondenza fra il rifiuto effettivamente conferito e la tipologia risultante dal formulario.

Quanto alla configurazione del danno ambientale, premesso che l’accertata presenza in discarica di rifiuti di tipologia diversa e maggiormente inquinante rispetto a quella per la quale la discarica era stata autorizzata è di per sé sufficiente, a prescindere dal fatto che la discarica sia comunque un luogo inquinato, deve applicarsi alla fattispecie l’art. 300, co. 2, del D.Lgs. 152/2006, ai sensi del quale il danno ambientale consiste appunto nel deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato «al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microorganismi nocivi per l’ambiente».

Ciò che rileva ai fini della configurabilità oggettiva del danno ambientale è, dunque, non il livello di inquinamento in senso assoluto, ma l’incremento dell’inquinamento rispetto alle condizioni originarie; incremento che nel caso in esame si è certamente verificato, per la presenza in discarica di rifiuti maggiormente inquinanti rispetto a quelli che la stessa, in base alle sue caratteristiche costruttive e operative, era in grado di accogliere. (Lucia Nacciarone)

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento