Non sono deducibili in Cassazione questioni non prospettate in appello

    Indice

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

1. Il fatto

La Corte di Appello di Roma riformava una sentenza emessa dal Tribunale di Velletri, riducendo la pena inflitta all’imputato per il reato di reato di rapina impropria aggravata.

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione 

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che deduceva i seguenti motivi: 1) motivazione illogica e carente in ordine alla configurazione della fattispecie di cui all’art. 628, co. 2 e 7 c.p.; 2) violazione di legge e carenza di motivazione in relazione all’art. 114, c.p.; 3) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 62 bis c.p.; 4) carenza di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio 


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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione 

Il ricorso era dichiarato inammissibile (reputato) manifestamente infondato e aspecifico risolvendosi, per la Corte di legittimità, in una eminentemente generica e apodittica asserzione di non configurabilità del reato, di sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 114 del cod. pen., di negazione delle circostanze attenuanti generiche e di eccessività della pena, del tutto priva di rilievi critici alla sentenza impugnata, le cui argomentazioni, (stimate)adeguate, logiche e prive di contraddizioni-, a suo avviso, non erano state prese in alcuna considerazione.

In particolare, era osservato, a sostegno di tale giudizio, come la mancanza di specificità del motivo debba essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016; Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014; Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492).

Oltre a ciò, era altresì fatto presente come la questione relativa alla configurabilità dell’art. 114, cod. pen. non fosse stata devoluta in appello, con conseguente interruzione della catena devolutiva, stante il fatto che, «nel giudizio di legittimità, il ricorso proposto per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è inammissibile, poiché la sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato (Massime Conformi n. 4712 del 1982, Rv. 153578; n. 2654 del 1983 Rv. 163291)» (Sez. 3, Sentenza n. 2343 del 28/09/2018).

4. Conclusioni 

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi postulato, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, nel giudizio di legittimità, il ricorso proposto per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è inammissibile poiché la sentenza di primo grado, su tali punti, acquista efficacia di giudicato.

Pertanto, fermo restando quanto statuito dall’art. 609, co. 2, cod. proc. pen. (“La corte decide altresì le questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo e quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello”), è sconsigliabile prospettare nel ricorso per Cassazione delle questioni che non sono state devolute in sede appello, ben potendo tali doglianze essere dichiarate inammissibili (anche) alla stregua di tale approdo ermeneutico.

Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere positivo.

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