Non può essere differita l’esecuzione della pena per infermità fisica o disposta l’applicazione della detenzione domiciliare se la situazione patologica in cui versa il detenuto sia congruamente fronteggiabile in ambiente carcerario.

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Nota a Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 30 giugno 2015 (dep. 8 settembre 2015), n. 36322, Pres. S. Chieffi, Giud. estens. M. Cassano.

 

Nella sentenza n. 36322 emessa dalla prima sezione della Corte di Cassazione in data 30 giugno 2015, è stato affrontato il delicato tema inerente quando e come lo stato di salute di un detenuto è incompatibile con il regime carcerario[1].

Nella fattispecie in esame, la difesa censurava l’ordinanza impugnata «lamentando inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà della motivazione in relazione alle ragioni poste a base del mancato accoglimento dell’istanza proposta, tenuto conto delle patologie da cui è affetto il detenuto, tali da integrare la nozione di “condizioni di salute gravi” prevista dalla legge e non adeguatamente accertate mediante una consulenza medico- legale, nonchè delle cure necessarie, non praticabili in costanza di regime carcerario con rischi obiettivi di peggioramento e di una prognosi infausta quoad vitam».

Ciò posto, il Supremo Consesso ha ritenuto legittimo il provvedimento emesso dal Tribunale di sorveglianza con il quale, nel rigettare « l’istanza avanzata da P.A., volta ad ottenere la concessione della detenzione domiciliare per motivi di salute» rimarcava da un lato, «che le patologie da cui il condannato risulta affetto non erano tali da integrare le condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i presidi sanitari, così come previsto dalla L. n. 354 del 1975, art. 47-ter, comma 1, lett. c), e successive modifiche», dall’altro, «che le patologie attestate dalla documentazione medica acquisita (omissis) non evidenziava una prognosi infausta quoad vitam, non richiedevano la necessità di trattamenti non eseguibili L. n. 354 del 1975, ex art. 11 e successive modifiche nè rischiavano un aggravamento in conseguenza del protrarsi dello stato detentivo».

Le ragioni, che hanno indotto la Corte a pervenire a tale esito decisorio, sono così sintetizzabili: una volta rilevato che lo «stato di salute incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica o l’applicazione della detenzione domiciliare non è limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita della persona detentiva, dovendosi piuttosto avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un’esistenza al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria»  giacchè anche «la mancanza di cure mediche appropriate e, più in generale, la detenzione in condizioni inadeguate in rapporto alla gravità di una malattia che potrebbe avere altrove assistenza idonea può, pertanto, in linea di principio, costituire un trattamento contrario al senso di umanità (Sez. 1, n. 41986 del 4 ottobre 2005; Sez. 1, n. 27313 del 24 giugno 2008; Sez. 1, n. 22373 dell’8 maggio 2009)», il Supremo Consesso è giunto alla conclusione alla stregua del quale  la «valutazione sulla compatibilità tra il regime detentivo carcerario e le condizioni di salute del detenuto ovvero sulla possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione costituisca un trattamento inumano o degradante va effettuata tenendo conto, comparativamente, delle complessive condizioni di salute della persona e delle cure praticabili in ambiente carcerario o presso i presidi sanitari territoriali (L. n. 354 del 1975, art. 47-ter, comma 1, lett. c) e art. 11 e successive modifiche) ed implica un giudizio non solo di astratta idoneità dei suddetti presidi posti a disposizione del detenuto, ma anche di concreta adeguatezza delle cure erogabili presso gli stessi» e quindi, il «giudice di merito è investito del potere-dovere di valutare nella sua complessità il caso concreto sottoposto al suo esame e di stabilire se ricorrano le condizioni stabilite dalla legge per la concessione della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute, tenuto conto delle molteplici finalità della pena».

La Cassazione, alla luce di tali considerazioni giuridiche, ha ritenuto pertanto corretto il provvedimento sottoposto al suo vaglio di legittimità atteso che il giudice di merito, «con motivazione immune da vizi logici e giuridici e dopo il compiuto esame della documentazione medica acquisita e degli esami specialistici sin qui effettuati, è pervenuto ad un giudizio di compatibilità dello stato di restrizione in carcere con lo stato morboso di omissis, e ha evidenziato l’effettiva adeguatezza delle terapie concretamente praticabili nei suoi confronti anche con l’ausilio dei presidi sanitari territoriali, sì da scongiurare il rischio di un peggioramento delle condizioni di salute capace di determinare una situazione esistenziale al di sotto di una soglia di dignità, o di una condizione carceraria contraria al senso di umanità».

Orbene, ad avviso di chi scrive, tale approdo ermeneutico è condivisibile in punto di diritto per le seguenti ragioni.

Innanzitutto, corre l’obbligo di osservare come sia rinvenibile una «consolidata la giurisprudenza di legittimità secondo cui anche a fronte di patologia sicuramente grave (…) non si imponga nè rinvio obbligato per ragioni di salute, nè detenzione domiciliare, anche in casa di cura, ove la situazione patologica in atto sia congruamente fronteggiabile in ambiente carcerario e ciò non contrasti con il basilare senso di umanità e consenta il normale regime trattamentale»[2].

Difatti, una volta rilevato che, ai «fini della concessione del differimento obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 146 c.p., comma 1, n. 3, art. 147 c.p., n. 2, e L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 ter, comma 1, lett. e) e comma 1 ter, occorre avere riguardo a tre principi costituzionali: il principio di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e, infine, quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo»[3], gli ermellini sono giunti alla susseguente conclusione: «a) le pene legittimamente inflitte devono essere eseguite nei confronti di coloro che le hanno riportate; b) l’esecuzione della pena non è preclusa da eventuali stati morbosi del condannato, suscettibili di un generico miglioramento per effetto del ritorno in libertà; c) uno stato morboso del condannato in tanto legittima il rinvio dell’esecuzione, in quanto la prognosi sia infausta quoad vitam ovvero il soggetto possa giovarsi in libertà di cure e trattamenti indispensabili non praticabili in stato di detenzione, neanche mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura, ovvero ancora, a cagione della gravità delle condizioni, l’espiazione della pena si riveli in contrasto con il senso di umanità»[4].

La Cassazione ha dunque già ritenuto, prima che venisse emessa la decisione in esame, come il rinvio dell’esecuzione della pena per motivi di salute potesse avvenire nella misura in cui la malattia, in cui versi il condannato, fosse stata di gravità tale «da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere cure e trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11 Ord. Pen.»[5].

A tal riguardo, è stato altresì rilevato come sia obbligo del giudice «valutare se le condizioni di salute del condannato siano o no compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione»[6] stabilendo in particolar modo se le condizioni detentive siano adeguate «in rapporto alla gravità di una malattia che potrebbe avere altrove assistenza idonea»[7].

Inoltre, è stato dedotto, sempre in sede di legittimità, che «il differimento della esecuzione della pena ovvero la detenzione domiciliare per motivi di salute concernono situazioni in cui risulti che la permanenza nella struttura carceraria – per la inadeguatezza delle terapie praticate, l’inidoneità del centro clinico penitenziario ovvero per l’impossibilità o l’insufficienza, avuto riguardo anche al solo criterio della necessaria tempestività, del ricorso alle strutture esterne di cui all’art. 11 O.P. – sia tale da esporre il detenuto a pericolo di vita o comunque a condizioni inumane, oggettivamente inaccettabili»[8] dato che, in «aderenza ai dettami degli artt. 32 e 27 Cost., comma 3, e agli arresti della Corte di Strasburgo in tema di interpretazione dell’art. 3 della Convenzione Edu (tra molte: Jalloh c. Germania ric. n. 54810/00; Coppola c. Italia, n. 50550/06), la valutazione in punto di incompatibilità tra regime detentivo carcerario e condizioni di salute del recluso, ovvero di verificazione della possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione di persona gravemente debilitata e/o ammalata costituisca un trattamento inumano o degradante, va effettuata tenendo comparativamente conto delle condizioni complessive di salute e di detenzione, e implica un giudizio non soltanto di astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici che sono posti a disposizione del detenuto, ma altresì di concreta adeguatezza delle possibilità di cura e assistenza nella situazione specifica assicurategli»[9].

E infatti, per un verso, la Corte costituzionale ha evidenziato da tempo come l’espiazione della pena offenderebbe il senso di umanità se la sanzione detentiva non fosse sospesa o differita con riguardo a chi versa nelle condizioni «di grave infermità fisica non suscettibile di guarigione mediante le cure o l’assistenza medica disponibili nel luogo di detenzione»[10] visto che si verrebbe in tal modo a determinare «una situazione di vera e propria incompatibilità tra regime carcerario, comunque disciplinato, e condizioni soggettive del condannato»[11], per altro verso, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha fatto presente che, per appurare se le condizioni carcerarie siano idonee a preservare la salute del detenuto, si deve tener conto, in modo particolare, dei seguenti fattori: « a) le condizioni del detenuto, b) la qualità delle cure somministrate e c) l’appropriatezza del mantenimento della misura detentiva alla luce dello stato di salute del ricorrente (Farbtuhs c. Lettonia, n. 4672/02, § 53, 2 dicembre 2004, e Sakkopoulos citata supra, § 39)»[12].

Ebbene, pure alla luce di questi approdi interpretativi, non può che ribadirsi quanto sostenuto in precedenza.

Difatti, avendo i giudici di legittimità ritenuto legittima l’ordinanza impugnata essendo state riscontrate, ad avviso del giudice di merito, adeguate ed effettive terapie praticate nei confronti del ricorrente, è stata in tal modo verificata la compatibilità dello stato di salute del ricorrente con il regime carcerario in quanto è stato accertato, quanto meno in punto di legittimità, il rispetto delle condizioni enunciate, sia dalla nostra giurisprudenza domestica che quella della CEDU.

Invero, assodare la sussistenza di cure mediche adeguate somministrabili al condannato seppur detenuto, ad avviso di chi scrive, altro non vuol dire che: a) mettere il ristretto in condizione di guarire mediante le cure o l’assistenza medica disponibili nel luogo di detenzione; b) preservare il mantenimento della misura detentiva in relazione al suo stato di salute.

 


[1]Sull’argomento, vedasi: A. CENTONZE, L’esecuzione della pena detentiva e la ricostruzione sistematica della nozione di gravità delle condizione di salute del detenuto, in www.rassegnapenitenziaria.it; S. F. VITELLO, La tutela della salute in ambito penitenziario, in Cass. pen., 1996, n. 1373, pp. 2367 e ss.; P. COMUCCI, Problemi applicativi della detenzione domiciliare, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 1, pp. 203 e ss.; C. CRESTANI – D. BORDIGNON, Incompatibilità tra condizioni di salute e stato di detenzione. Aspetti giuridici e medico-legali, in Riv. it. med. leg., 1986, 8, pp. 406 e ss.; G. PACCHI, La tutela del diritto alla salute nell’esecuzione della pena detentiva, in Cass. pen., 1989, n. 29, pp. 812 e ss.

[2]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 24 giugno 2008 (dep. 4 luglio 2008), n. 27313, in CED Cass. pen., 2008, Cass. pen., 2009, 6, 2616.

[3]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 8 maggio 2012 (dep. 22 giugno 2012), n. 25072, in Diritto e Giustizia online, 2012, 22 giugno.

[4]Ibidem.

[5]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 1 ottobre 2014 (dep. 1 ottobre 2015), n. 39788, in Annali della Facolta’ di Giurisprudenza di Genova 2015, 2 ottobre con nota di C. BOSSI, Incompatibile ma non nullo…, in Diritto & Giustizia, fasc.35, 2015, pag. 30. In senso conforme: Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 9 luglio 2014 (dep. 29 gennaio 2015), n. 4284, in Diritto & Giustizia 2015, 30 gennaio con nota di D. GALASSO, Occorre valutare le condizioni di salute del condannato, in Diritto & Giustizia, fasc.4, 2015, pag. 241.

[6]Ibidem.

[7]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 17 maggio 2013 (dep. 3 giugno 2013), n. 23930, in Diritto e Giustizia online 2013, 4 giugno, con nota di A. DE FRANCESCO, Carcere incompatibile con ogni stato morboso o fisico che determini una situazione di esistenza al di sotto della soglia di dignità umana, in Diritto e Giustizia online, fasc.0, 2013, pag. 638.

[8]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 5 luglio 2011 (dep. 1 agosto 2011), n. 30495, in CED Cass. pen., 2011.

[9]Ibidem.

[10]Corte cost., sentenza ud. 25 luglio 1979 (dep. 6 agosto 1979), n. 114, in www.giurcost.org.

[11]Corte cost., sentenza ud. 16 maggio 1996 (dep. 24 maggio 1996), n. 165, in www.giurcost.org.

[12]Corte EDU, sez. II, ric. n. 50550/06, 10 giugno 2008, Scoppola c. Italia, § 43, in http://hudoc.echr.coe.int.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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