Nocività del fumo: la consapevolezza esclude il diritto al risarcimento del danno

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La salute è un diritto definito “fondamentale”, tutelato dall’art. 32 della Costituzione, quale diritto del singolo ed interesse dell’intera collettività.
La tematica della tutela della salute si è posta con notevole impatto con riferimento ai danni provocati dal tabagismo, che l’O.M.S. ha individuato come seconda causa di morte al mondo, nonché prima causa di morte evitabile.
Infatti, la pratica del fumo rappresenta un problema particolarmente rilevante per la sanità pubblica mondiale, essendo uno dei principali fattori di rischio nello sviluppo di patologie cardiovascolari, neoplastiche e respiratorie.
Il nostro ordinamento, pur non vietando tale pratica, è intervenuto più volte predisponendo strumenti opportuni, come, ad esempio, il divieto di fumare all’interno di locali pubblici, per tutelare la salute dei fumatori e dei non fumatori.
Proprio al fine di tutelare il diritto alla salute, una parte della giurisprudenza ha per lungo tempo affermato che, per i danni provocati dal vizio del fumo, l’ente produttore e venditore di sigarette, pur in mancanza di una specifica disciplina di legge, era obbligato ad usare ogni cautela per evitare che il rischio si tramutasse in danno concreto realizzando una sistematica campagna di informazione che rendesse noti ai consumatori gli aspetti negativi del fumo e suggerisse limitazioni e cautele.
Tale orientamento è stato recentemente scardinato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 11272/2018, confermata dalla più recente sentenza n. 1165/2020, con la quale la Suprema Corte ha escluso il nesso di causalità tra il consumo smodato di sigarette e i danni alla salute, ponendo l’accento, in particolar modo, sulla condotta del fumatore nel verificarsi degli stessi.

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Indice

1. Il caso in questione


Nel mese di novembre 2002 A.O. conveniva in giudizio l’azienda produttrice e quella distributrice delle sigarette, nonché il Ministero delle Finanze ed il Ministero della Salute al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, subiti a causa della gravissima malattia contratta per il vizio del fumo.
Esponeva di avere cominciato a fumare fin da giovane, anche due pacchetti di Marlboro al giorno, e che tale abitudine aveva determinato il formarsi di un carcinoma al lobo inferiore del polmone sinistro.
Aveva, inoltre, aggiunto di aver appreso della pericolosità del vizio solo dopo aver iniziato a fumare e di aver smesso una volta reso edotto del tipo di malattia che aveva contratto, avvertito dal medico delle conseguenze nefaste che sarebbero derivate nel caso in cui avesse continuato a farlo.
Pertanto, riteneva responsabili della sua malattia i soggetti che avevano prodotto e posto in commercio le sigarette, avendo subdolamente studiato e inserito nel prodotto sostanze tali da generare uno stato di bisogno con dipendenza psichica e fisica tali da indurlo a diventare un tabagista incallito.
Il Tribunale rigettava la domanda attorea.
La decisione veniva confermata dalla Corte di Appello, che riteneva insussistente il nesso di causa fra le pretese condotte illegittime dei convenuti ed il danno subito dall’attore.
Avverso tale decisione l’attore proponeva ricorso per cassazione lamentando l’erronea applicazione dell’art. 2050, in connessione con l’art. 2043 c.c., ovvero dei principi in tema di responsabilità aquiliana per l’esercizio di attività pericolosa.


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2. Il principio della causa prossima di rilievo: la decisione della Suprema Corte


Con la sentenza n. 11272/2018 la Corte di Cassazione, in applicazione del principio di diritto della causa prossima di rilievo, ha confermato la decisione della Corte di Appello escludendo la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell’Ente produttore di sigarette ed il danno derivante dalla pratica del fumo, ciò facendo applicazione del principio della causa prossima di rilievo, consistente in un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di un soggetto dotato di capacità di agire, quale, appunto, la scelta di fumare nonostante la notoria nocività del fumo.
Secondo la Corte “nell’accertamento della responsabilità civile il primo presupposto da verificare è l’esistenza del nesso eziologico tra quello che s’assume essere il comportamento potenzialmente dannoso ed il danno che si assume esserne derivato, sicché, verificato che il nesso non sussiste non ha più rilevanza né l’accertamento di un’eventuale colpa, né l’accertamento di una eventuale responsabilità cd. Speciale”.
Dunque, ha escluso il nesso causale in applicazione del principio della “causa prossima di rilievo” consistente nel libero atto di volizione dell’uomo, dotato di capacità di agire, il quale sceglie di fumare nonostante le conseguenze nocive per la salute.
Tale orientamento è stato confermato recentemente con la sentenza n. 1165/2020, con la quale la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che la scelta autonoma e volontaria dell’uomo di continuare a fumare, nonostante i danni alla salute, rappresenta una causa da sola sufficiente a cagionare il danno.
Deve, quindi, escludersi la sussistenza del collegamento causale tra l’eventuale patologia tumorale diagnosticata ed il consumo delle sigarette non scoraggiato da una pubblicizzazione adeguata e seriamente informativa.
Infatti, la circostanza che l’inalazione da fumo fosse dannosa alla salute e provocasse il cancro costituisce da lunghissimo tempo (in Italia dagli anni ’70) un dato di comune esperienza, un fatto socialmente notorio -anche se, per ragioni culturali, sociali o di costume, il vizio del fumo era più accettato-, ancor prima dell’introduzione degli avvisi di legge.
Di conseguenza il fumatore e, in caso di decesso, i suoi congiunti non possono in alcun modo dolersi dell’omessa informazione sul punto.
In altri termini, non è possibile attribuire al produttore e distributore di sigarette la responsabilità per non aver reso nota, con apposite informazioni, la grave nocività del fumo e, dunque, i rischi che corre il fumatore per la propria salute, consentendogli di compiere scelte informate e responsabili sulla relativa pratica.
Ciò in quanto, l’uso smodato di sigarette consente di escludere ogni responsabilità del produttore di sigarette, sia ai sensi dell’art. 2043 c.c., sia a norma dell’art. 2050 c.c., in ragione del fatto che nell’accertamento della responsabilità civile il primo presupposto da appurare è la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta lesiva e l’evento dannoso, ed una volta verificata l’insussistenza del nesso eziologico, non ha più alcuna rilevanza né l’accertamento di una eventuale colpa, né l’accertamento di un’eventuale responsabilità c.d. speciale.
Infine, la Corte di Cassazione ha escluso anche la responsabilità contrattuale in quanto l’insussistenza del nesso causale determina, altresì, l’insussistenza della responsabilità ex art. 1218 c.c.

3. Conclusioni


In conclusione la tematica della tutela della salute si riconnette inevitabilmente a tutte quelle pratiche che, pur essendo riconosciute come estremamente pericolose per la vita delle persone, sono tollerate dal nostro ordinamento.
La sentenza della Corte di Cassazione rappresenta un punto di arrivo particolarmente importante di un travagliato percorso giuridico in cui si sono succedute decisioni contrastanti in merito alla responsabilità dei produttori di sigarette di fronte ai danni alla salute sicuramente riconducibili ad un uso costante delle stesse.
Tuttavia, non può non considerarsi che tale decisione, giuridicamente inattaccabile in quanto basata sul principio della consapevolezza e della libertà di scelta del consumatore, libera da qualsiasi responsabilità, prima, il produttore e il distributore, poi, lo Stato che, come sopra ricordato, ha l’obbligo di tutelare la salute dei cittadini in quanto diritto del singolo individuo e interesse di tutta la collettività.
Pertanto, sarebbero auspicabili ulteriori interventi normativi volti ad incrementare un consumo consapevole di tale prodotto, consumo che, seppure libero e volontario, presenta molti aspetti legati al concetto medico di dipendenza psichica e fisica, idonea a determinare lo stato di bisogno.

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Chiara D’Antuono

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