Mandato di arresto europeo: la Cassazione sugli “indici rivelatori”

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La Corte di Cassazione, con sentenza 41 del 2 gennaio 2024, in tema di mandato di arresto europeo, ha affermato che, alla luce delle modifiche apportate all’art. 18-bis della l. n. 69 del 2005 dal d.l. n. 69 del 2023, convertito, con modificazioni, nella l. 103 del 2023, sono ammissibili, in sede di legittimità, le censure che involgono l’accertamento del radicamento del soggetto nel territorio dello Stato in quanto il legislatore, col fissare normativamente i c.d. indici rivelatori, ha inteso rendere verificabile il processo valutativo posto a base dell’applicazione o del diniego di un motivo di rifiuto per cui la mancata valutazione di uno di tali indici rileva come violazione di legge.

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Corte di Cassazione – Sez. VI Pen. – Sent. n. 41 del 02/01/2024

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Indice

1. I fatti

La decisione della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso dell’interessato avverso la Corte di appello di Roma la quale ha dichiarato sussistenti le condizioni per accordare la consegna dello stesso all’autorità giudiziaria francese, che l’aveva richiesta in forza di mandato di arresto europeo emesso per l’esecuzione della pena residua di 12 mesi di reclusione inflittagli all’esito di sentenza di condanna definitiva emessa il 21/11/2016 dalla Corte distrettuale di Parigi per i delitti di furto aggravato e di indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e pagamento.
Il ricorso, affidato a due motivi, deduceva in primis l’inosservanza ovvero l’erronea applicazione dell’art. 18-bis della legge 69/2005: il ricorrente sosteneva, infatti, di avere comprovato di risiedere legittimamente in Italia dal 2011 e di essere rimasto sul territorio italiano in maniera continuativa negli ultimi cinque anni, ma la Corte territoriale ha escluso l’inserimento nel tessuto sociale, senza motivare le ragioni di tale decisione.
Con il secondo motivo, denunciava la nullità della sentenza impugnata per avere la Corte di appello omesso di considerare i criteri di valutazione necessari ai fini della verifica della effettiva e legittima residenza sul territorio nazionale, quali la durata, la natura e le modalità di residenza o della dimora; il tempo intercorso tra la commissione del reato in baso al quale il mandato europeo è stato emesso e l’inizio del periodo di residenza o dimora; l’eventuale commissione di reati ed il regolare o meno adempimento degli obblighi contributivi e fiscali durante tale periodo; il rispetto delle norme nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri; la sussistenza di legami familiari, linguistici, culturali, sociali, economici o di altra natura che la persona intrattiene sul territorio italiano.

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2. Mandato di arresto europeo e indici rivelatori: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso presentato dall’imputato, osserva come la Corte di appello, pur avendo preso in considerazione gli elementi a riprova del legittimo radicamento del ricorrente nel quinquennio, abbia escluso che gli stessi siano sufficienti al fine di dimostrarne la presenza sul territorio nazionale da almeno cinque anni e statuendo che il carteggio esaminato ne comprova la presenza al massimo dal 2022.
La Suprema Corte, poi, sottolinea come sia stato affermato più volte il principio in tema di mandato di arresto europeo secondo cui sono inammissibili le censure che involgono l’accertamento del radicamento del soggetto nel territorio dello Stato, le quali, pur dedotte quale vizio di violazione di legge, attengono in realtà alla motivazione della decisione, atteso che l’art. 22, l. n. 69/2005, come modificato dall’art. 18, d. lgs. 10/2021, non ammette avverso la sentenza resa dalla Corte di appello sulla richiesta di cosnegna il ricorso per Cassazione per vizi di motivazione.
Ad avviso della Corte, tuttavia, questo principio deve essere necessariamente riconsiderato alla luce della più recente modifica cui è stato sottoposto l’art. 18-bis per effetto del d. l. 69/2023 convertito con modificazioni nella legge 103/2023.
Con la novella il legislatore ha in primo luogo disposto la modifica del comma 2 dell’art. 18-bis che oggi contempla la possibilità per la Corte di appello di rifiutare la consegna del cittadino italiano o di persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, sempre che la Crte stessa disponga l’esecuzione in Italia della pena o della misura di sicurezza per cui la consegna viene richiesta conformemente al diritto interno.
In secondo luogo, è stato aggiunto il comma 2-bis il quale stabilisce che “ai fini della verifica della legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna, la Corte di appello accerta se l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza sul territorio sia in concreto idonea ad accrescerne le opportunità di reinserimento sociale, tenendo conto della durata, della natura e delle modalità della residenza o della dimora del tempo intercorso tra la commissione del reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso e l’inizio del periodo di residenza o di dimora, della commissione di reati e del regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali durante tale periodo, del rispetto delle norme nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri, dei legami familiari, linguistici, culturali, sociali, economici o di altra natura che la persone intrattiene sul territorio italiano e di ogni altro elemento rilevante. La sentenza è nulla se non contiene la specifica indicazione degli elementi di cui al primo periodo e dei relativi criteri di valutazione“.
Si tratta, dunque, dei c.d. “indici rivelatori” che la Suprema Corte aveva già in parte individuato al fine di delimitare il perimetro dell’accertamento spettante alla Corte di merito.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione sottolinea che “indicando esplicitamente il complesso degli elementi su cui fondare le proprie determinazioni, il legislatore ha voluto rendere verificabile il processo valutativo posto alla base dell’applicazione o del diniego di un motivo di rifiuto che, essendo divenuto facoltativo (per effetto della legge del 4 ottobre 2019, n. 117) renderebbe altrimenti affidato alla mera discrezionalità della Corte di merito, pur incidendo sovente la decisione in maniera molto rilevante sulla condizione personale e familiare dell’interessato“.
Sulla base di tali considerazioni, pare evidente come la Corte di appello, pur avendo compiutamente assolto all’obbligo di valutare gli elementi di giudizio addotti dalla difesa per i fini rilevanti, abbia, tuttavia, omesso di valutare tutti quegli altri indici che la legge vigente indica come necessari componenti dell’articolato giudizio che deve precedere la decisione sul punto.
La Corte di Cassazione, dunque, ha annullato con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale per nuovo giudizio la sentenza impugnata.

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Riccardo Polito

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