Mandato di arresto europeo nei confronti di persona residente da almeno cinque anni in Italia

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La Corte di Cassazione in tema di mandato di arresto europeo, ha affermato che, nel caso in cui esso sia emesso ai fini di un’azione penale nei confronti di un cittadino o di una persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio nazionale, la sua esecuzione è subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata sottoposta a processo, sia rinviata nello Stato italiano per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale, eventualmente applicate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione.

Per approfondimenti si consiglia: La riforma Cartabia della giustizia penale

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Corte di Cassazione – Sez. VI Pen. – Sent. n. 43252 del 24/10/2023

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1. I fatti

La pronuncia scaturisce dalla decisione della Corte di appello di Roma, sezione minorenni, di consegnare l’imputato all’autorità giudiziaria della Germania, in relazione al mandato di arresto emesso dal Tribunale di Lorrach, per l’esercizio dell’azione penale iniziata a suo carico per il reato di violenza sessuale.
Il ricorrente era stato arrestato presso il porto di Civitavecchia, al momento dello sbarco da una nave proveniente a Tunisi e si trova detenuto in carcere.
La Corte di appello ha escluso che potesse riconoscersi rilevanza al dedotto “radicamento” della persona chiesta in consegna in Italia sul rilievo che l’eccezione all’obbligo di consegna non si estende al mandato di arresto processuale ed è ancorata a situazioni “in cui effettivamente ricorra una concreta possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona condannata e, pertanto, ammessa unicamente a fronte di mandati di arresto europei finalizzati all’esecuzione della pena e solo a condizione che di detta esecuzione lo Stato membro si faccia direttamente carico“.

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2. Mandato di arresto europeo: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, in seguito al ricorso presentato dall’imputato (accolto solo parzialmente), ha dichiarato che la sentenza dovesse essere annullata, ai sensi dell’art. 18-bis, comma 2-bis, l. 69 del 2005 nella parte in cui non ha accertato la legittima ed effettiva dimora del ricorrente, in via continuativa, da almeno cinque anni in Italia.
Nello specifico, la Suprema Corte, ripercorrendo la vicenda e ha osservato che il difensore del ricorrente ha eccepito che la persona chiesta in consegna, sebbene non sia cittadino italiano ma cittadino della Repubblica di Tunisia, è nato in Italia e qui dimora stabilmente da oltre cinque anni.
A questo fine, è stato prodotto il permesso di soggiorno di lunga durata, con vigenza fino al 2031; un contratto di lavoro sottoscritto nel 2022 ed è stato precisato che, sebbene la persona chiesta in consegna non parli la lingua italiana – perché, a suo dire, non è andato a scuola -, aveva svolto regolare attività lavorativa in anni precedenti e che, comunque, aveva vissuto sempre in Italia.
Ad avviso della Cassazione, la Corte di appello non ha esaminato la rilevanza della documentazione prodotta ed ha ritenuto che, “in materia di mandato di arresto c.d. processuale ci si deve limitare, ai fini della verifica della sussistenza/insussistenza delle condizioni di consegna, alle ipotesi di cui all’art. 18-bis, comma 1, l. cit., nelle quali il motivo di rifiuto è connesso e limitato ai criteri della c.d. territorialità e litispendenza, ipotesi non ricorrenti nella fattispecie“.
La Corte procede nella sua analisi osservando che l’interpretazione della disciplina in materia di mandato di arresto europeo sviluppata nella sentenza impugnata non è fondata alla stregua della c.d. garanzia di reinvio prevista dall’art. 19, lett. b), l. 69/2005.
Inoltre, la norma di cui all’art. 18-bis della stessa legge è stata oggetto dell’intervento della Corte costituzionale con sentenza n. 178/2023 e poi dell’intervento legislativo con l. 103/2023.
In particolare, rammenta la Cassazione, “la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18-bis, comma 2, della legge 69 del 2005, nella parte in cui non prevede che la Corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano da almeno cinque anni e sia sufficientemente integrata in Italia, sempre che la Corte d’appello disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia“.
Con legge n. 103/2023, l’art. 18-bis, comma 2 della suddetta legge è stato modificato prevedendo il rifiuto di consegna della persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano.
È stata, inoltre, prevista “la sanzione della nullità della sentenza che non contiene la indicazione degli elementi e dei relativi criteri di valutazione che rilevano ai fini della esigenza di verificare che la persona richiesta in consegna sia sufficientemente integrata nello Stato italiano nel periodo di cinque anni, positivizzando indici già individuati dalla giurisprudenza di legittimità e idonei a denotare il c.d. radicamento, fatto salvo ogni altro elemento rilevante“.

3. La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, concludendo la sua analisi, osserva che il Giudice delle leggi ha affermato con chiarezza che una disposizione che non consente il rifiuto sopra descritto “contrasta con la finalità rieducativa della pena imposta dall’art. 27, terzo comma, Cost., poiché l’esecuzione all’estero della pena o di una misura di sicurezza inflitta o disposta a carico di una persona che abbia saldamente stabilito in Italia le proprie relazioni familiari, affettive e sociali finisce per ostacolare gravemente, una volta terminata l’esecuzione della pena e della misura, il reinserimento sociale della persona cui esse debbono tendere per mandato costituzionale“.
Il principio di diritto formulato dalla Suprema Corte, dunque, è il seguente: “quando il mandato di arresto europeo è stat emesso ai fini di un’azione penale nei confronti di un cittadino italiano o di una persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, l’esecuzione del mandato è subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata sottoposta al processo, sia rinviata nello Stato italiano per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente applicate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione“.

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Riccardo Polito

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