L’eterno contrasto: ancora sul Jobs Act e sull’art.18

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Sulla Gazzetta Ufficiale n.87 del 13 aprile 2024  sono state pubblicate  quattro richieste di referendum abrogativo di alcune normative, non di poco conto,  alcune delle quali facenti parte del c.d. Jobs Act.:
1) «Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?».
2) « Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come so­stituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limi­tatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?».
3) «Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revi­sione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, com­ma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una du­rata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizza­tiva e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; com­ma 1-bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole `liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?».
4) «Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto le­gislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appal­tatrici o subappaltatrici.”?».
 Nel nostro saggio ci siamo proposti di trattare solo la prima, su riportata , delle  richieste referendarie per la sua importanza sociale.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato: Il lavoro subordinato

Indice

1. Sulla reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento invalido


La storia del licenziamento individuale del lavoratore subordinato nel rapporto di lavoro privato, in un quadro di bassi salari e alta disoccupazione, ha seguito un iter assai travagliato. Esso rappresenta uno dei temi più critici del rapporto di lavoro, mettendo in gioco interessi fondamentali sia da parte del lavoratore che da parte del datore di lavoro.
La rivoluzione industriale con il moltiplicarsi delle industrie manifatturiere ha aumentato notevolmente la necessità di lavoratori subordinati. Il nuovo scenario spostava il “lavoro” dalla campagna alle industrie. Agli inizi ci si è trovati di fronte a un mercato del lavoro che si caratterizzava con un limitato numero di imprese e un esteso numero di soggetti alla ricerca di un lavoro più sicuro di quello che offriva il lavoro agricolo esposto alle incertezza del clima. Questa situazione si ripercuoteva sui livelli salariali. Ricordiamo la c.d. legge bronzea dei salari, elaborata dall’economista Ricardo, secondo la quale,”” “essi [i salari] sono il prezzo necessario per mettere i lavoratori ,nel loro complesso, in condizioni di sussistere e perpetuare la loro specie senza né aumenti né diminuzioni”. Successivamente le condizioni sociali migliorarono. Fu elaborata la teoria dell’utilità marginale che diede una base più scientifica alla determinazione dei salari.
Ma ciò che più incise sui livelli salariali fu il sorgere e rafforzarsi dei sindacati, che limitarono la concorrenza tra gli stessi lavoratori.
Nel frattempo la dottrina aveva elaborato la nozione della “autonomia collettiva”, che superava l’individualismo tipico del liberalismo dando valore agli interessi collettivi. Vedi Santoro Passarelli, Nozioni di diritto del lavoro, ed. Jovene 19 edizione pag. 21 ss.: “Interesse collettivo è l’interesse di una pluralità di persone a un bene idoneo a soddisfare un bisogno c o m u n e. Esso non è la somma di interessi individuali, ma la loro combinazione, ed è indivisibile, nel senso che viene soddisfatto, non già da più beni atti a soddisfare bisogni individuali, ma da un unico bene atto a soddisfare il bisogno della collettività.”.
E quindi” I sindacati sono associazioni di lavoratori o di datori di lavoro costituite per la tutela di interessi professionali collettivi: fra tutti preminente l’inte¬resse a disciplinare la concorrenza fra lavoratori e fra datori di lavoro. La disciplina della concorrenza è un bene che soddisfa un interesse collettivo, perchè non può essere conseguito dai singoli separatamente, ma solo congiuntamente da tutti.”.
“I sindacati hanno apprestato a questo scopo due strumenti: il contratto collettivo, strumento di composizione pacifica del conflitto di interessi collettivi, implicante il consenso della controparte; lo sciopero, strumento di lotta, cui si contrappone la serrata…”
“I sindacati, in quanto perseguono interessi collettivi privati, sono associazioni private. Ma, come società poste al servizio di interessi permanenti, concorrono stabilmente ed organicamente all’assetto della società generale nella quale vivono. Perciò lo Stato ha sempre considerato i fini sindacali come strettamente congiunti all’ interesse pubblico.”
Mercè questi cambiamenti la classe lavoratrice uscì rafforzata: la salita al potere della sinistra costituzionale con un atteggiamento liberale nei confronti del movimento sindacale favorì il suo sviluppo e la sua evoluzione. A Milano dal 29 settembre al 1^ ottobre 1906 fu costituita la Confederazione Generale del Lavoro. I primi contratti limitandosi a contrattare gli aumenti salari furono detti “ concordati di tariffa ”.Ad essi seguirono i contratti collettivi. Di Vittorio indicò in un concordato fra industriali lanieri di Biella e rappresentanti dei lavoratori di 5 lanifici il primo contratto collettivo italiano, conquistato nel 1864 ( v. infra).
Originariamente l’impresa non aveva limiti nel conseguimento dei suoi scopi.
Mercè il contratto collettivo fu introdotta una regolamentazione del rapporto di lavoro. Così furono introdotti l’istituto dell’anzianità di servizio, coi conseguenti scatti del salario, durata dell’orario di lavoro, doveri disciplinari etc. .
Così Perna , Breve Storia del sindacato, ed De Donato, 1978 pag.71 ss.: “I primi anni del ‘900 sono caratterizzati da una svolta nella direzione politica del paese. Al ministero Saracco, caduto con un voto di sfiducia a seguito di uno sciopero generale a Genova, succede il ministero Zanardelli, che segna l’ingresso nella Direzione dello Stato della sinistra costituzionale che negli anni seguenti avrebbe favorito con un atteggiamento liberale nei confronti del nascente movimento sindacale il suo sviluppo e la sua evoluzione.” Successivamente aggiunge:” Nei primi anni del secolo, agevolate dal clima liberale dell’azione di governo di Giolitti, le organizzazioni sindacali di categoria iniziano a svolgere le prime funzioni di contrattazione, stipulando con singoli imprenditori « concordati di tariffa », aumenti cioè salariali e in seguito veri e propri contratti collettivi. Abbiamo già visto come esperienze isolate di contrattazione collettive esistevano già nella seconda metà dell’800. Le più significative riguardavano i tipografi di Torino e i lavoratori tessili del biellese. A questo proposito, Di Vittorio indica in un concordato fra industriali lanieri di Biella e rappresentanti dei lavoratori di 5 lanifici situati nella valle dello Strona il primo contratto collettivo del movimento sindacale italiano ,conquistato nel 1864 dopo uno sciopero delle maestranze.”. Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato: Il lavoro subordinato

FORMATO CARTACEO

Il lavoro subordinato

Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.

A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023

2. Il recesso dal rapporto di lavoro


Ma il tema più importante era senz’altro quello dell’espulsione del lavoratore dall’impresa. Nell’imperante clima liberistico, come abbiamo detto, nella vigenza del codice del 1965, in cui- a maggior ragione- vigendo l’art.1628, si riteneva che ciascuna delle parti potesse liberamente recedere dal contratto. Così Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, Ristampa anastatica dell’edizione del 1901,a cura di Mario Napoli, ed.Vita e pensiero, 2003, pag.819 ss:” Il rapporto locativo scendente dalla locazione di opere o di opera può essere interrotto per volontà delle parti, prima che esso arrivi alla sua naturale soluzione. Intanto niun dubbio che il contrarius consensus delle due parti gli possa dar fine. L’art. 1123 non dà luogo a dubbi. La questione grave e di grande importanza pratica è se il contratto di lavoro possa essere rivocato per la pura e semplice volontà di una delle parti; se, in altre parole, sia ammesso il recesso unilaterale Diciamo subito che su questo argomento esiste un dissidio costante a grave tra la dottrina e la giurisprudenza. La prima tende a rifiutare un diritto di recesso unilaterale; la seconda si inspira prevalentemente al criterio della sua ammissibilità. Tra le due correnti noi ci sentiremmo a tutta prima attratti, a priori, da quella della giurisprudenza, più fresca e ispirata ai bisogni della vita quotidiana. La ragione prima e suprema di questa tesi si deve indagare nella natura stessa del rapporto locativo scaturente dal contratto di lavoro. È appunto quanto la dottrina non ha voluto fare e ha ritenuto opportuno di fare invece la giurisprudenza. Certe conclusioni, certi principii giuridici nascono, da sé, dalla natura del rapporto e dell’istituto cui si riferiscono.
Ora: già abbiamo più volte notato l’importanza che l’elemento della fiducia acquista nel rapporto del contratto di lavoro È un rapporto che ha per presupposto fondamentale e inderogabile la mutua fiducia che l’una parte abbia nell’altra. Mancando quel presupposto, che costituisce la base del rapporto, questo vien meno necessariamente, se una delle parti in cui appunto è scemata la fiducia, intenda porvi fine. E così vediamo la legge sancire espressamente il recesso unilaterale per il mandato. Che il mandato basi sulla reciproca fiducia delle parti abbiamo già spesso notato, e specialmente allorché parlammo della distinzione tra mandato e locazione di opera (‘originem ex officio atque amicitia trahit’). Conformemente a questi principi, nel nostro diritto posi­tivo il recesso unilaterale ci è dato per il mandato dagli art. 1758 e 1761.
Ora già si può pur affacciare il dubbio: se questo diritto di recesso sancito per un rapporto in vista appunto di un elemento comune a quello del contratto di lavoro, perché non estenderemo a questo pure la regola che vige incondizionatamente per gli altri contratti affini?”
Il codice del 1942 proseguiva sulla stessa linea ammettendo il recesso ad nutum nell’art. 2118 per entrambe le parti dando il preavviso.
Nonostante l’importanza riconosciuta al contratto e al rapporto di lavoro dalla Costituzione bisognò
attendere la legge del 15 luglio1966 n.604, Norme sui licenziamenti individuali, perché si richiedesse la c.d. giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c.  o il giustificato motivo per risolvere il contratto di lavoro da parte del datore di lavoro.
È noto che con l’art. 18 della legge del 20 maggio 1970 n.30, c.d. Statuto dei lavoratori, fu introdotta la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore licenziato nel caso di inefficacia del licenziamento ai sensi dell’art. 2 della legge n.604/1966 o di mancanza di giusta causa o giustificato motivo o comunque in caso di nullità, in presenza dei requisiti numerici stabiliti. La legge 11 maggio 1990 n.108 apportava modifiche importanti, estendendo l’applicazione della legge anche ai soggetti che non avessero la qualifica di imprenditori con un organico superiore ai 15 dipendenti, oltre altre modifiche.

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3. Le riforme liberiste del nuovo secolo e il Jobs Act


Con legge 28 giugno 2012 n.92 l’art. 18 veniva radicalmente modificato riducendo la reintegrazione nel posto di lavoro a casi particolari dando priorità alla tutela indennitaria.
Infine in forza del decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 23, c.d. “a tutele crescenti” l’art.18 veniva espulso dall’ordinamento per i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dalla entrata in vigore dello stesso decreto, 7 marzo 2015.
Di quest’ultimo decreto si chiede ora l’abrogazione “nella sua interezza”.

4. Conclusioni


Le riforme Fornero e Renzi hanno significato, in definitiva, una “monetizzazione” del recesso da parte del datore di lavoro forse non condivisibile in un paese come il nostro afflitto da un tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile, abbastanza elevato. Né ci appare logica la ratio per cui il giudice nel momento che accerta la mancanza di giusta causa o giustificato motivo che avrebbero supportato il recesso, nel contempo “dichiara estinto” il rapporto di lavoro, né vale appellarsi all’ “insussistenza del fatto contestato” o all’”insussistenza del fatto materiale contestato” sia per la difficoltà della prova sia per la difficoltà di attribuzione dell’onere relativo.
Qui juris in caso di approvazione del referendum.
 Possono sorgere dubbi.
A parer nostro, ove il referendum venisse approvato, dovrebbe tornare ad applicarsi l’art.18, come modificato dalla legge Fornero, anche ai lavoratori assunti dalla data del 7 marzo 2015. Non si avrebbe un ritorno al passato come forse auspicato dai sostenitori del referendum che mancherebbero l’obiettivo che si sono proposti, anche considerando che una clausola che rimette in vita l’art.18 viene già inserita in accordi sindacali aziendali e accordi individuali, in questi ultimi come condizione di miglior favore (vedi nostro articolo A che punto l’applicazione del nuovo art. 18, in questa Rivista 27 marzo 218).

Avv. Viceconte Massimo

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