L’operatività del ne bis in idem processuale

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L’operatività del ne bis in idem processuale alla luce della giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione.

Indice

1. Ne bis in idem sostanziale e processuale

Il ne bis in idem sostanziale ed il ne bis in idem processuale hanno diversi ambiti d’operatività. Difatti, se il primo, a fronte di una qualificazione giuridica multipla d’un medesimo fatto, risolvibile alla luce del principio di specialità di cui agli artt. 15, 84, c.p., è volto a vietare che uno stesso fatto venga giuridicamente addebitato due volte allo stesso autore, il secondo riguarda, invece, il rapporto tra fatto storico e giudizio, vietando l’avvio d’una nuova iniziativa penale dopo la formazione del giudicato. In altri termini, il medesimo fatto reato può esser sussunto nell’alveo di due o più fattispecie incriminatrici astratte. Donde un concorso apparente di norme giuridiche astratte, conflitto che trova, poi, la sua soluzione tramite l’anzidetto principio di specialità. Si può affermare, quindi, che il principio del ne bis in idem sostanziale concerne il rapporto confliggente tra norme incriminatrici astratte rispetto ad un medesimo fatto avente rilevanza giuridico penale, mentre la preclusione concernente il bis in idem processuale di cui all’art. 649 c.p.p., riguarda il rapporto tra il fatto storico oggetto della res iudicata e quello della res iudicanda. Delimitato l’ambito d’applicazione del bis in idem sostanziale rispetto a quello processuale, l’indagine si concentra sull’operatività di quest’ultimo. Con riguardo proprio all’art.649[1] c.p.p., e, quindi, al principio del ne bis in idem processuale, la prefata norma stabilisce il divieto che un soggetto possa esser processato due volte per lo stesso fatto costituente reato. Tal principio, è positivizzato finanche dall’art.4, Protocollo n. 7[2] della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
La domanda che si pone è la seguente: quand’è che si può predicare l’identità del fatto, onde avvalersi della garanzia apprestata dal ne bis in idem processuale, allorché l’autore d’un fatto già giudicato con decisione definitiva, sia oggetto d’una nuova iniziativa penale.

2. Sull’illegittimità costituzionale dell’art. 649 C.p.p. per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art.4 del Protocollo n.7 della CEDU.

Ebbene, il Giudice delle leggi[3] viene investito direttamente della questione circa l’art.649 c.p.p., in quanto chiamato a pronunciarsi sull’illegittimità costituzionale di quest’ultima norma per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art.4 del Protocollo n.7 della CEDU.
Precisamente, il giudice a quo sollevava la detta illegittimità sulla base dell’argomentazione che, il diritto vivente, esclude l’applicazione dell’art.649 c.p.p. allorché il reato oggetto del precedente giudizio sia stato commesso in concorso formale con quello oggetto del successivo giudizio.
Tra le argomentazioni giuridiche volte a far valere il predetto profilo d’illegittimità, il giudice a quo segnala che l’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, non osterebbe all’applicazione del divieto di un secondo giudizio posto dal bis in idem, laddove, ai fini dell’accertamento dell’identità del fatto, il giudizio concerna soltanto la condotta incriminata. Ebbene, la Corte costituzionale, all’esito del suo scrutinio, dichiarerà l’illegittimità costituzionale dell’art.649 c.p.p. per contrasto dell’evocato parametro costituzionale con l’anzidetto art. 4 del Protocollo n.7 CEDU., facendo, tuttavia, alcune precisazioni.
Primariamente, fatto storico, inteso nella sua dimensione storico – naturalistica, è soltanto l’accadimento materiale, affrancato dalle qualificazioni giuridiche. Non v’è nessuna ragione logica di restringere il giudizio sulla medesimezza del fatto, pur nella sua dimensione empirica, alla sola condotta, sia essa attiva od omissiva.
Secondariamente, dalla giurisprudenza della Corte EDU, in specie anche dalla sentenza della Grande Camera del 10 febbraio 2009 Zolotoukhine Russia, non emerge alcuna opzione interpretativa che confini il giudizio sulla medesimezza del fatto, ai fini della preclusione processuale posta dal ne bis in idem, alla sola condotta dell’agente. Ciò anche in ragione che diverse sono le qualificazioni giuridiche offerte dagli Stati membri intorno al concetto di medesimezza del fatto.
In terzo luogo, neanche il contesto normativo dell’evocato art.4 del Protocollo n. 7 della CEDU, depone per un’interpretazione espansiva del divieto del ne bis in idem. Anzitutto, la prefata norma, al secondo paragrafo, consente la riapertura d’un procedimento penale ove fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni siano idonee a porre in discussione una sentenza passata in giudicato, anche laddove si tratti d’una sentenza d’assoluzione. Mentre, l’ordinamento processuale domestico, consente la revisione della sola sentenza di condanna, onde assicurare il diritto all’innocenza, senza limiti di tempo. Ne viene il paradosso che la Convenzione consentirebbe la riapertura d’un procedimento ove una persona sia stata già assolta con decisione definitiva allorché emergano, successivamente, nuove evenienze. Aggiungasi, inoltre, che la stessa giurisprudenza della CEDU ha affermato che l’art.4, del Paragrafo n.7, nell’ambito d’una interpretazione complessiva del tessuto ordinamentale della Convenzione, vada bilanciato con gli artt. 4 e 5 della medesima, con la conseguente inoperatività della garanzia del divieto del bis in idem laddove emerga l’esigenza di perseguire gravi ed efferati crimini, quali quelli contro l’umanità.
Le opinabili qualificazioni giuridiche astratte dei fatti reato, la natura giuridica dei beni giuridici tutelati e le diverse concezioni dell’evento, mal si attagliano con la garanzia costituzionale e convenzionale posta dal ne bis in idem, essendo estranee al nostro ordinamento.

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3. Il giudizio sulla medesimezza del fatto, agli effetti del divieto di un secondo giudizio posto dall’art.649 c.p.p.

Corretto, conclude la Corte delle leggi, è l’approdo cui è giunta la giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale, a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 2005[4], il giudizio sulla medesimezza del fatto, agli effetti del divieto di un secondo giudizio posto dall’art.649 c.p.p., s’incentra sulla configurazione storica – naturalistica del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi, “…identificati nella condotta, nell’evento e nel rapporto di causalità, in riferimento alle stesse condizioni di tempo, luogo e di persona, giammai restringendo il campo dell’indagine alla sola mera condotta.
Occorre far riferimento agli elementi costitutivi della c.d. tipicità del reato, id est condotta, nesso causale ed evento, per affermare, onde avvalersi della garanzia del divieto posto dall’art.649 c.p.p., l’identità del fatto tra la res iudicata e quella iudicanda.

4. L’orientamento giurisprudenziale

Nelle successive pronunce, facendo applicazione del criterio storico – naturalistico, onde stabilire se il fatto reato oggetto della nuova iniziativa penale sia lo stesso di quello deciso con una precedente decisione irrevocabile, s’è affermato, per esempio,  la ricorrenza, sicché la preclusione processuale ex art. 649 c.p.p., del medesimo fatto tra il delitto di fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona di cui all’art. 642 c.p., oggetto di una precedente decisione, e quello di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi cui all’art. 497 bis c.p.[5]. Ciò in ragione del fatto che il precedente giudizio aveva avuto ad oggetto il medesimo fatto storico, scomposto nella triade condotta, nesso causale ed evento, qualificato ai sensi dell’art. 642 c.p.
Ancora, s’è escluso la violazione del divieto processuale posto dall’art.649 c.p.p., ritenendo la non  ricorrenza del medesimo fatto storico tra il giudizio avente ad oggetto il delitto d’incendio colposo di cui agli artt. 423, 449 c.p. ed il precedente giudizio risoltosi con esito assolutorio avente ad oggetto quello di furto d’energia elettrica di cui all’art. 624 c.p.[6] Segnatamente, la Suprema Corte, nel confermare le decisioni cui erano pervenuti i giudici di primo e secondo grado, circa l’esclusione della violazione del divieto sancito dall’art. 649 c.p.p., sottolineano che l’incendio dell’immobile, quale effetto dell’evento naturalistico del delitto d’incendio colposo, se riguardato nella sua dimensione naturalistica, sulla base della triade condotta, evento e nesso causale, è un fatto storico diverso rispetto a quello di furto d’energia elettrica, quantunque realizzato mediante il medesimo allacciamento abusivo alla rete elettrica.
Ed, oltre, s’è escluso che ricorresse la medesimezza del fatto storico, sicché la violazione del divieto posto dal ne bis in idem processuale, tra il delitto di detenzione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici di cui all’art. 615 quarter c.p., oggetto d’una precedente pronuncia assolutoria, e quello di furto del portafoglio con tessera bancomat in esso contenuta, oggetto d’una successiva azione penale.[7]. Per la Suprema Corte, il precedente giudizio assolutorio irrevocabile aveva avuto ad oggetto il fatto storico dell’abusiva detenzione dei codici d’accesso ad un sistema informatico, sub specie l’abusivo utilizzo del codice d’accesso ad una tessera bancomat, mentre quello attuale ha ad oggetto un diverso fatto storico, ossia il furto del portafoglio contenente la tessera bancomat, fatto che il precedente giudice di merito non ha scrutinato, sebbene si trattasse d’una condotta, quella del furto, logicamente precedente alla detenzione abusiva del codice d’accesso.
Viceversa, s’è ritenuto che ricorresse il medesimo fatto storico tra il delitto d’appropriazione indebita di cui all’art.646 c.p., oggetto di un precedente giudizio definitivo con esito assolutorio, e quello di bancarotta distrattiva patrimoniale di cui all’art.216 L.F., oggetto d’una successiva iniziativa penale.[8]. In tal giudizio, la Corte dei diritti, richiamando preliminarmente l’orientamento giurisprudenziale che considera la sentenza di dichiarazione di fallimento una condizione obiettiva di punibilità ex art. 44 c.p., sicché evento estraneo alla perfezione della fattispecie delittuosa della bancarotta in parola, di non poter intravedere nella bancarotta un fatto storico diverso rispetto a quello dell’appropriazione nei suoi elementi tipici, compendiati nella c.d. triade della condotta, del nesso causale ed evento, ciò in quanto la condotta rilevante empiricamente è quella appropriativa, già scrutinata dai giudici di merito con la precedente pronuncia.
Da ultimo, in direzione opposta alla già menzionata decisione, occorre dar conto d’una recente pronuncia della Corte dei diritti che ha escluso che potesse ricorrere il medesimo fatto, onde avvalersi della preclusione offerta dal bis idem processuale ex art.649 c.p.p., tra il delitto di lesioni personali di cui all’art.582 c.p., giudicato con una precedente decisione definitiva, ed il delitto d’omicidio preterintenzionale di cui all’art. 584 c.p.[9], oggetto d’una successiva iniziativa penale.
Con la citata ultima pronuncia, la Suprema Corte, facendo corretta applicazione del criterio consacrato dalla pronuncia della Corte Costituzionale del 2016 e del consolidato orientamento giurisprudenziale, ha affermato che non poteva ricorrere, agli effetti della preclusione processuale del bis in idem processuale, la medesimezza del fatto tra i menzionati delitti di lesioni personali e d’omicidio preterintenzionale, ciò in quanto diversi sono gli eventi contemplati dalle norme in parola.
Difatti, riguardati i fatti sottesi dalle prefate norme incriminatrici nella loro configurazione storico – naturalistica, il delitto di cui all’art. 584 c.p. contempla l’evento morte, essendo volto a tutelare il bene vita, non contemplato nel delitto di cui all’art. 582 c.p., il quale contempla, invece, il meno grave evento delle lesioni personali, in quanto orientato a tutelare il bene integrità fisica.
Poiché per affermare la medesimezza del fatto, e, pertanto, invocare la preclusione del bis in idem processuale ex art.649 c.p.p., è necessario che identiche siano non soltanto la condotta ed il nesso causale, bensì anche l’evento, la Suprema Corte ne trae la conseguenza che, nel caso sottoposto al suo scrutinio, tal identità difetta, in quanto i delitti di cui agli artt. 584, 582, c.p., contemplano eventi diversi, l’evento morte il primo, l’evento lesioni personali il secondo.

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  1. [1]

    “L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345. 2. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.”.

  2. [2]

    “Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato…”

  3. [3]

    Corte Cost., sentenza n.200, 21 luglio 2016.

  4. [4]

    Cass. Pen., Sez. Un., sentenza n. 34655, 28 settembre 2005.

  5. [5]

    Cass. Pen., Sez. VII, sentenza n.32631, 23 novembre 2020.

  6. [6]

    Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n.54986, 24 ottobre 2017.

  7. [7]

    Cass. Pen., Sez. V, sentenza n.663, 12 gennaio 2022.

  8. [8]

    Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 25651, 15 febbraio 2018.

  9. [9]

    Cass. Pen., Sez. V, sentenza n.1363, 14 gennaio 2022.

Giovanni Stampone

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